Natalia Eremeyeva Duarte (from Anaheim, CA - United States.) - Saint Basil’s Cathedral in Moscow
La guerra Santa di Putin (2)
di Giovanni Boschetti
Dagli apparati dei servizi segreti (KGB) comunisti, Putin, non poteva che proclamarsi ateo. Qualcosa è cambiato una volta che è arrivato al potere. Nel corso degli anni ha lasciato emergere una dimensione di umanesimo spirituale che negli ultimi tempi si è connotata di un certo ‘misticismo russo’. Si sta ponendo domande fondamentali sul senso della vita, parlandone con il suo vescovo di riferimento, Tikhon Sevchkun, rettore del grande monastero Sretenski e dell’annessa università teologica (Mosca).
Esternamente è molto discreto e, al di là della partecipazione alle grandi funzioni dell’ortodossia moscovita, non lascia trasparire una Fede personale, se non nel riferimento ai valori tradizionali dell’anima russa.
Nel 2018 nelle chiese della Russia, dell’Ucraina e di altri Paesi un tempo compresi nell’impero russo, tanti cristiani hanno celebrato la festa per i 1130 anni dal battesimo del principe Vladimir, il Grande, nelle acque del fiume Dnepr, rinnovando anch’essi le proprie promesse battesimali. Pure il presidente russo Vladimir Putin ha approfittato dell’anniversario di quell’evento storico, celebrato come l’inizio della conversione al cristianesimo degli slavi orientali, per ripetere con forza che proprio la ‘cristianizzazione’ del Gran Principe dell’antica Rus’ di Kiev e dei suoi sudditi rappresenta anche l’atto fondativo della ‘statualità russa’ e la radice perenne che nutre l’identità del popolo russo e la sua missione storica nel mondo.
Putin, che dell’antico monarca battezzato a Cherson nel 988 porta anche il nome, Vladimir, ha riaffermato il legame, a suo giudizio viscerale, tra cristianesimo e identità russa intervenendo alla cerimonia svoltasi a Mosca, alla presenza del patriarca Kirill, presso il monumento dedicato al principe Vladimir. Il discorso presidenziale, calibrato in ogni parola, ha riproposto ai massimi livelli la ‘cristianizzazione’ come matrice identitaria della Russia, della sua forza e del suo protagonismo storico.
Il presidente russo Vladimir Putin ha notato l'elevata importanza di una connessione spirituale viva tra le persone in un mondo moderno pieno di contraddizioni.
In un altro suo discorso pronunciò: “Molti Paesi euro-atlantici stanno negando le loro radici, tra cui i valori cristiani che sono alla base della civiltà occidentale. Stanno negando i principi morali e la propria identità: nazionale, culturale, religiosa e perfino sessuale. Mettono in vigore politiche che pongono allo stesso livello delle numerose famiglie tradizionali, le famiglie omosessuali: la Fede in Dio equivale ormai alla fede in Satana. In molti Paesi europei, la gente non ha il coraggio di parlare della propria religione. La gente cerca, aggressivamente, di esportare questo modello attraverso il mondo. Sono convinto che questo apra una via diretta alla degradazione e al primitivismo che porteranno ad una profonda crisi demografica e morale. Che cosa testimonia meglio di questa crisi morale se non la perdita della capacità a riprodursi? Oggigiorno, quasi nessuna nazione sviluppata è in grado di riprodursi, anche con l’aiuto dei flussi migratori. Senza i valori presenti nel cristianesimo e nelle altre religioni del mondo, senza gli standard morali che si sono formati per millenni, le popolazioni perderanno inevitabilmente la loro dignità umana. Consideriamo normale e naturale difendere questi valori.”
Per seguire i passi del principe russo Vladimir, che iniziò l’unificazione delle tribù slave tramite la religione, Putin cerca di riunire alcune componenti della passata URSS sotto l’egida della Fede.
