Aggiornato al 21/12/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Kume Bryant (Contemporary, Tucson, Arizona) - Artificial Intelligence - 2013

 

AI o ND - Intelligenza artificiale o Deficienza naturale?

di Tito Giraudo

Nel Futuro, il Centro Pannunzio e il Dipartimento di Informatica dell’Università di Torino organizzano il 10 Ottobre un’importante giornata di studio sull’intelligenza artificiale, al quale parteciperanno: Docenti, Studenti, Giornalisti e Sindacalisti, oltre a uno dei pionieri dell’informatica italiana.

 

Solo apparentemente AI, può sembrare una fuga in avanti dal momento che la vera intelligenza artificiale è ancora confinata nella letteratura fantascientifica. Tuttavia, i passi da gigante dell’informatica abbinata allo sviluppo della Rete, fanno apparire un’intuizione come sempre più realizzabile, anche se nei tempi e nelle forme ancora difficili da ipotizzare.

Ma se gli scienziati ci diranno quanto siamo ancora distanti per poter definire intelligente una macchina, oggi, a mio parere, l’abbinamento tra l’informatica dei computer e la rete, creano un mix senziente che ha modificato e sempre più modificherà, la vita dell’uomo.

Perdonate se approfitto per interessi di bottega, presentandovi quello che per noi è stato un impegno che, nato da “Nel Futuro” Magazine, ha ricevuto prima l’appoggio entusiasta del Centro Pannunzio e poi del Dipartimento di informatica dell’Università di Torino che ha fornito buona parte dei relatori. Che dire poi degli studenti che si sono riuniti in un comitato coordinato dalla più giovane firma di nel futuro: Federico Torrielli che, tra l’altro è pure il più giovane aderente al Pannunzio e che daranno vita ad una tavola rotonda moderata da Silvia Rosa Brusin Direttore del TV RAI Magellano.

Partendo dall’evento, vorrei fare alcune considerazioni sui ritardi che la politica ma, anche la società civile in genere, hanno nei confronti del progresso scientifico, ritardi che sono evidenziati dal disprezzo che in questi giorni emerge nei confronti anche delle sole semplici competenze. Siano esse culturali, economiche o scientifiche.

Per sgombrare il campo dalla facile critica politica, vorrei dichiarare che non sto difendendo le burocrazie, quelle si, sempre perniciose e in parte responsabili dell’immobilismo riformista di questo paese. Parlo delle vere competenze, quelle che partendo dalla scuola, per arrivare alla complessità dei centri studi e di ricerca della grande industria, nel mondo bancario e finanziario. Naturalmente, nulla m’importa, se scandalizzo quelli del “piccolo è bello!”

Le ricadute del progresso scientifico, avvengono sempre più velocemente e il più delle volte vengono assimilate senza nemmeno averne piena coscienza.

L’informatica in generale e la Rete, sono per ora i due elementi che caratterizzeranno questo secolo, come l’industria ha caratterizzato l’altro. Strano è, che al progresso scientifico, corrisponda un regresso politico e culturale, questo per l’affermarsi di una simil-cultura popolare e dall’attuale crisi delle élites.

E’ mia abitudine, chiedo venia, dare dei riferimenti storici.

Nel nostro Paese, verso la metà degli anni 50, si è assistito ad un grande sviluppo industriale, anche se localizzato solo al nord, il ché ha permesso con l’emigrazione di far crescere il tenore di vita generale. Quelli furono gli anni della maggiore accumulazione industriale e di un innalzamento del tenore di vita “virtuoso”, perché dato dal lavoro. Accanto al lavoro industriale crebbero professioni e soprattutto quel grande tessuto di artigiani e piccole imprese che è la caratteristica nel bene e, nel male, dell’Italia.

Chi scrive, ha passato i primi anni della sua giovinezza in una fabbrica: la Olivetti di Ivrea che fu la punta avanzata di quel fenomeno. Soprattutto fu uno dei pochi esempi dove la ricerca tecnologica ebbe uno spazio ragguardevole. L’Elea, uno dei primi grandi calcolatori a livello mondiale fu un’esperienza esaltante che purtroppo con la morte di Adriano Olivetti non ebbe seguito, aprendo però la strada ad altri gruppi che operando in Paesi meno improvvidi, diedero vita all’era informatica.

