Aggiornato al 21/11/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Zoran Kutuzovic (Croazia, Multimedia artist) – Bitcoin New Chapter n.5

 

Il Bitcoin sotto la lente (1)

di Vincenzo Rampolla

 

Che cos’è il Bitcoin?

È inutile girarci attorno. È la prima valuta digitale non legata ad alcuna autorità bancaria e viene anche denominata valuta virtuale o criptovaluta. È rivoluzionaria per la tecnologia decentralizzata Blockchain che ne permette il funzionamento.

Le sue specifiche tecniche sono decisamente complesse e per i curiosi e appassionati sono chiarite in una sintesi nel prossimo articolo.

Non circola come biglietto o moneta, è custodito e protetto nel web in un portafoglio elettronico del cliente, è gestito unicamente da un sistema informatico privato o pubblico o da un distributore automatico. Che altro?

Quel che conta è che nasce per risolvere il problema basilare della sicurezza nella transazioni finanziarie, elimina gli intermediari (Banche, Istituti Centrali, Consulenti e Governi) a caro prezzo e tuttora indispensabili per garantire fiducia e affidabilità degli scambi, quelli online in particolare, per le elevate possibilità di furto, truffa e riproduzione.

Un sistema Blockchain è una rete che funziona secondo un preciso schema (da pari a pari, Peer to Peer, P2P) nel quale un archivio decentrato è aggiornato in permanenza dagli stessi utenti interconnessi attraverso l’insieme delle attività e transazioni che avvengono al suo interno.

In ogni istante ogni utente ha la visibilità immediata delle proprie operazioni e di quelle degli altri utenti, da quanto vendono a ciò che acquistano o cambiano: tutti possono sapere tutto di tutti.

Ogni 10 minuti il protocollo del sistema prevede l’inserimento automatico di una nuova operazione (acquisto, vendita, annullamento, scambio, etc.) in un Blocco che viene immesso in tutta la rete.

Sottolineo il fatto che il funzionamento della valuta virtuale è complesso.

Semplificando: tutti i computer, nodi della rete condivisa, contribuiscono alla gestione e alla sicurezza dei Bitcoin.

Ogni nodo, associato a uno o più utenti, è in competizione con gli altri per trovare il più rapidamente possibile la soluzione a un problema crittografico (da qui il nome di criptovaluta) emesso dal sistema e inserito in rete; esso serve per convalidare uno scambio tra Bitcoin e garantire che avvenga una sola volta e nel modo corretto.

A ogni problema crittografico è attribuito un valore in Bitcoin, quindi più il nodo è grande e potente, più probabilità ha di arrivare per primo alla soluzione e produrre Biticoin per chi lo risolve. Dotati di mezzi informatici di diversa capacità, gli utenti sanno che devono risolvere calcoli matematici estremamente complessi per validare e confermare ogni nuova transazione inserita nel Blocco e il primo utente che trova la soluzione ha il diritto di dichiarare l’accettazione nel Blocco e di registrarlo.

In premio riceve un certo numero di Bitcoin, rigorosamente virtuali.

Si tratta del mining, processo di estrazione che ha avviato l’estrazione in massa da parte di Aziende, Governi e di chi utilizza risorse informatiche sempre più efficienti e rapide per estrarre la maggiore quantità possibile di Bitcoin.

La complessità dell’algoritmo matematico è alla base del sistema e limita rigorosamente a 21 milioni la produzione e la gestione simultanea di Bitcoin; la generazione di nuovi Bitcoin, produrrebbe la svalutazione di quelli in circolazione.

È questa la ragione tecnica, non economica o finanziaria né politica che impedisce al Bitcoin di essere coinvolto dall’inflazione, in quanto inesistente nell’architettura del sistema.

Flessibilità e inviolabilità fanno del Bitcoin lo strumento più adatto per operazioni di acquisto e vendita di valute di ogni Paese, per concludere operazioni internazionali libere da tassi di cambio e da commissioni bancarie, per ogni tipo di bene o servizio come mezzo di pagamento sicuro, senza escludere peraltro operazioni e traffici impropri.

 

Dove nascono i Bitcoin?

Dopo la prima quotazione in borsa del Bitcoin e per il suo valore in sensibile crescita rispetto alle altre monete reali, la Cina è salita alla ribalta nel mondo della criptomoneta.

I bassi costi di manodopera, di energia elettrica e dell’hardware necessario per collegare tra di loro i computer hanno conferito alla Cina il ruolo strategico di uno dei leader mondiali nella produzione di Bitcoin e nella manutenzione dei sistemi.

