Grom: non facciamo drammi.
C’era da aspettarselo. Decine di lacrimanti della tastiera e chissà quanti frequentatori di social media lamentano la cessione di Grom (“gloria del made in Italy”) alla multinazionale europea Unilever. Europea, anche se definita regolarmente anglo-olandese.
Sono sconcertato, ancora una volta, delle banalità che si dicono e scrivono in questi casi, dalla Parmalat devastata dalla disinvoltura contabile e di altro genere del signor Tanzi (e famiglia) alla cessione di una gelateria della cui reclamata artigianalità si era già recentemente discusso, senza peraltro produrre prove incontrovertibili.
La realtà, questa si incontrovertibile, è che i signori Grom e Martinetti, fondatori della gelateria e proprietari del marchio, si sono comportati da bravi imprenditori: hanno fondato un’azienda, l’hanno lanciata benissimo, con grande abilità, e quando hanno ritenuto fosse il momento opportuno hanno raccolto i frutti materiali della loro iniziativa. Questo è business, tutto il resto è classica comunicazione: la permanenza dei fondatori alla guida dell’impresa (vedremo per quanto e con quali deleghe effettive); l’artigianalità; l’agricoltura biologica italiana; il made in Italy; eccetera.
Grom e Martinetti evidentemente non avevano la voglia o la capacità o le risorse o i supporti adeguati per trasformare la loro società in una vera corporazione globale, il che li accomuna alla totalità o quasi degli imprenditori italiani. Pure il fatto che la stampa tenda a considerare multinazionale la Grom perché ha sei o sette negozi in giro per il mondo dimostra quanto anche gli osservatori economici siano afflitti da una visione assolutamente provinciale.
Insomma, non si può – non si dovrebbe – scrivere di Grom come se fosse la Olivetti dei bei tempi. Non facciamo drammi: di gelaterie artigianali secondo me migliori di Grom a Milano ne conosco molte. Credo che in Italia saranno migliaia, al contrario delle Olivetti.