Anonimo (anno 1951) - Hospital room - Tempera
La Sanità del nuovo secolo: la Riforma “Maroni”
di Elio Marmondi
Con legge regionale del 11 agosto 2015, n°23, meglio nota come “Riforma “Maroni”, si è creato il presupposto per l’evoluzione del sistema socio-sanitario lombardo che come noto era organizzato attraverso la legge regionale11 luglio 1997, n.° 31 , nota confidenzialmente come “la 31”, successivamente modificata ed integrata dalla legge regionale 30 dicembre 2009, n°33 che costituisce il “Testo Unico”, ovvero la raccolta delle normative sanitarie vigenti in Regione Lombardia.
Come noto alla base della 31 vi era il presupposto del libero accesso del cittadino a qualunque struttura sanitaria sia pubblica che privata, purché accreditata, quindi l’affermazione della libera concorrenza delle strutture sanitarie pubbliche e private ed il principio regolatore era quello della sussidiarietà orizzontale e verticale, secondo il quale l’organismo superiore(es: Regione) interviene quando quello inferiore (es: ASL o la stessa famiglia del paziente) non è in grado di intervenire in modo adeguato nei confronti del bisogno del cittadino.
La riforma Maroni conferma sostanzialmente tali principi ma viene evidenziato anche un fattore organizzativo particolarmente rilevante: l’”orientamento alla presa in carico della persona nel suo complesso”, ovvero del complesso dei suoi bisogni.
Si pone tuttavia come obiettivo fondamentale la ricerca di un modello che ponga al centro un intervento complessivo ed integrato nei confronti della patologia cronica: l’intervento sulla cronicità, prima suddiviso tra più soggetti operativi, ASL,Aziende ospedaliere e Comuni. La cronicità rappresenta, infatti,il problema degli anni 2000. Esiste, infatti una proporzionalità diretta tra cronicità e:
- allungamento della vita
- stili di vita alimentari e quelli legati alla sedentarietà
- paradossalmente, il progresso in campo medico-scientifico e farmaceutico.
Tale situazione pone la necessità di intervenire in modo differenziato, per motivi soprattutto organizzativi, ma anche economici nei confronti delle due tipologie di patologia, quella acuta che trova la sua naturale risposta in Ospedale, quella cronica in un processo di interventi che vedono coinvolti:
- La famiglia
- I medici di medina generale (MMG);
- I Comuni con i loro servizi socio-assistenziali;
- Le strutture intermedie quali RSA, IDR;
- L’ospedale di comunità in cui venga privilegiata l’assistenza infermieristica rispetto a quella medica e che nella legge, viene denominato POT (Presidio ospedaliero territoriale);
- L’ospedale tradizionale in cui sia possibile trovare risposta alla richiesta di riacutizzazione, in altre parole la fase acuta della patologia cronica.
Come confermato anche dalla recente deliberazione della Giunta Regionale n° 6164 del 30 gennaio 2017 avente per oggetto: “Governo della domanda: Avvio della presa in carico dei pazienti cronici e fragili. Determinazioni in attuazione dell’articolo. 9 della Legge n°.23/2015” dove il coordinamento del processo viene affidato ad un “Gestore” che potrà essere un soggetto pubblico o privato e che dovrà attivarsi per costruire la filiera con più soggetti che devono cooperare per soddisfare i bisogni dei pazienti.
Se, infatti, nel distretto socio-sanitario, in cui vengono coinvolti correttamente anche i sindaci dei Comuni che lo compongono, è relativamente meno difficile trovare un coordinamento tra i Comuni stessi, gli Enti assistenziali cosiddetti intermedi quali le RSA, (Residenze Sanitario-assistenziali), gli IDR (Istituti di Riabilitazione), gli ospedali di Comunità ( peraltro tuttora carenti) e l’ospedale tradizionale, appare ben più difficile, invece, trovare una sintesi tra il ruolo del medico di famiglia ed il resto dei soggetti coinvolti.
Il rapporto di lavoro del medico di medicina generale è, infatti, disciplinato dalla convenzione nazionale unica (CNU) che non offre alle Direzioni delle Aziende sanitarie, la possibilità d’ intervento diretto nei confronti di tale figura.
Appare, infatti, non più prorogabile la “riforma “del ruolo e dell’inquadramento formale del MMG, che deve essere visto come dipendente e quindi equiparato, in tutto, agli altri operatori del SSN (Servizio Sanitario Nazionale) o come vero e proprio “libero-professionista” e, come tale, convenzionato direttamente con le Direzioni Aziendali delle ATS (ex ASL) o dalle ASST (ex AO).