Il mining dei Bitcoin, cioè la produzione di criptovaluta grazie al protocollo informatico adottato, avviene in grandi capannoni.

I principali stabilimenti si trovano nelle province del Sichuan e dello Shenzhen, di solito nei pressi di fiumi e di centrali elettriche da cui attingono l’energia necessaria per far funzionare migliaia di computer collegati tra loro che eseguono per gli utenti i calcoli necessari per creare i Bitcoin e per avere connessioni più veloci al Web.

Molte località sono in luoghi segreti, per motivi di sicurezza e in alcuni casi per evitare problemi con le Amministrazioni locali contrarie a questo tipo di attività.

Parlando con le persone che gestiscono le fabbriche di Bitcoin, nel 2016 un fotografo cinese di fama (Pear Video) ne ha visitate alcune. Intervistato (Rapporto Digiconomist) ha assicurato che i nodi funzionano senza inconvenienti.

Conferma inoltre che gli stabilimenti sono una versione più artigianale dei grandi Centri dati, come quelli di Google, Facebook, Microsoft, Amazon, IBM e delle multinazionali di Internet, dove reti mondiali di server mantengono in funzione i loro servizi online.

Sono noti per l’alta efficienza energetica raggiunta, basata su server di nuova generazione capaci di operare a temperature elevate senza ridurre le prestazioni e sono dotate di sistemi di raffreddamento a basso impatto, che sfruttano i venti freddi, le maree e altre soluzioni a seconda di dove vengono costruiti.

In Cina funziona ancora tutto alla vecchia maniera: i server resistono certamente alle alte temperature, ma per raffreddarli si usano ventole e ventilatori di ogni tipo a causa del notevole impatto energetico dei nodi di Bitcoin.

Non sempre i proprietari della valuta virtuale hanno idea di che cosa avvenga a migliaia di chilometri di distanza, dove materialmente esiste e funziona la rete che mantiene attivi i Bitcoin. Migliaia di computer per il mining sono ammassati su grandi scaffali circondati da miriadi di potenti ventilatori per raffreddarne i componenti, impegnati giorno e notte nei calcoli per risolvere i problemi crittografici.

Gli addetti alle fabbriche (miner), lavorano in turni estenuanti e dormono in genere sul posto in dormitori talvolta improvvisati.

Inoltre la necessità di costruire i sistemi nei pressi delle centrali elettriche impone alle fabbriche di essere molto distanti dai centri abitati, impegnando i miner a viaggi di ore per raggiungere i centri abitati e costringendo molti a dormire in fabbrica.

Alcuni ne approfittano per eseguire lavori in proprio sfruttando parte dei computer; la pratica è vietata dai titolari che tengono sotto controllo i dipendenti e se necessario li sanzionano.

Le fabbriche di Bitcoin sono tra i centri di produzione più grandi e potenti esistenti, lavorano in genere per conto di clienti in tutto il mondo, molti in Occidente e si amministrano trattenendo per sé una commissione sui nodi degli utenti; questi possono controllare in remoto il loro patrimonio di Bitcoin con una vastissima biblioteca di programmi applicativi.

In Europa esistono siti di produzione di Bitcoin in Germania e Svizzera; in Francia e Gibilterra sono in corso valutazioni delle norme legislative e di impatto economico e finanziario.

In Italia c’è la miniera di Calenzano (Firenze) attualmente la più grande, con più di 400 macchine e a Milano opera la CriptoMining a 500 metri dal Duomo, startup operativa da inizio 2018 con un programma a regime di 250 macchine produttrici di Bitcoin, in una sala di 60 mq al terzo piano sotterraneo per ragioni climatiche.

I computer e le loro ventole lavorano 24 ore su 24, 7 giorni su 7, con l’obbligo di non superare i 20 °C e un condizionatore gigante da 14 Kwh, il massimo disponibile sul mercato.

“Più macchine lavorano, più cresce il guadagno quotidiano”, affermano i titolari della società. “È imperativo coprire le spese energetiche, ogni macchina consuma come una lavatrice accesa in continuazione, con una bolletta di €300 al mese. Dallo smartphone possiamo tenere sotto controllo lo stato e la temperatura di ogni singola macchina, senza essere fisicamente presenti”.

 

Quanto vale un Bitcoin?

Le quotazioni della criptomoneta hanno toccato cifre impensabili.

Alla nascita nel 2009-2010 per un Bitcoin erano richiesti 30 centesimi di $.

