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“Oggetti d’evasione”: una mostra imperdibile

di Giacomo Ghidelli

 

Milano, 23/5-15/6, Viale Dei Mille 1, presso il Consorzio Vialedeimille

 

Per chi se la fosse persa durante il Fuorisalone di Milano, ecco un’altra occasione per immergersi in “Oggetti d’evasione”, mostra realizzata con le creazioni dei detenuti-designer del carcere di Bollate.

Una mostra veramente speciale.

GiulanoPellizzari, uno dei visitatori, ha scritto sulla sua pagina Instagram: “Ho visto mille cose tra Fiera e Fuorisalone, ma alla fine il vero Design, nel suo significato più vero e profondo, l'ho trovato solo negli oggetti esposti in questa piccola, semplice e bellissima mostra, seminascosta in fondo alla Fabbrica del Vapore. Da vedere a chiusura di tutto, per rimettere le cose al loro posto.”

In effetti su questa mostra – a sostegno di quanto ha scritto Pellizzari –si potrebbero dire molte cose, facendo ragionamenti sulla discrasia (tutta a vantaggio della mostra) tra questi oggetti e le infinite e inutili varianti di sedie viste al Salone, piuttosto che le spettacolari installazioni del Fuorisalone, per le quali sembra che il criterio fondamentale sia quello enunciato già quattrocento anni fa da Giovan Battista Marino e che potrebbe essere così riformulato: “È del designer il fin la meraviglia”.

Ma cos’hanno di così emblematico queste creazioni?

Innanzitutto guardiamole. Si tratta, ad esempio, di una mensola fatta con pacchetti di sigarette; di un forno nato da due piccoli fornelli da campeggio e un foglio di alluminio; di pesi da palestra fabbricati con otto bottiglie di plastica riempite di sale grosso unite tra loro con scotch e sorrette da un bastone di legno; di uncinetti creati con forchette di plastica lavorate a caldo e così via. In tutto quarantaquattro oggetti scaturiti da una insopprimibile necessità, quella di riconquistare una dimensione umana che nel sistema carcerario prima e nella cella dopo è completamente negata con violenza.

Una violenza che si manifesta sin dall’ingresso del detenuto in carcere con la spersonalizzazione e la consegna della persona a quella che è stata definita come “una cella liscia”, una definizione questa, come ha scritto Susanna Ripamonti nella introduzione al catalogo della mostra, che “dà molto bene l’immagine del vuoto e della disperazione che accoglie un detenuto al suo ingresso”. Violenza che durante la detenzione prosegue – come ha raccontato Foucault – nella continua sorveglianza dei corpi reclusi e nelle continue pratiche sminuitive e spersonalizzanti a cui i detenuti sono quotidianamente sottoposti, pratiche di cui questi oggetti sono la testimonianza in positivo del vuoto assoluto che queste pratiche producono. Scrive sempre Susanna Ripamonti nel catalogo della mostra: “Riempire quel vuoto, abitarlo, renderlo vivibile è quindi la prima necessità da cui parte la produzione di oggetti d’uso, decorativi, o affettivi. Oggetti che parlano di necessità, di solitudine, di nostalgia, di privazioni. Oggetti consolatori, scaramantici. Oggetti desideranti. Per capire i bisogni da cui nascono dobbiamo iniziare dall’assenza, dal vuoto, dalla privazione”.

Così, come racconta Alessandro Guerriero curatore della mostra, qui incontriamo “oggetti che parlano di ciò che è proibito e di ciò che è lecito, altri rivelano discorsi di verità e discorsi grotteschi, insiti nei dispositivi del potere. Oppure parlano del non far niente e appartengono a un’altra categoria: non sono oggetti d’uso ma sono, nelle intenzioni, oggetti d’arte. Altri ancora danno il senso dell’inutilità del trascorrere del tempo, dell’angoscia del vuoto, dell’ascetica del ripetere, dell’attesa. Oppure descrivono il rapporto con il corpo, oggetti che si adattano al corpo recluso o raccontano della ritualità del quotidiano o della ritualità tout court. Non è una semplice passerella, perché ogni oggetto richiede la sua fatica, una particolare attenzione”.

Sono oggetti, conclude la psicologa Claudia Balottari, che “raccontano l’invenzione che mi porta a stare nei cento universi, altrimenti sottratti alla mia esistenza e al mio poter essere cento e più esseri”. Sono oggetti realizzati non da “povere creature”, ma da “esseri umani che non dimenticano di esserlo”.

In questa seconda edizione della mostra sarà dato spazio anche a incontri e laboratori:

Giovedì 23 maggio, ore 17, la parola ai "carcerieri", con tre rappresentanti delle istituzioni: Luigi Pagano ex provveditore regionale e vice-capo del Dap, Francesco Maisto, Garante dei detenuti di Milano e Giorgio Leggieri, direttore del carcere di Bollate, ai quali chiederemo di spiegarci perché le limitazioni del carcere, come dimostrano questi oggetti, vanno ben oltre la privazione della libertà.

Il 30 maggio alle 17 un incontro-laboratorio dedicato alla cura del corpo.

Il 6 giugno, sempre alle 17 la mostra sarà analizzata dallo sguardo antropologico di Ivan Bargna, docente di antropologia estetica presso l'università di Milano Bicocca.

Il 13 giugno, infine, dalle ore 17, una “serata-pizza” durante la quale un gruppo di detenuti cucinerà per il pubblico utilizzando gli strumenti di cui dispongono in carcere: fornelletti da campeggio, ventilatori trasformati in frullatori, matterelli fatti in casa e ovviamente niente coltelli.

La mostra sarà visitabile dal martedì al sabato, dalle ore 10 alle ore 19.

 

Inserito il:23/05/2024 08:59:25
Ultimo aggiornamento:25/05/2024 19:15:25
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