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Aisha Romano, nuovi fatti e verità
di Vincenzo Rampolla
Dopo una lettera del Direttore di Africa ExPress inviata la notte di Capodanno 2020 al Presidente Giuseppe Conte – allegata nella consultazione a pie’di pagina -, i Servizi Segreti italiani si sono rivolti ai loro colleghi degli Emirati AU. Dispongono in Somalia di una solida rete di informatori. In sintesi, la risposta: Siamo in grado di cercare e trovare la giovane e vi aiuteremo, a condizione che voi cambiate alleanza in Libia e cessiate di appoggiare il governo di Al Serraj. Sostenete invece con noi il generale Kalifa Haftar. Richiesta complessa, difficile, al limite dell’assurdo per un’Italia che dovrebbe modificare alleanze e succulenti accordi in essere con il Qatar, oltre alle relazioni diplomatiche imbastite con Turchia e Iran, alleati del presidente libico. Gli americani sanno in quale zona è Silvia, ma non vogliono né possono rivelarlo. Dietro le quinte dicono: Bussate alla porta dei turchi, sono molto presenti in Somalia. È noto che la Turchia abbia in Somalia un forte contingente militare, pur con scarsa rete di intelligence. Ankara reagisce, pronta a attivarsi a condizione che Roma moderi gli attacchi contro Erdogan, dipinto come dittatore che viola i diritti umani e chiude i giornalisti in carcere, se non li fa scomparire.
Magicamente il rapimento di Silvia prende forma e entra in un gioco internazionale. È assodato che l’Italia non intenda pagare alcun riscatto. Perché allora non chiedere aiuto al Qatar, che in Somalia dispone di una rete di informatori? Alleata di turchi e italiani in Libia, amica dell’Iran, la capitale Doha tiene ottimi rapporti con Roma e appare come primo punto di partenza per indagare sulla scomparsa della Romano.
Dimenticavo. Il Qatar ha appena ordinato a Leonardo materiale bellico per €5 miliardi e la Fincantieri deve consegnargli battelli militari per €4 miliardi. A maggio inoltre Leonardo avrà un nuovo Presidente, Luciano Carta, generale, ex capo dell’AISE (Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna - Servizi Segreti -). Carta si muove e prende direttamente contatti con Doha. Il Presidente Sergio Mattarella a metà gennaio vola in Qatar e sul suo aereo c’è Luciano Carta. Oh! Incontrano lo sceicco Tamin bin Hamad al-Thani capo di Stato del Quatar. Il Qatar da tempo chiede un’apertura alle miniere di uranio, necessarie per il programma nucleare del suo governo e attive nelle due regioni centrali del Mudug e Galgadug, sede del clan Haber Gidir e in particolare di Aer clan associato e colonna portante degli shebab. Siamo al cuore della vicenda: gli shebab.
Lo sceicco al-Thani è disposto a concedere il suo aiuto e a coinvolgere il nucleo centrale della holding Shebab per la liberazione di Silvia. Al-Thani conta sulle relazioni in corso con l’Italia: il 24 gennaio, G. Bono AD di Fincantieri e Nasser Al Naimi Presidente di Barzan Holdings, alla presenza di Khalid Bin Mohammed Al Attiyah Ministro della Difesa e dei vertici militari del Qatar, hanno sottoscritto un Memorandum per accrescere la partnership attraverso la valutazione e gli studi di nuove tecnologie e capacità in vista dell’acquisizione di nuove unità navali all’avanguardia. Entrano in azione gli shebab. Con loro comincia una vera trattativa condotta da Doha. Non ci mettono molto a coinvolgere i leader dei terroristi che a loro volta intervengono sui rapitori per il rilascio di Silvia, in cambio di dollari, si dice meno dei 4 milioni dichiarati un po’ da tutti. All’arrivo di Silvia a Mogadiscio, nella base ONU che ospita anche l’ambasciata italiana, indossa un giubbotto antiproiettile con il simbolo della luna turca. Dotazione standard, dicono in aereo. Inglesi e americani si risvegliano e accusano il colpo: Non ci avete avvisati... Perché? Troppo tardi. Armi e uranio sono già sulla via della seta per l’Iran.
All’aeroporto di Ciampino chi appare nella foto accanto a Silvia? Mr. Carta. Intasca la medaglia da Conte che fulmineo rettifica il twitter con la notizia del rilascio. Il ringraziamento all’intelligence esterna rimpiazza la semplice intelligence del primo messaggio, in barba alle contorsioni intestinali di Di Maio, paggio dolente, l’eterno escluso. Per quanto nel suo articolo Africa ExPress taccia sul fatto se la scelta di attivare il Qatar sia stata una libera iniziativa dell’intelligence italiana o di qualcun altro, o se sia il frutto di un’imbeccata di Ankara, la presenza di Carta pare illuminare a dovere la scena, anche se la rete di informazioni AISE nel Corno d’Africa è stata da tempo smantellata. Che l’ex capo dell’AISE si sia intrufolato nella cooperazione instaurata tra le due intelligence lo dimostra la sua presenza al fianco del Presidente Mattarella nella visita di stato di gennaio in Qatar. Proprio in questo frangente si sarebbe consumato lo scambio. Un solo problema: gli americani non hanno gradito. Ragione molto semplice legata a quelle miniere ricche di un minerale di cui il Qatar, privo di centrali nucleari e di un programma atomico, ha intenzione di disfarsi e di rifilare all’Iran a peso d’oro. Magari con una cresta per il riscatto...
