Aggiornato al 25/04/2024

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Voltaire

 

Fourth Industrial Revolution: opportunità e sfide di una nuova era

di Daniele Bucello – Action Institute

 

Grazie agli sforzi congiunti di Stati membri e Commissione, il nuovo eGovernment Action Plan europeo riguardante il quinquennio 2016-2020 mira a modernizzare la pubblica amministrazione, ad agevolare il mercato digitale interno e ad impegnarsi con i cittadini e con le imprese per fornire servizi pubblici di alta qualità. Action Institute intende focalizzarsi sul tema della rivoluzione digitale esaminando anche le sfide e le criticità socio-economiche in prospettiva a livello globale.

 

“Non è la prossima rivoluzione tecnologica: è già qui”. Così sostiene il professor Klaus Schwab, ingegnere ed economista tedesco fondatore del World Economic Forum. Ma cosa si intende con tale espressione? Il concetto di rivoluzione indica sempre un qualcosa di rapido, repentino, quasi violento. Se le prime tre rivoluzioni industriali passate alla storia si sono basate rispettivamente su acqua e vapore per meccanizzare la produzione, sulla potenza elettrica per creare quella di massa e su elettronica e tecnologia dell’informazione per automatizzare la produzione stessa, la quarta, cominciata nel secolo scorso, è caratterizzata da un nuovo elemento ormai sempre più onnipresente: il digitale. Le ragioni per cui l’avvento di tale tecnologia viene considerato una nuova rivoluzione industriale a sé stante, e non il prolungamento della terza, sono la velocità, la portata e l’impatto dei sistemi sull’economia e sulla società.

Rispetto ai grandi mutamenti passati, infatti, questo si sta manifestando a velocità esponenziale anziché lineare, stravolgendo sempre più quasi tutti i settori produttivi in ogni paese. Fenomeni come “Internet of Things” e “Big Data” rendono sempre più diffusa la comunicazione e l’interazione reciproca tra macchine, prodotti e persone e l’analisi in tempo reale di grandi quantità di informazioni. Secondo alcuni dati, se nel 2012 il numero di device connessi alla rete in tutto il mondo era di 8,7 miliardi, attualmente risulta di 22,9 miliardi e nel 2020 raggiungerà i 50,1 miliardi. Esempi di nuove tecnologie digitali che sfruttano l’automazione e che saranno sempre più adottate da produttori e consumatori possono considerarsi la stampa 3D, i veicoli autoguidati, le biotecnologie, l’informatica quantistica ed i droni.

Se tutto ciò da un lato non potrà che stimolare la produttività delle imprese, l’offerta aggregata e quindi la crescita economica, dall’altro, come riporta il World Economic Forum citando gli economisti Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee, esiste però il rischio che possa generare disuguaglianza: la crescente sostituzione del lavoro umano con l’automazione potrebbe infatti aggravare il gap tra le rendite da capitale degli imprenditori ed i redditi da lavoro dei dipendenti. Inoltre secondo le stime di due ricercatori di Oxford, Carl Benedikt Frey e Michael A Osborne, il 47% dei posti di lavoro negli Stati Uniti sarebbe ad elevato rischio nei prossimi 20 anni proprio a causa dei cambiamenti in corso nell’ambito della digitalizzazione: ciò che non ha precedenti nella storia è che tale stravolgimento viene previsto nell’arco di una sola generazione, anziché di tre o di quattro, e riguarderebbe un insieme ampio di settori e lavoratori.

Quali strategie adottare, allora, per prevenire o quantomeno limitare tali possibili effetti distorsivi? Risponde Nicholas Davis del World Economic Forum: innanzitutto non andrebbe ignorato il fatto che la tecnologia stessa potrebbe offrire alle persone opportunità in più e posti di lavoro nuovi, sicuri e gratificanti; pertanto occorrerebbe investire nella formazione e nello sviluppo di competenze umane legate a scienza e tecnologia, in modo da rendere i lavoratori in grado di operare al fianco di macchine sempre più intelligenti affinché le loro abilità siano augmented e valorizzate – piuttosto che rimpiazzate – dall’automazione. In seconda battuta, continua l’esperto, bisognerebbe focalizzarsi maggiormente su quelle qualità che ci contraddistinguono in quanto esseri umani e ci differenziano dalle macchine, quali l’empatia, l’ispirazione, la creatività, la sensibilità e l’appartenenza, in modo da porle in evidenza – anche nell’ambito delle misurazioni economiche – come le fonti essenziali del valore creato all’interno delle varie comunità.

Inoltre, come sostiene Erin Ganju sul World Economic Forum, non va dimenticato come nel mondo esistano ancora parecchie società dove mancano i presupposti culturali ed educativi all’adozione delle nuove tecnologie e quindi ai relativi vantaggi. Le disuguaglianze in termini di alfabetizzazione ed educazione – così come peraltro quelle relative all’accesso ad Internet – sono barriere e freni rilevanti, soprattutto nei paesi del Terzo mondo. In molti di questi, tra l’altro, si è ancora ben distanti dalla parità, in termini di diritti, opportunità e rilevanza sociale, tra uomini e donne. Allora in tali paesi occorrerebbe investire sì sull’istruzione, ma anche – più nello specifico – sul ruolo e sul valore da attribuire alla figura femminile non soltanto come possibile madre ma anche come potenziale studentessa, scienziata o ingegnere: ossia come contribuente in prima persona al processo analitico, produttivo, innovativo ed anche interattivo su cui si fonda la rivoluzione digitale.

Ganju conclude che uno degli strumenti più efficaci tramite il quale abbattere tali barriere culturali potrebbe consistere peraltro proprio nell’apprendimento basato sul “cloud-based learning”, vale a dire l’istruzione virtuale, in modo che parecchi bambini possano ottenere l’accesso a materiali didattici di qualità in maniera efficiente ed economica; al tempo stesso non va trascurata la formazione degli insegnanti. È fondamentale poi che nei paesi a più basso reddito si stimolino le bambine a frequentare anche la scuola secondaria e, in generale, si promuovano ed alimentino in milioni di piccoli studenti competenze necessarie al successo professionale futuro al di là dello studio, come la fiducia, la consapevolezza di se stessi e la pianificazione finanziaria. Allora sì, si potranno avere intere comunità di persone nuove abilitate a partecipare a pieno regime – sia come fruitori sia come studiosi, progettatori e creatori – alla quarta rivoluzione industriale, e più se ne alimenterà ulteriormente il numero più questa risulterà sostenibile e vantaggiosa per tutti.

Autore: Daniele Bucello

 

 

Inserito il:06/07/2016 16:51:54
Ultimo aggiornamento:06/07/2016 16:58:54
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