Aggiornato al 21/11/2024

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Voltaire

 

Millennials e non: un’Europa sempre più a due velocità

di Daniele Bucello – Action Institute

 

Secondo i dati che ISTAT ha pubblicato il 29 aprile, a marzo in Italia vi è stato un aumento della stima degli occupati, sia dipendenti sia indipendenti, dello 0,4%. Tale incremento, tuttavia, ha riguardato tutte le fasce d’età tranne quella dei 25-34enni. Inoltre, su base annua, la tendenza all’aumento del numero di occupati coinvolge soprattutto gli over 50. Considerando trend del genere, Action Institute intende analizzare gli aspetti socio-economici più problematici del divario intergenerazionale che penalizza i giovani, in Italia ed in Europa, dal punto di vista lavorativo.

 

“In UK per i lavoratori dipendenti di età pari o superiore ai 60 anni, il salario orario reale mediano nel 2014 è tornato allo stesso livello del 2008, ma per i giovani di età compresa tra i 22 ed i 29 anni nel medesimo anno era ancora inferiore del 9% rispetto al 2008”. Tale dato, emerso da un report redatto dall’Institute for Fiscal Studies lo scorso gennaio, evidenzia quanto sia rilevante nel Regno Unito la questione dell’intergenerational divide, ossia il divario esistente tra individui meno giovani e più giovani in termini di occupazione, salario ed opportunità professionali. Al di là del dato sopracitato, risulta colpita da tale discrepanza l’intera categoria dei millennials, ossia delle persone nate tra i primi anni Ottanta ed i primi anni Duemila. La situazione più allarmante, secondo Bruegel, risulta però in Grecia ed in Italia, dove tra il 2007 ed il 2013 sarebbe aumentato di oltre il 20% il NEET (“Not in Education, Employment or Training”), ossia il tasso percentuale di giovani non impegnati né nello studio, né nel lavoro, né nella formazione. Nel nostro paese, che pure secondo i dati ISTAT del 29 aprile scorso ha visto un lieve aumento della stima degli occupati, tale incremento non ha riguardato proprio la fascia d’età dei 25-34enni.

Tale problematica socio-economica non riguarda però soltanto i mondi britannico, greco ed italiano, in quanto in tutta Europa la disoccupazione giovanile tra il 2007 ed il 2013 è aumentata di quasi il 24%, percentuale pari a circa 5,5 milioni di persone sotto i 25 anni di età. In tutta l’UE, e non solamente nei paesi più colpiti dalla crisi, i giovani hanno pagato in misura particolarmente dura la recessione rispetto ai più anziani; questi picchi di disoccupazione giovanile risultano preoccupanti in quanto determinano inevitabilmente un depauperamento di risorse umane e conseguenti effetti distorsivi sulla crescita economica potenziale di lungo periodo. Alcune ricerche mostrano infatti che un lungo periodo di disoccupazione successivo alla laurea, quando invece il lavoratore dovrebbe acquisire le prime fondamentali competenze “sul campo”, può minare l’intera carriera e condurre la persona ad una minore produttività anche futura. Ciò peraltro può disincentivare il giovane a creare una famiglia, per via dell’incertezza reddituale, o può spingerlo a ritardare tale scelta, con conseguenti effetti negativi sui tassi di natalità e sulla demografia dei paesi. Il risultato, dunque, è che la società europea tende ad invecchiare ulteriormente: questo altro non fa che alimentare il circolo vizioso sfavorevole per le nuove generazioni.

Da un punto di vista macroeconomico, tre tipologie di azioni di policy hanno contribuito significativamente alla crescita dell’intergenerational divide durante la crisi.

1. Nei paesi più colpiti dalla crisi, una prolungata recessione e la politica fiscale restrittiva dettata dalle esigenze di consolidamento hanno prodotto effetti negativi sull’occupazione. Specificamente, la disoccupazione ha colpito più duramente i giovani rispetto alle altre fasce di età. Questo per diverse ragioni: in parte poiché vi è un numero sproporzionato di millennials con un contratto a tempo determinato, in parte anche per altri fattori, come la difficoltà esistente per i giovani nel dimostrare le loro skills nella ricerca di un impiego durante i periodi recessivi.

2. La crisi ha cambiato la composizione della spesa pubblica, a discapito delle nuove generazioni e degli investimenti orientati al futuro: in tutta l’UE è infatti diminuita la quota di spesa dedicata a salute, istruzione e famiglie. Al contrario, è aumentata la spesa per la disoccupazione, in particolare nei paesi più colpiti dalla crisi come Grecia, Portogallo, Spagna ed Italia; soltanto i pensionati sembrano essere stati risparmiati dai tagli ed anzi in alcuni casi hanno addirittura beneficiato di incrementi di spesa pubblica, per giunta spesso drenata, come detto, da settori con un impatto diretto sui giovani.

 

(Continua la lettura su Action Institute.org)

 

Autore: Daniele Bucello

Inserito il:26/05/2016 10:13:47
Ultimo aggiornamento:26/05/2016 10:22:08
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