Il presidente della Russia indica la ‘cristianizzazione’ come matrice identitaria del Paese, della sua forza e del suo protagonismo storico.
In un intervento per la festa del 1130° anno della nascita della Russia, Putin ha detto: “La conversione al cristianesimo è stato ‘il punto di partenza per l’istituzione e lo sviluppo della compagine russa’. Vera ‘nascita spirituale’ che ha determinato l’identità e l’autocoscienza dei nostri antenati. Ciò ha irrigato ‘la prosperità della cultura e dell’educazione nazionale’, favorendo legami multiformi con altri Paesi.”
Anche il protagonismo storico del popolo russo, secondo Putin, non ha la sua genesi in vittorie militari o pulsioni egemoniche, ma in quell’evento con ‘portata civile’ e ‘potere spirituale trasformante’ che ha ‘predeterminato la secolare strada della Russia e ha avuto effetto sul suo intero sviluppo globale’.
Lodando la saggezza e la lungimiranza degli avi che scelsero il cristianesimo di tradizione bizantina, Putin si è soffermato sulla figura del principe Vladimir, il ‘guerriero’ che ‘affrontò crudeli scontri e prove, e sotto la cui guida furono costruite chiese, monasteri, città, scuole e biblioteche, animato dall’intuizione che il cristianesimo avrebbe fornito il supporto morale e le basi per consolidare l’unità e l’identità dei popoli che abitavano l’antica Rus’.
Nella tradizione russa, il Kathéchon viene riproposto nella formula della ‘Terza Roma’, coniata dal monaco Filofej di Pskov nel XVI secolo. L’idea che i russi fossero il ‘popolo eletto’ destinato a combattere l’Anticristo forgiò una mentalità con evidenti ripercussioni politiche e ideologiche. Già durante il regno di Ivan IV (detto il Terribile), incoronato nel 1547 dal metropolita Makarij con il titolo di Gran Principe e Zar di tutta la Rus’, in un rito di definitiva sacralizzazione della monarchia russa, vennero indicati due nemici contro cui Mosca doveva fungere da Kathéchon. Un Anticristo esterno, che poteva arrivare dalle terre oltre la Moscova; e un Anticristo interno, che veniva identificato nella resistenza alla volontà del potere costituito, soprattutto nelle fasi di instabilità e disordine. Equiparando ogni insubordinazione al tentativo di indebolire lo Stato nel suo ruolo di ‘freno’ al ritorno dell’Anticristo, veniva forgiato in chiave escatologica un certo tipo di regime e di esercizio del potere che avrebbe segnato a lungo la cultura politica della Russia.
Nel XVIII e XIX secolo, i contenuti del concetto di Kathéchon cambiarono però sensibilmente. La sua interpretazione venne collegata al dibattito tra occidentalisti e slavofili, divenendo così una dottrina laica di politica estera a difesa dell’unicità storico-culturale della Russia. Manteneva comunque anche una dimensione messianica, per cui Mosca restava la protettrice del mondo e lo ‘scudo’ che aveva salvato l’Europa dall’orda mongola.
In un contesto in cui l’analisi geopolitica e le scelte politiche di Vladimir Putin sembrano appoggiarsi sempre più su motivazioni religiose e messianiche che vedono la guerra in Ucraina come una via di salvezza finale per la Russia - “Cosa ci importa del mondo se la Russia non esiste più in esso?” - il discorso portato avanti dalla Chiesa ortodossa russa per giustificare la guerra e le posizioni di Putin deve essere letto attentamente.
Vale la pena riprendere alcuni tratti del discorso del Patriarca Kirill per capire meglio il momento attuale.