Simone Fubini, che aprirà gli interventi della Giornata di Studio, fu uno di quegli uomini e ci racconterà di quell’esperienza che avrebbe potuto cambiare il nostro paese, se il fato, e una classe industriale e politica improvvide, non ci avessero messo lo zampino.

Io, che al tempo ero un umile dipendente che nulla sapeva e capiva di elettronica e di informatica, posso però raccontarvi i gravi ritardi che la società cosiddetta civile ha avuto nei confronti del progresso scientifico.

L’automazione, trova il suo grande sviluppo nella grande industria e poco importa se la spinta nel nostro Paese è stata data più dalla conflittualità sindacale, che non dalla preveggenza manageriale.

Chi scrive, visse da sindacalista negli anni 60 i prodromi di quello che successe nei decenni seguenti:

L’introduzione di nuovi macchinari, e non parlo ancora dei robot ma delle macchine a controllo numerico, sviluppò le aziende che investivano in innovazione, creando problemi di concorrenza da obsolescenza però in molte altre.

Quello era il momento di guardare avanti, dando retta a coloro che sostenevano che il fordismo e il taylorismo stavano per andare in soffitta sostituiti dall’automazione e dalla specializzazione della mano d’opera.

Paradossalmente, quello stesso sindacato che aveva denunciato l’alienazione della catena di montaggio, invece di guardare avanti si concentrò sulla mera difesa dei posti di lavoro, battaglia che con un’analisi meno superficiale, non sarebbe stata persa in modo così disastroso come avvenne negli anni 80.

In questo Paese esiste una strana mentalità, e cioè che tutto dipenda dalla politica e che lo Stato, a volte taumaturgico ma il più delle volte colpevole, sia l’epicentro dei fenomeni. Oggi poi, ci siamo persino dimenticati della rovinosa fine del socialismo reale e dello Stato Padrone che fallì a tutti i livelli: del benessere, della cultura, della scienza e soprattutto delle più elementari libertà.

Tornando all’altro secolo, politica e cultura in generale, guardarono al progresso scientifico quasi sempre con diffidenza e a volte anche con ostilità. Voglio citare un esempio magari un po’ banale ma indicativo di una mentalità.

Negli anni 70 ci fu l’introduzione della TV a colori, in regime di monopolio statale, alla nostra RAI fu impedito di uscire dalla fase sperimentale per trasmettere a colori. Non si voleva che gli Italiani investissero in beni di consumo che la politica dell’epoca considerava futili. Risultato? Un paio di anni dopo la TV a colori entrò sul mercato, salvo che nel frattempo l’abbastanza florida industria italiana del settore, aveva chiuso i battenti a beneficio di olandesi (Philips) e tedeschi (Grundig).

Negli ultimi anni con la fine delle ideologie e il mutare dei mezzi di comunicazione, assistiamo ad una profonda trasformazione della politica, nuovi ceti si affacciano, soprattutto il giovane popolo della rete. Non sono tra quei vecchietti che demonizzano il nuovo, e se intellettuali hanno la puzza sotto il naso rispetto ai mezzi di comunicazione di massa.

Più volte ho sottolineato che tra fine ottocento e inizio novecento ci fu un’esplosione della comunicazione cartacea accompagnata dalla scuola dell’obbligo, creando un mix di comunicazione entro cui prevalsero le spinte rivoluzionarie che ora preferiamo chiamare populiste. I socialisti prima, e i Fascisti dopo, furono i protagonisti di una stampa diffusa e capillare e al tempo stesso partigiana e ideologica.

Un settimanale come l’Ordine Nuovo, contribuì fortemente a creare quel clima di rivoluzione velleitaria che aprì le porte, anche mediante la stampa avversa, alla propaganda nazionalista e fascista.

Scandalizzarsi se oggi la rete e i social sono pieni di sparate disinformate e di fake news, non serve a nulla, anche perché il giornalismo tradizionale, sia della carta stampata, come della televisione ha dato il via a quei toni apocalittici che stanno caratterizzando la critica politica.

