Nello scorso novembre è uscito in Usa il libro “The Mysterious Affair at Olivetti” di Meryle Secrest, in procinto di essere editato a breve in Italia da Mondadori. La scorsa settimana il supplemento “La Lettura” del Corriere della Sera ha pubblicato un’intervista all'autrice a conferma dell’interesse che suscita l’argomento e della conseguente attuale importanza anche di ulteriori testimonianze dirette. Abbiamo quindi il piacere di pubblicare un commento di Giuseppe Silmo, storico ed autore, tra gli altri, del libro “Olivetti, una storia breve”. Su questo tema vi invitiamo anche a rileggere il commento di Gian Carlo Vaccari all’articolo sulla morte di Tchou di W.Veltroni (pubblicato in gennaio su Nel Futuro).
The Mysterious Affair at Olivetti - Un commento
di Giuseppe Silmo
Negli Stati Uniti nello scorso novembre Meryle Secrest ha edito il suo libro dal titolo: “The Mysterious Affair at Olivetti”. Ma più intrigante e francamente fuori dalle righe è il sottotitolo, “IBM, the CIA, and the Cold War Conspiracy to Shut Down Production of the World’s First Desktop Computer”.
Forse, per la letteratura popolare americana è l’approccio giusto; sicuramente, per un lettore italiano il sottotitolo suscita forti perplessità, se già non le aveva suscitate il titolo. La Conspiracy, la cospirazione, arriva però solo quasi alla fine e non per fermare la produzione del primo Desktop Computer (“la Programma 101”), ma per fermare la Divisione Elettronica, produttrice dei calcolatori Elea, quindi il sottotitolo è fuorviante rispetto al contenuto del libro.
Inoltre, diversamente da quanto compare nel titolo in seconda di copertina, “The never told true account” (“La vera storia mai narrata prima”), quella storia era già stata narrata nel mio libro “Olivetti. Una storia breve” (HEVER Edizioni 2017), sulla base di una completa e circostanziata testimonianza di Mario Caglieris (Direttore Amministrativo, Controllo e Organizzazione e poi Direttore del Personale della Olivetti).
L’intenzione dell’autrice, tuttavia, va molto al di là del sottotitolo, come ha ampiamente illustrato nell’intervista rilasciata alla giornalista del Corriere della Sera, Costanza Rizzacasa D’Orgogna, nel supplemento “La Lettura” di domenica 26 gennaio. Meryle Secrest infatti dice “avevo davanti un’incredibile storia di spionaggio internazionale” riferendosi alle, secondo lei, misteriose morti di Mario Tchou e Adriano Olivetti, riproponendo di fatto la fiction «Adriano Olivetti. La forza di un sogno», come giustamente l’intervistatrice insinua e lei conferma di aver visto. Alla constatazione dell’intervistatrice che non ci sono prove, risponde: «Ho raccontato una storia e collegato i puntini. Ho fatto delle ipotesi”. Sulla morte di Tchou avvenuta sull’autostrada all’uscita di Santhià, devo riportare l’opinione da me registrata di Mario Caglieris, che accorso immediatamente a Santhià non pensò affatto a scenari diversi da un incidente, solo un anno o due più tardi sentì voci che facevano riferimento a una diversa versione. Anche Luigi Tozzi, assunto da Tchou a Barbaricina e allora dipendente della Divisione Elettronica, molto vicino al dossier, ha sostenuto ancora pochi mesi prima di lasciarci che fu unicamente un incidente.
Il libro è quello di una brava scrittrice, non di una storica, inizia con una love story, seguita da un Carnevale di Ivrea, dove i vari piani storici e i personaggi si confondono in una narrazione personale, che un eporediese stenta a riconoscere come la tradizione della propria città, ma sarebbe un peccato farsi fermare da queste prime pagine. Sfrondato di quanto sopra e dalla spettacolarizzazione da Guerra Fredda, il testo va letto perché, a parte l’abbondante ricorso al libro di Piergiorgio Perotto “P101”, è una storia sull’Azienda e sulla famiglia Olivetti, raccontata e vista in gran parte dall’interno della famiglia stessa; in particolare, dai discendenti di Dino Olivetti: il figlio David e il nipote Matteo.
L’interesse primario del libro è proprio questo e qui troviamo gli aspetti mai raccontati. Il cuore della narrazione ci porta a una diversa visione del ruolo di Visentini e dei suoi rapporti con la famiglia Olivetti. Una frase è molto significativa e apre uno squarcio importante: “Lei [Silvia, sorella di Adriano] si fidava di un vecchio amico, Bruno Visentini, […]. Visentini non li avrebbe traditi. O almeno così lei pensava. Per le ragioni migliori lei mise l’azienda sulla strada del disastro.” (p. 214). Anche alcuni episodi riferiti ai rapporti di Visentini con i membri della famiglia, tutt’altro che positivi, ci dicono che le cose sono state ben diverse rispetto al fatto che Visentini fosse l’uomo di fiducia della famiglia.
Come si è sempre detto e scritto, non ha mai voluto aumentare il capitale sociale, mantenendolo invariato per 14 anni dal 1964 all’arrivo di De Benedetti nel 1978, perché la famiglia era contraria ritenendo che avrebbe diluito ulteriormente le proprie quote azionarie e in ogni caso non sarebbe stata in grado di parteciparvi. Della famiglia, come risulta dal racconto, in realtà non si è mai curato. Calato questo paravento, come riferimento per Visentini rimane solo il Gruppo di Intervento, che non voleva che la Olivetti ricadesse nella sua anomalia rispetto al capitalismo italiano, ma proprio il mancato aumento di capitale, per un periodo così lungo e con cambiamenti finanziari e tecnologici così importanti, ha portato l’Azienda al gravissimo indebitamento e alla soglia del fallimento.
Qui però, non sono assolutamente condivisibili i pesanti giudizi su Beltrami, accusato di aver creato tale situazione, quando invece lui ha traghettato l’Olivetti verso l’elettronica in assenza di aumenti di capitale negategli da Visentini per gli investimenti necessari. Oltre a gravissimi giudizi sulla persona. Una pagina brutta, che l’editore italiano farebbe bene a cancellare (p. 254).
Rimane solo un chiarimento necessario e doveroso: il salvataggio della P 101 dalla cessione alla General Electric avvenne per intervento di Elserino Piol (mitico top manager dell’ dell’Information Technology della Olivetti) e di Mario Caglieris, non di altri, come riportato dall’autrice (p. 216). Così ricorda quei momenti cruciali Elserino Piol in una mail spedita al sottoscritto come testimonianza da inserire nel mio libro “Olivetti. Una storia breve”: “Quando venne deciso il passaggio della Divisione Elettronica alla General Electric fu costituito un gruppo di lavoro per la classificazione dei prodotti in modo da dividerli per competenza: i prodotti classificabili come "computer" dovevano andare alla General Electric. Elserino Piol e Mario Caglieris, rappresentanti la Olivetti nel gruppo di lavoro, convinsero la controparte General Electric che la Programma 101 era una macchina da calcolo quindi di competenza Olivetti. I rappresentanti della General Electric non erano in grado di capire il potenziale di questa macchina, e l'intuizione di Caglieris di definirla al femminile contribuì ulteriormente a considerare la P 101 una calcolatrice e non un calcolatore”.
Non mi rimane che augurare a tutti una lettura attenta e vigile, per non farsi coinvolgere dal clima suggestivamente emotivo creato da questa brava scrittrice.