“Ciò che accade oggi… non riguarda solo la politica… Riguarda la salvezza dell’uomo, il posto che occuperà alla destra o alla sinistra di Dio Salvatore, che viene nel mondo come Giudice e Creatore della creazione”
Per chi ha seguito da vicino l’evoluzione della Chiesa ortodossa russa, ciò non è sorprendente. Quest’ultima si è posta, per diversi anni, come l’ultimo dei paladini della morale sociale russa e dei suoi valori tradizionali, in un contesto di ‘guerra culturale’ condotta da un Occidente ‘decadente’. Va notato che la Chiesa ortodossa russa e le burocrazie di sicurezza (FSB) sono le uniche grandi istituzioni centrali ad essere sopravvissute al crollo del sistema comunista, innestandosi organicamente al regime di Putin.
L’argomento principale del sermone di Kirill serve a giustificare l’invasione russa dell’Ucraina, a fronte di un Occidente che mette alla prova le leggi naturali di Dio: “Oggi esiste una prova di lealtà al potere (occidentale), una sorta di lasciapassare per quel mondo ‘felice’, quel mondo di consumo eccessivo, quel mondo di apparente ‘libertà’. Sapete in cosa consiste questa prova? La prova è molto semplice e allo stesso tempo terrificante: si tratta di una sfilata del gay pride”. È in questo senso che una parola biblica paradossalmente dedicata al ‘perdono’ serve come giustificazione per la guerra, nella tradizione bizantina del cesaropapismo: “E così oggi, in questa domenica del perdono, io, da una parte, come vostro pastore, invito tutti a perdonare i peccati e le offese, anche dove è molto difficile farlo, dove le persone sono in lotta tra loro. Ma il perdono senza giustizia è una resa e una debolezza. Il perdono deve quindi essere accompagnato dal diritto indispensabile di stare dalla parte della Luce, dalla parte della verità di Dio, dalla parte dei comandamenti divini, dalla parte di ciò che ci rivela la Luce di Cristo, la sua Parola, il suo Vangelo, le sue più grandi alleanze date al genere umano”.
Con questo discorso ci troviamo di fronte a una visione del mondo che va ben oltre lo storytelling e la definizione di una narrazione a cui siamo abituati nel discorso politico alle nostre latitudini. Infatti, ed è ciò che rende urgente la lettura di questo testo, dall’invenzione della bomba atomica forse non avevamo mai vissuto il momento più intenso della teologia politica: una potenza nucleare coinvolta in una ‘guerra santa’.
Lasciamo ad ognuno voler approfondire leggendo il discorso del Patriarca Kirill.
Ciò che mi preme sottolineare è, anche se non condivisibile per noi occidentali, questa visione del mondo occidentale da parte degli orientali: Russia, Cina, India, Paesi arabi e tutti quei paesi del terzo mondo che comunque hanno assimilato i concetti di varie religioni, ma tutte pregne di uno spiritualismo comune.
Non dimentichiamo che non è la Russia ad essere isolata dal mondo. Bensì l’Occidente ad essersi isolato dal resto del mondo, se non altro per una questione di numeri; l’Occidente è un quinto come popolazione!
Nulla può giustificare tanto odio fra gli uomini. Nessuno può decidere della vita altrui, ma l’uomo non può essere lasciato libero a se stesso e da se stesso.
I valori umani che se ne vanno, le tradizioni calpestate, la storia dei popoli rinnegata.
È questo il risultato della democrazia? E questo il modello delle libertà agognate? È questa la storia che l’uomo voleva?
Forse no, forse l’uomo voleva soltanto essere lasciato tranquillo nella sua vita abitudinaria per crescere ed evolversi come le altre specie viventi. Nel tempo e col tempo, per maturare e metabolizzare quella maturazione nella Conoscenza che Qualcuno gli ha offerto come crescita e protezione.
Peso che l’uomo abbia bisogno di ritrovare se stesso, lontano da ogni rumore fastidioso, come le guerre o gli inni ai diritti sociali o le ovazioni di facciata o addirittura le forzature contro natura. L’uomo ha bisogno di ritrovare il silenzio, quel silenzio che gli permetta di ascoltare una flebile voce. La voce dell’Uomo.
(Fine)