Sakubei Yamamoto (Coal miner and painter, 1892 - 1984) - Scenes of mining life
Cinismo cinese: gelo sociale sul cambiamento climatico
di Vincenzo Rampolla
All'Assemblea generale dell'Onu a fine settembre ‘21 si è tenuto l'intervento video del Presidente cinese Xi Jinping con l’annuncio sulle centrali a carbone: La Cina interromperà lo sviluppo all'estero, ma resteranno quelle all'interno del Paese e nei Paesi in via di sviluppo cercherà di promuovere metodi di produzione dell’energia più rispettosi dell’ambiente. L’annuncio è visto come un notevole passo nella lotta contro il riscaldamento globale, perché la Cina, maggiore produttore di gas serra al mondo, finora era stato uno dei principali promotori all’estero dell’utilizzo del carbone per produrre energia elettrica. Angela Merkel, invece, all’Onu ha annunciato che chiuderà in Germania tutte le centrali elettriche a carbone entro il 2038. Il piano investirà €54 miliardi e entro il 2030 ridurrà le emissioni CO₂ di 55 % rispetto al ‘90. Angela dixit.
Diversamente da altri leader, la Cina non ha fatto promesse sulla dismissione del carbone nel Paese, dove negli ultimi anni sono state costruite centinaia di nuove centrali e dove il principale metodo di produzione dell’energia elettrica si basa sul carbone. A Xi piace fare importanti annunci sul clima davanti ai Delegati Onu. L’anno scorso, nella stessa sede, si impegnò a far raggiungere al suo Paese la neutralità carbonica entro il 2060. Ma se a quello di un anno fa si pensa come a un passo storico, con Usa e altri Paesi europei incapaci di tali impegni in quel momento, l’annuncio ha una notevole portata, benché minore. Dice un antico proverbio cinese: Chi è fermo nel suo proposito, plasma il mondo a sua immagine. Teoria personale, cui Xi è particolarmente legato.
La Cina da diversi anni è ormai il più grande finanziatore e costruttore di nuove centrali a carbone in molti Paesi in via di sviluppo, soprattutto in Asia. Secondo l’International Institute of Green Finance, Centro Studi di Pechino citato dal Financial Times, tra il 2014 - 2020 la Cina ha investito $160 miliardi in nuovi progetti di centrali a carbone all’estero. Negli ultimi anni, tuttavia, diversi progetti sono stati abbandonati a causa della concorrenza delle energie rinnovabili e nel 2020 l’approvazione di nuovi progetti di centrali a carbone all’estero si è bloccata. Se la Cina smettesse di finanziare e promuovere la costruzione di nuove centrali a carbone potrebbe essere un valido miglioramento per le politiche climatiche di molti Paesi in via di sviluppo, portati spesso a scegliere il carbone perché opzione meno costosa e con dietro i finanziamenti cinesi. La loro transizione energetica potrà essere facilitata se la Cina manterrà l’impegno di alternative più rispettose dell’ambiente. L’ha appena detto Secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia, per ridurre l’aumento della temperatura globale sotto 1,75 °C rispetto all’epoca preindustriale, dovrebbe chiudere tutte le sue centrali a carbone entro 30 anni, eccetto le poche con sistemi di cattura di CO₂.
Justin Gray, DG di Sunrise Project, Associazione Ambientalista di Transizione Energetica, ha detto a Reuters: Il ruolo cinese nella promozione di nuove centrali è così importante che se non ci fossero finanziamenti a favore del carbone da parte della Cina, l’espansione dell’utilizzo di carbone nel mondo sarebbe ridottissima, se non nulla.