Nel 2012 ci volevano 1.000$; il 20 settembre 2017 erano 3.882$, il 18 novembre 7.781$ e il 19 dicembre 17.523$; 6.552$ il 15 settembre 2018 e 5.578$ il 1 novembre; 3.372$ il 1 gennaio 2019 e 3.196$ il 12 gennaio 2019.

Negli ultimi 12 mesi il suo valore si è deprezzato del 72,26% mentre la sua volatilità (misura della variazione del prezzo nel tempo, in genere in 30 – 60 giorni) è oggi del 4,5%, nel 2010 era dell’8,12%.

Ciò invoglia sempre più persone a comprare Bitcoin o creare sistemi informatici sufficientemente potenti per produrre Bitcoin attraverso il mining.

Operazioni che hanno prodotto un duplice effetto collaterale: la necessità di assemblare computer sempre più potenti costruendo sistemi con decine di schede video montate in parallelo (GPU computing) e la lievitazione dei prezzi delle schede video, divenute rare e costose.

Da qui la crescita esponenziale dei consumi elettrici, rendendo anti-economico per l’utente produrre Bitcoin in modo autonomo, costringendolo in pratica ad associarsi a altri utenti.

 

Produrre un Bitcoin, quanto costa?

Il Bitcoin è uno strumento che grazie al protocollo peer-to-peer della Blockchain permette agli utenti della rete di certificare in modo autonomo una transazione di qualunque genere e di scambiare certificati digitali di proprietà che fungono da valuta.

I vantaggi offerti dalla Blockchain sono innegabili. Quali i punti deboli di questa tecnologia?

Se per produrre Bitcoin sono necessari computer sempre più potenti, per gareggiare nel vortice della concorrenza la fattura energetica sale vertiginosamente. Per ottenere un’unità di Bitcoin si consuma più di un Tesla [T] (per avere un’idea, una macchina per Risonanza Magnetica Nucleare con imaging consuma 1,5-3 T, una macchia solare emette 0,1T).

Secondo gli specialisti (Blockchain.srl), la potenza di calcolo necessaria per produrre i Bitcoin ha raggiunto livelli quasi insostenibili: ogni singola transazione, che richiede tra i 10 minuti e le 17 ore per essere completata e confermata, richiede circa 240 kWh. In tutto il mondo vengono completate circa 350.000 transazioni Bitcoin al giorno, con un bilancio energetico di 84 milioni kWh, pari a quello della Sicilia (6 milioni di abitanti).

Nel complesso si è arrivati a circa l'1% del consumo mondiale di elettricità. L’azienda energetica islandese, diventata il paradiso per il mining, ha lanciato l’allarme blackout per l’isola. “Se tutti i progetti d´installazione dei computer per il bitcoin mining verranno realizzati, l'Islanda non avrà più energia sufficiente" avverte il portavoce del Ministero dell’Energia.

Alla fine del 2009, i primi miner erano pionieri che usavano il proprio computer. Già nel 2013 ciò è divenuto impossibile per l’aumento dell’efficienza di calcolo e per l’esplosione dei consumi energetici.

L’analisi dei costi energetici storici porta a un consumo annuo di elettricità superiore a 1,5 GWh, (G = 1 miliardo) corrispondente a quello di 550.000 famiglie italiane con consumo medio annuo di 2.700 kWh (Rilevazione Enel).

Nell’ipotesi che la relazione fra la difficoltà di estrazione e i relativi costi si mantenga nel tempo, entro fine 2018 i consumi energetici sono destinati a raddoppiare rispetto al 2107.

A fine 2018 la crescita del costo marginale del Bitcoin è stimata a 4.230$ (6.500$ con il costo per l’acquisto dell’hardware) e l’equilibrio fra i costi marginali e il prezzo attuale non avverrà prima di fine 2019.

All’inizio 2020, la redditività per l’estrazione di Bitcoin si dimezzerà, il processo rimarrà redditizio fino a quando il prezzo non scenderà sotto il costo marginale, stimato per la rete a 6.600$. Se il prezzo dovesse scendere, per primi crollerebbero i miner con i più alti costi per l’elettricità, (Germania) mentre resisterebbero quelli con bassi costi dell’elettricità (Cina, Islanda e Russia).

Sia ben chiaro che ciò che determina quanta energia consumano i Bitcoin è il loro prezzo. Se il prezzo della criptovaluta sale, viene usata più energia per il mining; se cala, si abbassa anche il consumo.

(Continua)

 

Inserito il:14/01/2019 18:13:14
Ultimo aggiornamento:14/01/2019 19:38:58
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