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Rio Grande do Sul: meditazioni dopo una devastante inondazione
di Graziano Saibene
Riprendo da dove avevo terminato la mia precedente cronaca dal Brasile: la immane tragedia che ancora sta perseguitando la popolazione dell'intero stato del Rio Grande do Sul, sul quale si sono accanite piogge torrenziali per diverse settimane.
L'idrografia particolare del territorio, con la confluenza di grandi fiumi che sfociano quasi tutti in un bacino d'acqua (Guaiba), collegato a una laguna (Lagoa dos Patos), rende il cammino delle acque dolci piuttosto tortuoso prima di raggiungere finalmente l'oceano Atlantico. Le complicazioni nascono quando i volumi superano certe soglie, come è appunto successo in questi giorni.
Le contromisure sono note da tempo: ma i progetti delle grandi opere necessarie per evitare possibili esondazioni giacciono da anni nei cassetti degli amministratori di quei territori, pur in presenza dei fondi accantonati ad ogni legislatura, e regolarmente deviati verso altre destinazioni, politicamente più redditizie, almeno nell'immediato.
Come succede anche da noi, e nel resto del mondo.
Questo grande e ricco stato del sud (281 mila kmq, 10,7 milioni di abitanti) che produce il 6% del PIL brasiliano, confinante con Argentina e Uruguay, è stato popolato, alla fine del secolo XIX, con una significativa immigrazione programmata proveniente sia dagli stati europei di lingua tedesca, che dalle regioni del nord Italia (Veneto e Trentino Alto Adige): alle famiglie immigrate veniva offerto il possesso delle terre fino ad allora piuttosto disabitate, perché costituissero un argine alle continue invasioni da parte dei “gauchos” provenienti dagli stati confinanti in cerca di pascoli per le loro mandrie.
Oltre a note e fiorenti imprese industriali, si sono sviluppate attività nel settore primario, - allevamenti e culture di riso, soja e cereali in pianura, viti/frutticultura sulle colline e montagne dell'entroterra - che impiegano la maggior parte della sua popolazione.
Forse è anche per queste ragioni che la tendenza politica e ideologica prevalente è di orientamento conservatore, spesso tendente verso l'estrema destra.
Hanno avuto di recente la meglio influenzatori negazionisti.
Ed è stata, a mio parere, proprio questa la causa principale della assoluta “impreparazione” di fronte all'eccesso degli eventi atmosferici avversi che si sono verificati in queste ultime settimane.
Da giorni i media locali si dilungano in interminabili servizi che mostrano le immagini di devastazione provocate dagli estesi allagamenti in pianura e dalle frane sui rilievi, sottolineando giustamente i meriti dell'enorme contributo di solidarietà dimostrato da tutta la popolazione del Brasile. Gli stessi media hanno dato però pochissimo spazio alla ricerca delle “concause” cui ho sopra accennato, cioè, in ultima analisi, alla assoluta incompetenza degli amministratori, eletti o nominati, che nulla avevano fatto per prevenire questo più che annunciato gigantesco disastro.
I numeri già noti – 150 morti a cui si aggiungerà gran parte dei più di 100 dispersi e quasi un milione di persone che hanno perso casa e tutto quello che c'era dentro – non dicono molto sull'impatto che questa tragedia avrà sul presente e sul prossimo futuro dell'economia brasiliana. Tutte le numerose città allagate dovranno essere riprogettate e costruite in altri territori; per anni verranno meno i sostanziosi contributi fiscali derivanti dalle già prospere attività industriali e commerciali del Rio Grande do Sul; ne risentirà sin da subito l'inflazione e dovranno cambiare in peggio le previsioni dell'aumento di PIL per i prossimi anni.
A questo punto mi vengono in mente conclusioni probabilmente un po' tirate, suggerite da altri fenomeni che stanno allarmando recentemente un po' tutti i paesi più sviluppati del mondo: soprattutto la inarrestabile decrescita delle nascite: neppure le più lungimiranti politiche per favorire le famiglie, perché riprendano a formarsi e prolificare, ottengono qualche risultato. Clamorosi sono i riscontri nulli, verificati in Corea del Sud, Svezia e Francia.
Dunque:
- il clima si sta innegabilmente modificando, ed è in accelerazione la frequenza di eventi disastrosi, le cui cause primarie sono state da tempo chiarite dalla scienza.
- le fasce più giovani della specie umana percepiscono sempre più chiaramente che la maggioranza degli uomini non vuole o non può più modificare il proprio stile di vita, favorendo così in qualche misura il futuro sul pianeta di questa minoranza.
Ma allora vuol dire che, se sono vere le teorie evoluzionistiche di Darwin, anche l'Homo Sapiens si sta adattando progressivamente al declino, a quanto pare inarrestabile, del suo habitat.
Rifiutandosi di collaborare alla propagazione della sua stessa specie.