Quest’annuncio importante è però oscurato in parte dal fatto che la Cina continua non soltanto a fare ampio utilizzo di centrali a carbone per produrre energia elettrica, ma anche a costruirne di nuove. Secondo una ricerca del finlandese Centre for Research on Energy and Clean Air, nel 2020 la Cina ha costruito centrali a carbone per una potenza pari a più del triplo di quella installata dall’insieme di tutti gli altri Paesi del mondo. Inoltre, nuove centrali a carbone sono cominciate, per più di 73 gigawatts (GW- miliardi W), 5 volte maggiore di quanto installato sul pianeta, grazie in particole alla forte accelerazione delle licenze di costruzione. In due parole: la Cina ha messo in piedi un piano che equivale a costruire ogni settimana una grande centrale a carbone, nel preciso istante in cui la maggior parte delle economie avanzate cerca di ridurre la dipendenza dal carbone.
A livello globale, gli investimenti nel carbone sono in calo, e nel corso degli ultimi 20 anni sono state dismesse più centrali a carbone di quante ne siano state costruite. Nonostante ciò, dichiara al NY Times Kevin P. Gallagher, docente di Sviluppo internazionale alla Boston University, è necessario che ai Paesi in via di sviluppo siano fornite alternative al carbone altrettanto economiche ed efficaci: l’annuncio cinese è positivo, a patto che si continui su questa strada.
Dello stile del presidente Xi Jinping sulla lotta dell'Occidente per i cambiamenti climatici, nulla parla più chiaro di un altro detto cinese: Dietro al sorriso nasconde il coltello. La riluttanza di Pechino nella conferenza COP26 di inizio novembre 2021 a Glasgow, per dare un serio contributo ai tentativi di ridurre le emissioni globali, ha sollevato preoccupazioni legittime sul fatto che la Cina stia cercando di ottenere un vantaggio economico sui rivali occidentali, mentre questi lottano sulla sfida di raggiungere l’obiettivo di CO₂ zero. È infatti opinione crescente su entrambe le sponde dell'Atlantico, che le drastiche riduzioni dell'emissione di CO₂ potrebbero provocare il caos economico alle economie occidentali se si persegue la ricerca di economie verdi a scapito del mantenimento delle forniture energetiche. In Europa, ad esempio, la corsa all'abbandono dei combustibili fossili tradizionali come principale fonte di energia ha portato a una maggiore dipendenza dalle forniture di gas dalla Russia attraverso il discusso gasdotto Nord Stream 2.
L’ambizione primaria del buon comunista Xi è di minare il capitalismo occidentale, non di sostenerlo, ragione per cui non ha la minima intenzione di difendere quella che lui giudica la folle corsa dell'Occidente alle emissioni di CO₂ zero. Nel frattempo i leader mondiali si danno da fare a Glasgow e cercano disperatamente di raggiungere un accordo sulla riduzione delle emissioni di CO₂, che secondo gli esperti climatici Onu è una delle principali cause del cambiamento climatico. Detto e ripetuto alla nausea. Non sono mancate cupe previsioni in vista del vertice, con John Kerry, inviato di Biden per il clima, che ha tuonato che questa è l'ultima migliore possibilità del pianeta per fermare una catastrofe climatica e con il Premier britannico Boris Johnson che ha dipinto in modo altrettanto apocalittico l'incapacità mondiale di affrontare il problema, mettendo a rischio il destino della civiltà.
Mentre si mercanteggiava sulla velocità con cui possono raggiungere l'obiettivo zero netto che l'Onu difende come essenziale per evitare che il riscaldamento climatico raggiunga livelli non sostenibili entro fine secolo, Xi ha dimostrato una crudele mancanza di interesse per i tagli richiesti dagli attivisti per il clima. Forte è stata la preoccupazione per il rigetto di Pechino a unirsi alla corsa per raggiungere emissioni zero entro il 2030, obiettivo chiave della COP26, con finale a sorpresa: dare alla Cina un enorme vantaggio economico rispetto ai rivali occidentali.
