Solange Monvoisin (Nancy, Francia, 1911 - Nizza, 1985) - Panorama di Rabat-Salé
Mohammed e Francesco
di Mara Antonaccio
Ho iniziato a frequentare il Marocco circa 35 anni fa, quando da giovane studentessa universitaria, affrontai il “grande viaggio”.
Atterrata al piccolissimo aeroporto di Casablanca, rimasi rapita dal cielo notturno, di un blu quasi nero e ricamato di milioni di stelle. Trovai un paese esotico, diverso dalla mia Italia, che da lì sembrava essere avanti anni luce, rispetto ai carri trainati dai muli e alle djellaba (tipico abito lungo con cappuccio, che sia uomini che donne indossano per uscire di casa, n.d.r.) che vidi per le strade della città.
Mano a mano che passavano i giorni e che avevo modo di conoscere la gente e le loro usanze, iniziai a ricredermi su alcune cose e a scoprire un popolo ricco di tradizioni e con una visione del Mondo per nulla arretrata.
Per strada solo le donne anziane portavano un velo di merletto per coprire naso e bocca, colorato e in tinta con la djellaba, nulla a che vedere con i niqab integrali che si vedono ora (per fortuna non molti nel Paese) negli stati islamici integralisti.
Molte erano le ragazze vestite all’occidentale, con gonne sul ginocchio o pantaloni aderenti. Frequentando le loro case scoprii un naturale riserbo delle donne ma non di certo le segregazioni e le sottomissioni che si leggono in cronaca oggi.
I miei viaggi da quel lontano 1984 si sono susseguiti e nel 1990 ho sposato un ragazzo di Dar el Beida, conosciuta come Casablanca. Da quel matrimonio sono nati due figli e il rafforzamento dell’amore per questo paese, che ho imparato a conoscere e apprezzare nelle sue contraddizioni. Qualcuno potrebbe obbiettare che sono stata una turista di lusso prima, e una “figlia adottiva” dopo; non voglio essere fraintesa: di certo gli ambienti che ho frequentato e che frequento sono economicamente e culturalmente di livello medio-alto, ma posso garantire che nei miei quasi 40 viaggi, in cui ho visto il Marocco da cima a fondo, visitando le campagne, i villaggi, il deserto, dormendo nelle capanne come negli alberghi 5 stelle, ovunque ho trovato lo stesso calore, la stessa accoglienza e la stessa positività nella gente.
Sicuramente declinati e manifestati in modo differente, proporzionale alle possibilità e alle disponibilità economiche, ma sempre presenti.
Io stessa sono stata accolta in famiglia senza pregiudizi e mai nessuno mi ha chiesto di convertirmi all’Islam o di restare chiusa in casa.
Il popolo marocchino, e per conseguenza la sua cultura, risentono notevolmente della loro origine berbera. Nel Paese infatti le popolazioni autoctone, quelle preesistenti alla colonizzazione romana prima (la città di Volubilis, vicino a Fez, era la capitale della Mauritania Tingetana, provincia che comprendeva gli attuali Mauritania, Marocco e Algeria, molti berberi impararono il latino e studiarono nelle altre città dell’Impero, producendo scrittori come Terenzio, Apuleio o Tertulliano) e arabo-islamica poi, erano animiste e politeistiche, cioè legate al culto delle divinità della Natura: il sole, gli animali, il deserto.
Questa caratteristica ha mitigato la cultura araba arrivata verso la fine del ‘600, che trasformerà tutto il Maghreb in territorio mussulmano. Tra i berberi marocchini non convertiti all’Islam resistono anche tribù locali di religione ebraica, situate principalmente nella catena dell’Atlante, nel Marocco meridionale.
Il Cristianesimo nel Paese arriva da Roma verso il primo secolo e si instaura con un discreto successo; la coesistenza tra le tre grandi Religioni è sempre stata pacifica e tollerante e ribadisco, grazie alle radici autoctone del paese. La società berbera è aperta ed organizzata su base matriarcale, sono le donne che scelgono il marito. Gli uomini si agghindano e si truccano gli occhi con il Kajal, sperando di attrarre le fanciulle.
Una volta fatta la scelta, la tribù ratifica l’unione e la discendenza diventa matrilineare, cioè i figli prendono il nome di famiglia della madre e sono le femmine ad ereditare.
Anche i ruoli sociali tengono in considerazione il sesso femminile. La donna in famiglia ha voce in capitolo, partecipa all’educazione dei figli e lavora; le mamme sono rispettate e venerate esattamente come nelle culture italiane del Sud e quel che dice la matriarca, è legge.
E si sa che, dove regnano le donne, si vive in pace…
Non mi meraviglia affatto, quindi, leggere della sintonia di visione della libertà di culto che Papa Francesco, in viaggio in questi giorni in Marocco, abbia sottolineato e rilanciato in un documento congiunto con il Re Mohamed VI. E’ nella cultura di questo popolo essere tollerante ed accogliente, se non fosse stato così, avremmo letto di terribili attentati e di molti morti in questi anni di Isis e integralismo. A questo si deve aggiungere la politica illuminata del Sovrano, che ereditata e rafforzata la politica di apertura all’Occidente di suo padre Hassan II, ha permesso al Marocco di veder aumentati turismo, esportazioni e PIL (ora al 3,2).
Mohammed VI è egli stesso un imprenditore miliardario, e sono proprio le sue aziende a trainare l'economia del Paese. Del Re si dice che sia collerico e vendicativo, eppure Mohammed VI è molto amato ed emulato dai suoi sudditi. Educato nelle migliori scuole del mondo, ha reso il suo Paese il più sicuro e il più ricco del Nord Africa, tenendo sotto scacco, certo non sempre con metodi per noi condivisibili, gli estremisti islamici. Come innovatore dei costumi ha saputo muoversi con garbo, modificando abitudini secolari: si è rivelato un modernizzatore perché è monogamo e perché appena sposato, ha mostrato il viso della moglie di origini borghesi, rompendo tabù secolari.
Appena salito al trono ha dotato il paese di migliaia di chilometri di autostrade e nel deserto sta costruendo il più grande impianto solare termodinamico del pianeta.
Un uomo lungimirante che ha saputo portare il Marocco alle soglie del terzo millennio senza enormi gap tecnologici; certo restano importanti aree di povertà e i diritti sociali non sono certo quelli dei paesi europei, ma il cammino è tracciato e di diritto, anche dopo le dichiarazioni sulla tolleranza religiosa fatte con papa Francesco, il suo Paese sta costruendo con costanza e determinazione i ponti giusti che, in un futuro prossimo, potranno fargli attraversare culturalmente lo Stretto di Gibilterra.