Anche per il tanto mitizzato passato le cose non andarono meglio.

Nel 48 ci fu una propaganda elettorale dove i comunisti accusavano i DC di essere dei ladri al servizio dell’America e questi rispondevano dando loro degli assassini al servizio dei Sovietici.

Credo quindi, se vogliamo capirci qualche cosa dell’attuale momento politico, sia meglio estrapolare la propaganda, per guardare al sodo.

Quali sono i problemi principali che ha il nostro paese?

In primis, il debito pubblico che al di là degli alibi europei o del mercato, ci impedisce di investire in quei settori che andrò a elencare.

Il fisco, la scuola, la ricerca, e su tutti l’occupazione che è intimamente legata ai primi tre.

Quello della povertà, sarà anche un problema, ma in questo Paese leader mondiale del lavoro nero, delle mafie (che sono un’industria di prima grandezza), soprattutto dell’arte d’arrangiarsi, il tutto peggiorato da controlli inesistenti se non corrotti. E’ questo il super problema!

Il mio non è partito preso verso questa generazione di trenta-quarantenni che ora è al Governo.

Lo svecchiamento della politica era sacrosanto come il superamento dei vecchi schemi: destra, sinistra; necessario almeno dalla fine del comunismo reale (chiamare socialismo quello dell’URSS non mi sembra appropriato). La mia perplessità riguarda la vetustà delle proposte di Governo che con tanta pervicacia vengono portate avanti.

Vogli farvi un esempio: il reddito di cittadinanza mi pare una misura di tipo democristiano, volto ad accontentare l’elettorato meridionale che di lavoro parla sempre, ma lo vuole statale e vicino a casa Questa riforma, per essere una cosa seria avrebbe bisogno di ben altre risorse di quelle che si vuole o si può mettere in campo.

Cambiamo campo e componente di Governo: la legge Fornero.

Nessun indicatore con una base scientifica: se le pensioni devono essere una voce autofinanziata, può sostenere che l’equilibrio tra la popolazione anziana e i nuovi assunti sia a favore di questi ultimi, dal momento che il progresso tecnologico è la causa principale, soprattutto nella grande industria, del calo di disponibilità di posti di lavoro e, occorre dire che per il futuro l’automazione e la digitalizzazione cresceranno ulteriormente.

Se quella dei 5Stelle è una proposta democristiana, quella della Lega mi pare una proposta Comunista e del Sindacato Comunista che, delle pensioni, hanno sempre avuto un’idea statalista e assistenziale. La battaglia di Salvini, accontenterà la fascia dei sessantenni ma a scapito di tutte le generazioni che verranno dopo.

Se la rivoluzione giovanile dei giallo-verdi (che non sono più verdi) è questa, io la chiamerei più appropriatamente: Ritorno al passato.

Sentite da costoro parlare di scuola? di nuovi posti di lavoro che non siano quelli farlocchi del turnover?

Sentite parlare di ricerca applicata a nuovi settori produttivi in simbiosi con le università?

L’unico messaggio di questi giorni è il superamento del numero chiuso, tanto per non poter programmare e adeguare alle richieste dei nuovi mercati la popolazione scolastica.

La riduzione delle tasse, andava abbastanza nella direzione dello sviluppo ma, noto, che Salvini fa il duro sugli immigrati (anche perché forse non è più un problema impellente), ma fa il gradualista sulla flat tax; il tutto, finalizzato ad una pericolosa escalation antieuropea che potrà anche andare bene a noi vecchietti nazionalisti ma certo non ai giovani, sempre più mondializzati.

Si può andare contro il progresso?

Sì. Ma è una battaglia del breve periodo che presuppone una débâcle finale.

Intanto noi vecchietti del Pannunzio e di Nel Futuro, facciamo il convegno sull’intelligenza artificiale con i giovani del dipartimento di informatica dell’Università di Torino. Potrebbe essere un segnale….

 

Inserito il:03/10/2018 18:49:14
Ultimo aggiornamento:03/10/2018 18:59:39
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