Con l’Onu che sbrodola a più non posso avvertimenti sul fatto che il mondo deve affrontare caos e conflitto se non si interviene, Xi, il cui Paese è uno dei più alti emettitori di CO₂ al mondo, ha dimostrato la sua riluttanza a cooperare. Conferenza di Glasgow boicottata. Nessuna corsa allo zero netto. Incivile rifiuto di partecipare in video alle discussioni con i leader mondiali. Il Presidente russo Vladimir Putin è stato un secondo grande disertore, evocando a gran voce le paure per le restrizioni Covid di non recarsi a Glasgow. La sua assenza è stata vista come una nuova batosta per le prospettive del vertice di accettare e varare un vero piano di riduzione CO₂.
Di gran lunga più preoccupante della mancata partecipazione dei Presidenti cinese e russo, tuttavia, è stata la deludente risposta di Xi alle richieste dell’Onu di ridurre le proprie emissioni. António Guterres, segretario generale Onu, ha chiesto alla Cina di garantire il picco delle emissioni prima del 2030, contribuendo in tal modo agli sforzi per mantenere l'aumento della temperatura globale all'1,5%, obiettivo fissato dall'accordo di Parigi del 2015. Il futuro dell'umanità dipende dal mantenimento dell'aumento della temperatura globale a 1,5°C entro il 2030, ha detto Guterres, e i leader mondiali sono stati assolutamente incapaci di tenere sotto controllo questo obiettivo.
La Cina invece, si è lanciata a testa bassa a emettere più gas serra di quello prodotto da tutti i Paesi del mondo messi insieme, e ha fornito una risposta volgarmente né calda né fredda alle richieste di intraprendere azioni più drastiche. Un rapporto di inizio anno del Rhodium Group ha confermato fatti già noti, cioè emissioni della Cina più che triplicate negli ultimi 30 anni e cresciute al punto da esalare nel 2019 la bellezza del 27% dei gas serra mondiali: una nuvola di veleno su 3 è cinese.
Nella sua presentazione formale all’Onu prima del vertice COP26, la Cina ha apportato solo un lieve miglioramento al suo piano di riduzione delle emissioni, obbligando un esperto di clima europeo a criticare il piano cinese, giudicandolo deludente e mancata opportunità.
In conclusione: il fabbisogno energetico dell'economia cinese dipende molto dalle centrali elettriche a carbone, ampiamente responsabili del riscaldamento globale, Pechino mostra scarsa propensione a sviluppare modalità energetiche alternative e decide di aprire nei prossimi anni centinaia di altre centrali a carbone. Risultato: le nuove centrali a carbone cinesi compenseranno ampiamente tutte le chiusure di altre centrali a carbone avvenute nel resto del mondo nel 2020.
La Commissione Nazionale per l'Energia di Pechino ha difeso la necessità di costruire più centrali elettriche a carbone e ha sottolineato l'importanza di un regolare approvvigionamento energetico, poiché alcune aree del Paese sono recentemente sprofondate nell'oscurità a causa delle numerose interruzioni di elettricità. Il rifiuto di Xi di impegnarsi seriamente con l'agenda sui cambiamenti climatici della COP26 equivale a burlarsi della tesi di Biden secondo cui il modo migliore per migliorare la condotta di Pechino avviene attraverso una più profonda cooperazione diplomatica. Questa sarebbe l'opinione di Jake Sullivan, Consigliere per la sicurezza nazionale degli Usa, dopo i suoi recenti incontri a Pechino con i membri anziani del Partito Comunista Cinese. Tessitore a 37 anni degli accordi di Teheran sul nucleare, veterano del clan del potere democratico, consulente di Hillary Clinton alle primarie del 2008, poi di Obama nella campagna presidenziale, accompagnatore di Hillary in 112 Paesi negli anni in cui lei era Segretario di Stato, Consigliere per la sicurezza di Biden vicepresidente dal 2013, ha plasmato la posizione Usa sui dossier scottanti di Libia, Siria e Myanmar. Basta che non esca da quegli incontri con la tessera del PCC, secondo il detto italico:
Chi va con lo zoppo, impara a zoppicare.
(consultazione: scmp; washington post; il post.it; con coughlin – gatestone institute; le monde; centre of research on energy and clear air; christine.shearer - globalenergymonitor.org; lauri myllyvirta - energyandcleanair.org)