Il DEF 2017: una “manovrina” di attesa
di Bruno Lamborghini
Il DEF 2017, presentato questa settimana, è stato visto come una “manovrina” di misure modeste non in grado di ridare fiato alla crescita del PIL e la reazione immediata dei mercati è stata una crescita dello spread oltre quota 200. In realtà, il DEF è quanto due galantuomini, come Gentiloni e Padoan, sono riusciti a mettere assieme con buon senso e con pochissime risorse, ma soprattutto sotto le pressioni elettoralistiche renziane e nel vuoto assoluto di visione e programmi da parte delle tre grandi forze politiche, il PD, i vari rami del Centro Destra e il Movimento 5 Stelle. Per lo meno sono riusciti a ricucire maggiore benevolenza da parte della Commissione Europea. Questo in attesa di quanto avverrà nei prossimi mesi, sia nella politica europea (sopratutto l’esito delle elezioni francesi) che in Italia (la lunga stagione elettorale), ma soprattutto in preparazione della cosiddetta “manovrona d’autunno” dei 30 miliardi da trovare.
Non c’è bisogno di sottolineare che ora e nei prossimi anni ci si viene a trovare in un contesto più difficile nella finanza internazionale rispetto alle condizioni degli ultimi anni che hanno visto una straordinaria inondazione di liquidità da parte della Banca Europea con tassi negativi, una porta che si sta richiudendo con tassi in salita e quindi per l’Italia maggiori oneri del costo del debito e quindi minori risorse per investimenti. Né pare necessario ricordare l’effetto Trump, l’indebolimento dell’Unione Europea con Brexit e con le minacce di altre Exit, le barriere ai flussi migratori che fanno dell’Italia l’”ultima spiaggia” che accoglie i migranti.
Quindi, date queste premesse, il DEF pone un crescita massima dell’1% dl PIL anche nei due anni successivi a quest’anno, cioè una crescita purtroppo realistica e forse non raggiungibile nelle attuali condizioni, ma una crescita che non può consentire un sufficiente sviluppo economico ed occupazionale.
Proprio in questi giorni abbiamo letto della ripresa del Portogallo avviata dal nuovo governo Costa, affrontando coraggiosi interventi di minore austerità, ma anche di aumenti su alcune entrate fiscali (carburanti, auto e immobili di lusso) e ottenendo una crescita del 2%, un calo della disoccupazione e del deficit di bilancio. Ancor più evidenti sono i risultati conseguiti in Spagna. In entrambi i casi si riscontra una maggiore determinazione e stabilità dei governi. Non è questo ciò che manca all’Italia?
Un’ultima considerazione rispetto al DEF: il ministro Padoan nella sua presentazione ha indicato che, oltre agli indicatori classici del PIL, si sono voluti evidenziare anche nuovi indicatori di benessere sociale, sostenibilità e inclusione, cioè elementi più qualitativi con cui misurare l’andamento del Paese. Questo non per confondere i dati, ma forse per fare un passo avanti nella cultura economica e capire meglio la complessità dell’evoluzione di un Paese e dei suoi cittadini. Quindi, ben vengano questi nuovi indicatori.