Bandiera dell'Europa
Dopo quelli di Bruno Lamborghini e di Achille De Tommaso, pubblichiamo questo articolo di Ruggero Cerizza, sempre propedeutico all' Incontro a tema di Nel Futuro "Il Rapporto Draghi sulla competitività europea e le prospettive dell’UE" che avrà luogo sulla piattaforma Zoom giovedì 10 ottobre alle ore 17:00.
Oltre che ai Soci dell'Associazione Culturale Nel Futuro, l'invito a partecipare alla presentazione ed al dibattito viene in questa occasione esteso a tutti i lettori interessati a questo argomento di estrema importanza e attualità. Richiedere le credenziali per l'accesso alla sessione Zoom a: convegni@nelfuturo.com oppure a redazione@nelfuturo.com.
Commento semi-serio alla Prefazione del Rapporto DRAGHI
di Ruggero Cerizza
In occasione del prossimo Incontro a tema di Nel Futuro "Il Rapporto Draghi sulla competitività europea e le prospettive dell’UE" mi sono dilettato di commentare in maniera, mi auguro, divertente e, sicuramente, irriverente la Prefazione del Rapporto Draghi. Ho ripreso il testo integrale in italiano e vi ho inserito, evidenziandoli con carattere corsivo tra parentesi quadre, i miei pensieri periodo per periodo.
Prefazione
L’Europa si preoccupa del rallentamento della crescita dall’inizio di questo secolo.
[bon, e quando inizierà ad occuparsene?]
Si sono succedute varie strategie per aumentare i tassi di crescita, ma la tendenza è rimasta invariata.
[pardon, mi correggo, se ne è occupata ma con risultati nulli]
Secondo diverse metriche, si è aperto un ampio divario nel PIL tra l’UE e gli Stati Uniti, guidato principalmente da un rallentamento più pronunciato della crescita della produttività in Europa.
[gli USA corrono e noi invece passeggiamo serenamente]
Le famiglie europee hanno pagato il prezzo della perdita del tenore di vita. Su base pro capite, il reddito disponibile reale è cresciuto quasi il doppio negli Stati Uniti rispetto all’UE dal 2000.
[in pratica, lo scotto dei predetti errori strategici lo hanno pagato i cittadini della UE, peraltro come avviene sempre …]
Per la maggior parte di questo periodo, il rallentamento della crescita è stato visto come un inconveniente, ma non come una calamità.
[conseguenza logica per chi auspica l’approccio “SLOW”, prediligendo la comodità allo “sbattimento”...]
Gli esportatori europei sono riusciti a conquistare quote di mercato nelle parti del mondo in più rapida crescita, soprattutto in Asia.
[per le aziende esportatrici la globalizzazione è stata una MANNA DAL CIELO, per le altre…. bè non si può mica accontentare tutti]
Molte più donne sono entrate nella forza lavoro, aumentando il contributo del lavoro alla crescita.
[scelta volontaria o obbligata dalla riduzione del reddito familiare? e, comunque, nell’acclarata assenza di crescita è lecito affermare che il loro apporto non si è rivelato produttivo?]
Inoltre, dopo le crisi dal 2008 al 2012, la disoccupazione è diminuita costantemente in tutta Europa, contribuendo a ridurre la disuguaglianza
[ovviamente parametrandola verso il basso e bloccando i pulsanti dei piani alti dal cosiddetto “ascensore sociale”]
e a mantenere il benessere sociale.
[ma non abbiamo detto prima che il tenore di vita è calato?]
L’UE ha anche beneficiato di un ambiente globale favorevole. Il commercio mondiale è cresciuto grazie alle regole multilaterali.
[per fortuna che l’ambiente globale è stato favorevole altrimenti dove saremmo finiti ora?]
La sicurezza dell’ombrello di sicurezza degli Stati Uniti ha liberato budget per la difesa da destinare ad altre priorità.
[ebbè! la “comodità della americanizzazione” è un vizio atavico della UE]
In un mondo di geopolitica stabile, non avevamo motivo di preoccuparci della crescente dipendenza da Paesi che ci aspettavamo rimanessero nostri amici.
[ma siamo proprio sicuri che i nostri comportamenti in politica estera siano stati così “amichevoli” verso quei Paesi dai quali ci siamo resi sempre più dipendenti?]
Ma le fondamenta su cui abbiamo costruito stanno ora vacillando. Il precedente paradigma globale sta svanendo. L’era della rapida crescita del commercio mondiale sembra essere passata, e le aziende dell’UE si trovano ad affrontare sia una maggiore concorrenza dall’estero che un minore accesso ai mercati esteri.