Un altro nodo affrontato dalla riforma Maroni è rappresentato dall’accorpamento delle Aziende sanitarie; infatti si è assistito all’accorpamento delle vecchie ASL in otto ATS (Agenzie di Tutela della Salute) e delle ex Aziende Ospedaliere divenute ASST (Aziende socio-sanitarie territoriali).
Se ciò costituisce una necessità di migliore razionalizzazione dell’offerta sanitaria al fine di realizzare la migliore economia di scala e quindi evitare sprechi di pubblico denaro, occorre ridisegnare sia le strutture semplici (ex moduli organizzativi) sia quelle complesse (ex primariati), nonché i dipartimenti gestionali e funzionali nelle singole “nuove” aziende.
Inoltre tale processo costituisce un accentramento di poteri che necessita, per una migliore gestione delle risorse umane e finanziarie, di una grande competenza manageriale, decisionale ed imprenditoriale.
Per condurre tali Aziende, senza nulla togliere agli attuali DG (direttori generali), il DG necessita di una formazione del tutto selettiva ed obbligatoria per l’accesso all’albo regionale dei direttori generali ancora molto lontana dai contenuti degli attuali corsi di formazione manageriale previsti dal D.lgs. 502/92 addirittura dopo la nomina.
In ogni ATS viene inoltre costituito un numero di distretti pari al numero delle Aziende Ospedaliere (ASST) comprese nelle ATS medesime e tali distretti hanno competenza sul territorio corrispondente al bacino di utenza territoriale delle stesse ASST.
“Nell’ambito delle risorse assegnate, hanno autonomia economico-finanziaria con contabilità separata all’interno del bilancio aziendale, nonché autonomia gestionale al fine di procedere all’analisi della domanda del territorio e programmazione delle attività, partecipare alle azioni di governo della domanda del territorio, coordinare la realizzazione degli interventi di promozione della salute e la realizzazione delle campagne di screening.
L’erogazione delle prestazioni relative alle funzioni distrettuali di cui al comma 6 sono affidate alle ASST ed ai soggetti erogatori del SSR, fatta eccezione per quelle prestazioni che le ATS, possono erogare (direttamente)” confermandosi anche in tal caso uno dei principi fondamentali della 31: la separazione della offerta (le ASST) dalla domanda (le ATS). Questo accorpamento distrettuale, se da un lato rientra in un ulteriore accentramento rispetto a quello voluto dalla stessa 31, e costituisce un passo che rafforza la componente territoriale, dandole anche autonomia economico-finanziaria, dall’altro, però, allontana sempre più il cittadino dall’istituzione sanitaria ed inoltre l’introduzione del duplice rapporto di riferimento oltre che dall’ATS ( come finora) anche dall’ASST può facilitare una confusione gestionale ed organizzativa, quando non un conflitto tra le direzioni distrettuali e quelle centrali di ATS e ASST.
Alla luce di ciò che abbiamo finora analizzato, la mancata concreta attuazione della riforma “Maroni” non dipende tanto dai suoi contenuti, quanto da elementi di contorno che indubbiamente hanno fortemente condizionato l’attuale situazione.
Occorreva forse procedere ad alcuni atti preventivi quali la riforma non solo del ruolo funzionale (da “gate Keeper” a quello di “care giver”), ma, soprattutto, dall’inquadramento di questa figura che, proprio in relazione a quanto si è finora affermato, risulta centrale nel quadro della sanità. La stessa istituzione di strutture alternative all’ospedale per acuti, quali gli ospedali di Comunità (i POT della legge ovvero Presidi Ospedalieri Territoriali), poteva precedere l’emanazione della legge di riforma. Un passo in avanti è comunque costituito dall’emanazione della predetta DGR del 30 gennaio 2017 sulla cronicità, che pone meglio la basi per la concreta attuazione della riforma stessa.
Infine la stessa Regione deve procedere a qualche correttivo organizzativo al proprio interno. Molto opportunamente si è deciso di accorpare gli ex assessorati “alla Salute” con quello alla “Famiglia, solidarietà sociale, volontariato e pari opportunità “in un unico Assessorato “alla salute e politiche sociali- Welfare”. Ciò costituisce condizione necessaria, ma non sufficiente, alle necessità, di avere un continuo front-line tra la componente gestionale della sanità: le direzioni aziendali locali e quella programmatoria centrale regionale. Appare ora necessaria la fusione degli apparati funzionariali degli ex assessorati, il ridisegno delle loro competenze nonché l’introduzione di nuove competenze di provata esperienza sulle nuove tematiche introdotte dalla riforma stessa.