Domande senza risposta. Il riscatto per la liberazione di Silvia Romano è stato pagato dall’Italia?
A tirar fuori il malloppo è stato il Qatar? E della triangolazione Turchia, Emirati AU e Iran, chi ci ha rimesso? Chi c’è alla fine dietro il sequestro?
Dalle ultime informazioni raccolte una settimana fa, una cosa è certa: Ibrahim Adhan Omar, Moses Luari Chende e Abdulla Gababa Wario fanno parte del commando che il 20 novembre 2018 ha rapito Silvia Romano nel villaggio di Chakama, in Kenya a un centinaio di chilometri da Malindi. Con loro altre quattro o cinque persone, irreperibili. Moses e Abdulla due storditi, Ibrahim Adhan Omar il boss che avrebbe pianificato l’assalto e il rapimento. Unico Ibrahim, di certo pericoloso, è stato arrestato a metà dicembre 2018 in un villaggio vicino Garissa, popoloso capoluogo di contea. Nel suo covo i poliziotti hanno trovato un kalashnikov e un paio di casse di munizioni. Non è riuscito a convincerli ed è stato arrestato. Le prime indagini hanno appurato che è cittadino somalo e che aveva ottenuto i documenti kenioti corrompendo la commissione preposta a concedere cittadinanze e naturalizzazioni. Nonostante un solido curriculum di reati, in galera c’è rimasto poco. Ha pagato una cauzione di €25.000 (smisurata cifra per una fanciulla assolutamente sconosciuta, rea forse per avere assistito a qualche violenza) ed è stato rilasciato. Ha partecipato a un’udienza del processo e poi è sparito. La decisione della Corte del tribunale di Malindi e della giudice Julie Oseko di concedergli la libertà su cauzione era stata criticata duramente dal PM, la signora Alice Mathagani, e da Peter Gachaja Murithi, Capo della polizia, incaricato delle indagini, che in un colloquio con Africa ExPress avevano esclamato con energia: È una violazione della legge concedere la possibilità di pagare e uscire di galera. L’incriminazione è troppo grave e non permette una simile scappatoia. Uscito di galera Ibrahim ha fatto perdere le sue tracce. Gachaja, ha avanzato l’ipotesi che l’accusato potesse essere stato ucciso per metterlo a tacere e non raccontare i dettagli del rapimento. Dal canto suo la Mathagani ha definito il sequestro opera su commissione. A tutt’oggi di lui non si sa più nulla.
Anche la fedina penale di Moses Luari Chende è di tutto rispetto. Era stato beccato in flagrante con una banda di bracconieri a caccia di elefanti. Per questo forse è stato arruolato dai rapitori. Conosce molto bene i territori di frontiera tra Somalia e Kenya e si muove a suo agio nella foresta di Boni, al confine tra i due Paesi, là dove è stata portata Silvia subito dopo il rapimento. Per i suoi servizi Moses avrebbe dovuto ricevere 100.000 scellini, circa €900 ma la notte del rapimento gli altri compari l’hanno abbandonato nelle foresta con un A domani e sono poi spariti. Questo il suo racconto alla polizia quando a metà dicembre è stato catturato e messo dietro le sbarre. Anche lui ha pagato la cauzione, sempre €25.000, è tornato in libertà, ma a differenza di Ibrahim non è scappato. L’abbiamo messo sotto torchio – ha detto la polizia – ma non ci ha raccontato nulla.
Il terzo uomo Abdulla Gababa Wario, pare sia stato arruolato come aiutante. Conosciuto dalla polizia keniota per piccoli furti e altri reati è stato l’unico a non pagare la cauzione. È rimasto in prigione senza neppure riuscire a spiegare perché facesse parte del commando. Durante l’inchiesta svolta da Africa ExPress - resa possibile da sovvenzioni esterne - erano emerse due tesi sulla sorte di Silvia: quella pessimista, sostenuta dai militari secondo cui la ragazza fosse morta e quella di inquirenti, PM e polizia, convinti che Silvia fosse viva. Secondo loro, subito dopo il rapimento la volontaria è stata tenuta prigioniera in Kenya. Le frontiere erano bloccate e quando la sorveglianza si è allentata è stata trasferita in Somalia a un primo gruppo rintanata nel sud del Paese. Solo più tardi è stata portata verso Mogadiscio, nella zona della città portuale di Merca, dove turchi e somali l’hanno ripescata dopo 535 giorni di prigionia.
(consultazione: africa express.corriere.it, lettera di Africa ExPress a Giuseppe Conte, tramefestival.it, facebook.com, italia-quatar, linkedin.com, wikinote.com, articolo21.org, argomenti.ilsole24ore.com, ilgiornale.it, ilsenato.it, alta- fedeltà.info, infocity.it, il fatto quotidiano)