[oh diamine! com’è possibile che il paradigma globale sia cambiato senza il nostro permesso e senza neppure avvertirci …]
L’Europa ha perso bruscamente il suo più importante fornitore di energia, la Russia. Nel frattempo, la stabilità geopolitica sta diminuendo e le nostre dipendenze si sono rivelate vulnerabili.
[e già! una singola fonte di approvvigionamento è un rischio, ma è tanto comoda … specialmente quando il fornitore non se ne approfitta facendo prezzi da monopolista]
Il cambiamento tecnologico sta accelerando rapidamente. L’Europa ha perso ampiamente la rivoluzione digitale guidata da Internet e gli aumenti di produttività che ha portato: infatti, il divario di produttività tra l’UE e gli Stati Uniti è in gran parte spiegato dal settore tecnologico. L’UE è debole nelle tecnologie emergenti che guideranno la crescita futura. Solo quattro delle 50 aziende tecnologiche più importanti al mondo sono europee.
[un detto comune recita “gli USA innovano, la CINA copia e la UE regola” …]
Eppure, il bisogno di crescita dell’Europa è in aumento.
[tradotto: sino ad oggi non sentivamo il bisogno di crescere. In realtà l’affermazione è fuorviante, infatti la crescita non è un “bisogno” bensì un’”opportunità” che se colta dà buoni frutti altrimenti si resta a bocca asciutta]
L’UE sta entrando nel primo periodo della sua storia recente in cui la crescita non sarà sostenuta dall’aumento della popolazione. Entro il 2040, si prevede che la forza lavoro si ridurrà di quasi 2 milioni di lavoratori all’anno. Dovremo fare maggiore affidamento sulla produttività per guidare la crescita.
Se l’UE dovesse mantenere il suo tasso medio di crescita della produttività dal 2015, sarebbe sufficiente solo per mantenere il PIL costante fino al 2050 – in un momento in cui l’UE sta affrontando una serie di nuove esigenze di investimento che dovranno essere finanziate attraverso una crescita maggiore.
Per digitalizzare e decarbonizzare l’economia e aumentare la nostra capacità di difesa, la quota di investimenti in Europa dovrà aumentare di circa 5 punti percentuali del PIL, fino a raggiungere i livelli visti negli anni ’60 e ’70.
[visto il grande successo generato dai copiosi investimenti nella transizione verso l’auto elettrica, dove saranno “investiti” gli ulteriori capitali naturalmente presi a debito?]
Si tratta di una situazione senza precedenti: il tasso di crescita del 2015 sarebbe sufficiente a mantenere il PIL costante fino al 2050. Si tratta di una cifra senza precedenti: per fare un confronto, gli investimenti aggiuntivi forniti dal Piano Marshall tra il 1948-51 ammontavano a circa l’1-2% del PIL all’anno. Se l’Europa non riesce a diventare più produttiva, saremo costretti a scegliere.
[al di là del balletto delle percentuali, la verità è che il Piano Marshall si innestò su un tessuto economico-produttivo caratterizzato dall’approccio “FAST” e non su un sistema autonomamente ingessato qual è l’attuale]
Non saremo in grado di diventare, allo stesso tempo, un leader nelle nuove tecnologie, un faro della responsabilità climatica e un attore indipendente sulla scena mondiale. Non saremo in grado di finanziare il nostro modello sociale. Dovremo ridimensionare alcune, se non tutte, le nostre ambizioni.
[in parole povere la lungimirante Unione Europea si trova adesso in mezzo al guado, per non dire al guano, da una parte non vuole rinunciare al suo “modello sociale” e dall’altra non riesce “collettivamente, a convertire questo punto di forza in industrie produttive e competitive sulla scena globale”, come letteralmente dichiarato nel seguito del Rapporto.]
Si tratta di una sfida esistenziale. I valori fondamentali dell’Europa sono la prosperità, l’equità, la libertà, la pace e la democrazia in un ambiente sostenibile. L’UE esiste per garantire che gli europei possano sempre beneficiare di questi diritti fondamentali. Se l’Europa non è più in grado di fornirli ai suoi cittadini – o se deve scambiare l’uno con l’altro – avrà perso la sua ragione d’essere.
L’unico modo per affrontare questa sfida è crescere e diventare più produttivi, preservando i nostri valori di equità e inclusione sociale. E l’unico modo per diventare più produttivi è che l’Europa cambi radicalmente.
[e se quest’ultima “sfida esistenziale” fosse, come è stata sinora, una coperta troppo corta…]
In conclusione di questo mio semi-serio scritto mi viene spontanea la seguente considerazione: un po’ di sana AUTOCRITICA di marxiana memoria non ci sarebbe stata proprio male…. e avrebbe forse dato maggiore credibilità alla fattibilità della successiva “parte programmatica”.