Commento di Raffaele Mosca a Gianni Di Quattro - Olivetti: Dimenticare?
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Altri commenti alla fine dell’articolo di Gianni Di Quattro.
In modo un po’ superficiale si potrebbe affermare che il destino dell’Olivetti è stato in fondo quello di tutte le aziende informatiche europee, nessuna delle quali è sopravvissuta alla fine del millennio. Occorre però tenere presente che di queste l’Olivetti era la più grande e senz’altro quella che aveva, per dimensioni e presenza sui mercati, più possibilità di affermarsi a livello mondiale.
Condivido alcune osservazioni svolte nell'articolo, mentre su altre non sono d’accordo. Ad esempio sull'opportunità o meno, a fine anni ’70, di realizzare un sistema operativo proprietario (il MOS), dato che a quell'epoca alternative standard non erano disponibili e che Unix sarebbe diventato sufficientemente stabile e funzionalmente completo solo alla fine del decennio successivo. In quel periodo tutti i venditori di minicomputer avevano hardware e sistemi operativi proprietari.
Limitandosi all’era di De Benedetti, che è l’unica che conosco direttamente, ci sono invece almeno altri due “buchi” strategici, più qualche condizione al contorno, che vale la pena sottolineare. Il primo riguarda l’incapacità di riuscire a competere sulla fascia alta del mercato dei minicomputer dove, finché il paradigma di riferimento non è cambiato causando la crisi irreparabile di tutte le aziende (Sun, DEC, Honeywell, ecc.) che avevano fatto la storia di quegli anni, era possibile ottenere margini più elevati. Naturalmente quando dico “incapacità” mi riferisco al fatto che non ci si è provato con la necessaria convinzione e mettendo in campo gli investimenti necessari, mentre si è preferito acquisire chiavi in mano prodotti esterni che, per ragioni di prezzo o di scarsa adattabilità, hanno di fatto un ruolo marginale sul fatturato.
L’altro “buco”, ancora più strategico, ha a che fare con la natura intrinseca dell’Azienda, che nella sostanza è sempre stata un venditore di hardware, mentre invece il trionfo delle piattaforme standard (PC) avrebbero dovuto consigliare un riposizionamento sul fronte del software e dei servizi. IBM è sopravvissuta grazie a questo. In Olivetti il tentativo fu fatto quando era ormai troppo tardi (a metà anni ’90) e non c’erano più da investire le risorse che sarebbero state necessarie, perché le poche residue erano già state dirottate sull’operazione Omnitel.
Importante sottolineare alcune condizioni al contorno che hanno avuto un effetto nefasto sullo sviluppo dell’azienda. La prima, già sottolineata nell'articolo, riguarda la propensione prevalente di De Benedetti verso la finanza e la sua invece scarsa attitudine come manager industriale che ragiona su tempi lunghi: la scelta di “mollare” l’informatica e tentare l’avventura nelle TLC avviene nei primi anni ’90, al culmine di una crisi globale dell’intero settore dalla quale sarebbe stato forse possibile uscire, facendo le scelte opportune, in posizione di forza. L’altra fa invece riferimento alla quasi nulla consapevolezza della classe politica, di entrambi gli schieramenti, del valore strategico che la presenza di una forte industria informatica nazionale avrebbe potuto avere per la modernizzazione del Paese e della pubblica amministrazione in particolare. Anche in questo caso qualche tardivo ed un po’ abborracciato tentativo in questo senso venne fatto quando era ormai tardi (l’ipotesi di fusione con Finsiel). La crisi dell’Olivetti venne gestita come una crisi industriale “normale”: in modo esemplare dal punto di vista sociale perché nessuno venne licenziato, ma senza capire che cosa stava perdendo il Paese. Si era nella seconda metà degli anni ’90, un'era caratterizzata dal ruolo preminente di quel politico a cui si allude nell'articolo (e del suo fido scudiero all'industria) …
Raffaele Mosca