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Shale gas e shale oil (4) - Italia e UE
di Vincenzo Rampolla
È fondamentale conoscere il processo estrattivo, costruire un piano, decidere e agire. È una questione di metodo.
L’UE stima in circa 450.000 Mld, a livello mondiale i giacimenti. L’Europa in particolare avrebbe a disposizione 14.400 Mld di m³ di shale gas, a fronte di un consumo annuale di circa 500 Mld.
Italia. Nella penisola il shale gas è presente in Toscana (Amiata), Sardegna (Sulcis), Sicilia, Basilicata e Puglia. Riserve per 10 Md e 100 Md di barili di shale oil. In Sicilia sono stati scoperti giacimenti di scisto bituminoso per 73 Md m³ di barili e molte società, soprattutto americane, negli anni scorsi, avevano manifestato l’interesse ad avviarne l’estrazione. Poi la burocrazia le ha terrorizzate e non se n’è fatto più niente. Ma il Governo Meloni, chiamato a fronteggiare la più grave crisi energetica del Secondo dopoguerra, sta tornando a considerare con favore i giacimenti di idrocarburi onshore e offshore scoperti, ma solo parzialmente coltivati per le remore burocratiche e l’opposizione delle popolazioni locali, come una risorsa preziosa da mettere in campo per accrescere la produzione nazionale di gas e petrolio, potendo così contribuire a rendere l’Italia un pochino meno dipendente dal punto di vista energetico dall’import estero di quanto lo sia oggi.
I mass media, che in genere si interessano a tutto, non sono stati molto solleticati dall’argomento. Il shale oil è un succedaneo del petrolio greggio, tuttavia, la sua estrazione è più costosa rispetto alla produzione di greggio convenzionale sia finanziariamente, sia in termini di impatto ambientale. Nella frantumazione la roccia rilascia il gas che può risalire in superficie. Si stima che il recupero di gas si aggiri intorno al 30% del gas presente nel sito, contro il 70% del recuperato nei giacimenti convenzionali. Ciò si traduce in un numero di perforazioni elevate per poter ottenere quantità di gas naturale che permetta la continuità produttiva. Un secondo fattore è che queste riserve sono ubicate anche in Paesi che, tradizionalmente, non sono grandi produttori di idrocarburi convenzionali, e ciò influenza la geopolitica mondiale. Gli Usa, ad esempio, grazie al shale gas, hanno energia a basso costo che impiegano per accelerare la crescita industriale e ambiscono a continuare ad essere un Paese esportatore.
Il primo effetto di questa politica è che l’eccesso di offerta ha disaccoppiato il prezzo del gas naturale da quello del petrolio e i prezzi del gas si stavano riducendo almeno fino all’esplosione della guerra in Ucraina. Secondariamente, Russia e Paesi del Golfo avrebbero un concorrente diretto e vacillerebbe la loro egemonia. Guardando l’Asia, anche la Cina scommette sul shale gas per smarcarsi almeno in parte dalla dipendenza energetica esterna.
Europa. l’Europa deve fare i conti con un territorio densamente popolato e con la mancanza di grandi aree desertiche che invece favoriscono, come nel caso del Texas, patria delle prime attività shale, la ricerca e l’estrazione dello shale gas. Secondo le previsioni della IEA (International Energy Agency), in Europa ci sarebbero 22,000 Mld m³ di gas non convenzionale shale gas. Dal canto suo, la EIA (Energy Information Administration) stima invece 14/17,000 Mld m³ di shale gas. Non tutta questa enorme quantità di gas (ipotizzata) si potrebbe però sfruttare, perché non sempre è facile, o conveniente dal punto di vista ambientale, estrarre shale gas, è stato analizato in lungo e in largo.
L’UE sta discutendo la questione gas non convenzionale, ma al momento non c’è una decisione univoca tra gli Stati membri. La Polonia e i Paesi dell’Est vorrebbero mano libera per svincolarsi dalla dipendenza dal gas russo. È un paese promettente come potenziale produttore di shale gas, seguita dalla Francia, ma le ricerche sono tuttora deludenti. Su 51 perforazioni di shale gas effettuate nessuna di queste ha prodotto risultato.
La Francia si oppone per i rischi connessi all’estrazione mediante fratturazione e ha già approvato una moratoria valida all’interno dei confini nazionalie e si è visto che ha comunque le riserve piene. Al contrario, la Gran Bretagna ha deciso di investire su questa nuova frontiera, a cominciare dalla ricerca connessa ai possibili rischi da fracking.
In Italia spesso si parla di shale gas e di fracking al 90% a sproposito. Si sta diffondendo l’idea che estrarre gas equivale a fare fracking, cosa che non corrisponde alla verità. In merito alla Comunicazione e alla Raccomandazione del 22 gennaio 2014 della Commissione Europea, riguardanti le procedure e le cautele minime che gli Stati membri interessati alla ricerca e allo sfruttamento dello shale gas devono adottare nei confronti dei rischi per la salute e l’ambiente, l’Italia nel marzo 2013 ha adottato una Strategia Energetica Nazionale che non prevede il rilascio di licenze per la ricerca e lo sfruttamento dello shale gas.
In Italia esiste qualche potenzialità nel metano contenuto nei piccoli strati diffusi di torba e carbone, per esempio nel sottosuolo delle miniere del Sulcis in Sardegna. Si tratta di un idrocarburo non convenzionale, ma non è shale gas. Apro una parentesi. Per estrarre questo metano si utilizzerebbe la tecnica ben collaudata relativa ai Coal Bed Methane (CBM) che non richiede la frantumazione della roccia, né l’aggiunta di solventi per far fluire meglio il gas di produzione.
Il tema della frantumazione idraulica lascia ancora questioni aperte, ma a volte il tono della discussione è più una risposta ai timori della popolazione, dei sindacati e degli ecologisti che il risultato di un reale dibattito scientifico e, ovviamente , sale di livello in periodo pre-elettorale. Il problema più evocato con l’estrazione dei gas mediante fracking è quello della sismicità indotta, creata cioè dai fluidi iniettati nel terreno ad altissima pressione. Su questo aspetto la discussione è spesso distante dalle conoscenze scientifiche richieste. L’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV) ha caratterizzato l’intero territorio nazionale ed ha attivato una rete di monitoraggio capillare e assai avanzata, quindi eventuali progetti in aree a sismicità moderata o bassa, potrebbero essere valutati, con le necessarie cautele.
I concorrenti
Ovviamente la Russia, con 37.4 Mld m³ pari a 19,9% del totale mondiale, l’Iran con 32.000 Mld m³ pari a 17,1% del totale, il Qatar, che estrae 24.700 Mld m³, 13,1% del totale, e il Turkmenistan, con 13.600 Mld m³, pari a 7,2% del totale. Il Qatar ha scommesso in tempi non sospetti sul ciclo rialzista del gas naturale e intanto è il maggiore produttore mondiale di LNG e negli anni scorsi ha rilanciato affidando un progetto di circa $30 Mld a McDermott International per un intervento che riguarda l’espansione del North Field East nel Golfo Persico: dovrebbe aumentare la capacità di produzione da 77,9 a 110 Mton/anno entro il 2025. A seguire il North field South porterà la sua capacità a 126 Mton/anno di LNG. A questo impianto se ne affianca uno di cattura e stoccaggio di CO₂, in modo da ridurre l’impatto ambientale della produzione.