Aggiornato al 27/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Grace Slick (Everton, Chicago, 1939 - ) - Woodstock

 

1 marzo 1968 - 22 maggio 1978: Dalla battaglia di Villa Giulia alla legge sull’aborto

di Mario Moncada di Monforte

 

Era il 1 marzo 1968.

A Valle Giulia, alle pendici dei Parioli di Roma, presso la Facoltà di Architettura erano presenti i reparti della Polizia di Stato che la presidiavano dopo averla sgomberata dall'occupazione studentesca.

Quel 1 marzo, alcune migliaia di studenti si erano riuniti in Piazza di Spagna per dirigersi tutti insieme verso Valle Giulia: volevano liberare la loro Facoltà. Poliziotti e studenti si fronteggiavano, quando alcuni poliziotti avevano cominciato a picchiare uno studente che avevano afferrato.

La reazione studentesca era stata immediata e rabbiosa oltre ogni previsione: gli studenti, messa da parte la remissività che avevano mostrato nei mesi precedenti, avevano reagito con energia e l'impatto era degenerato violentemente per tutta l'area universitaria.

La drammaticità degli scontri, le grida delle ragazze ferite, il sangue, il fumo degli automezzi incendiati e l'urlo delle sirene delle ambulanze che attraversavano quella che ormai era una battaglia, avevano trovato su tutta la stampa descrizioni esaltate, pro e contro i giovani, pro e contro i poliziotti.

Il crudo resoconto finale aveva sorpreso l'Italia: 148 feriti tra le forze dell'ordine, 478 feriti tra gli studenti, 4 arrestati, 228 fermati, 8 automezzi della polizia incendiati e 5 pistole sottratte agli agenti.

L'avvenimento, che la cronaca aveva battezzato “la battaglia di Valle Giulia”, era stato il punto di rottura di ogni precedente tradizione della protesta giovanile sempre in qualche modo contenuta nei limiti del rispetto dell'autorità della polizia, dei professori e dei dirigenti delle Università e delle scuole.

Su quella battaglia si erano sprecate le migliori firme del giornalismo italiano e Pier Paolo Pasolini aveva scritto una poesia per schierarsi dalla parte dei poliziotti, che aveva descritto come gli ultimi rappresentanti della classe operaia aggrediti dagli studenti universitari, figli della borghesia privilegiata che frequentava quella facoltà romana.

Il dibattito era stato confuso e convulso perché, prima di quella battaglia, il movimento studentesco era stato quasi trascurato.

Con lo scontro violento, gli studenti avevano fatto irruzione sulla scena pubblica italiana con un fragore che aveva sorpreso tutti.

Ancora giovane, avevo seguito con simpatia le prime manifestazioni degli studenti, perché avevo sempre pensato che la scuola italiana avesse bisogno di un rinnovamento non solo con riferimento alle materie insegnate ma anche nella democraticità del dialogo fra studenti e professori.

La violenza di Valle Giulia, però, era stata disastrosa e in molti ne avevamo preso una distanza critica.

La società italiana, in ogni modo, fra mille valutazioni in contrasto, aveva dovuto prendere atto che anche i suoi giovani erano entrati in quel vasto e pieno di contraddizioni movimento planetario che sarebbe stato battezzato “il sessantotto”. Il movimento partiva da lontano e, nei diversi angoli del mondo, era sostenuto dalle motivazioni più varie. Già da diversi anni, negli Stati Uniti, la gioventù aveva cominciato a mostrare insofferenza per la guerra in Vietnam e per il modo di vivere di quella che i sociologi avevano chiamato la società dei consumi.

Il 1968 era stato un anno difficile per questo Paese dove, a distanza di due mesi, erano stati assassinati Martin Luther King, prestigioso leader dei diritti civili, premio Nobel per la pace e autore del vigoroso e insieme commovente discorso I have a dream, e Robert Kennedy, fratello di John. Obiettivo dei mandanti di questi crimini era arrestare il rinnovamento della società civile, impedire la lotta alla segregazione razziale degli afro-americani, bloccare le rivendicazioni dei diritti civili e contrastare la protesta contro la guerra in Vietnam.

In quei giorni, il collante dei giovani erano state le idee, i sogni e le speranze. Anche la musica: soprattutto di Elvis Presley, Joan Baez, Bob Dylan, Jimi Hendrix. I giovani volevano cambiare il mondo: aveva sorpreso tutti la partecipazione al festival di Woodstock dove, imprevisti, circa 500.000 giovani, in difficili condizioni igieniche ed alimentari, dormendo accampati in tende, roulotte e macchine, avevano trascorso tre giorni ascoltando musica in grande armonia. Certamente, non era mancata la droga ma, contro il tentativo iniziale dei media di descrivere un incontro di caos e di violenza, alla fine era prevalsa una cronaca che raccontava come pace e amore fossero effettivamente i cardini del comportamento di quei giovani.

Al termine, il proprietario del terreno nel quale si era svolto il Festival, che aveva temuto risse e saccheggi, aveva avuto modo di dichiarare alla stampa che, se gli Stati Uniti si fossero ispirati agli ideali di quei giovani, il futuro sarebbe stato luminoso e pacifico.

La beat generation, gli Hippie, i figli dei fiori erano stati gli appellativi nei quali si riconoscevano quei giovani americani.

Presto si sarebbero diffusi in tutto il mondo con l'inquietudine e il senso di protesta sociale che rappresentavano e con le mode protestatarie che sarebbero state sempre più condivise.

Il movimento studentesco era diventato attivo anche in Germania, dove era stato leader Rudi Dutschke poi capo dei verdi ecologisti, e in Francia dove, nel maggio del 1968, con l'appoggio delle masse operaie aveva espresso quella protesta rivoluzionaria che aveva determinato il ritorno di Charles de Gaulle.

Diversi erano stati i motivi ispiratori del movimento studentesco in Cecoslovacchia e in Cina. In Cecoslovacchia, dalla richiesta di democrazia degli studenti era nata la Primavera di Praga che, con Dubcek, aveva tentato un rinnovamento della vita politica ceca con la proposta di “un comunismo dal volto umano”: anche in questo Paese, purtroppo, dopo pochi mesi, i carri armati sovietici avevano soffocato nel sangue ogni speranza.

Fra le proteste non violente della popolazione ceca, era stato drammatico il martirio dello studente Jan Palach che si era bruciato vivo davanti alla chiesa di San Venceslao, simbolo di Praga.

In Cina, nel 1968, il movimento studentesco aveva raggiunto il suo massimo livello di scontro con il sistema di potere che si era instaurato e contro il quale si opponeva lo stesso Mao Tse-tung: l'appoggio della rivoluzione culturale degli studenti aveva consentito al vecchio leader di riprendere il potere.

In quegli anni, la protesta politica e civile era stata espressa in molti altri paesi del mondo, anche dell'America latina dove era sorto il mito di Ernesto Guevara de la Serna, noto come Che Guevara, el Che.

Cercavo di capire anch'io dove potesse portare tanto dispendio d'impegno umano e il mio interesse per quanto accadeva nel mondo era vivo. Erano i valori borghesi del secolo, le ostinate ideologie, l'abbigliamento, l'aggressione alla natura, la cultura tradizionale, il più insolente consumismo e l'arroganza di chi vorrebbe imporre tutto ciò, ad essere contestati, dissacrati e travolti in un'ondata di provocante giovinezza.

La risonanza degli avvenimenti, spesso drammatici, dimostrava che ovunque le giovani generazioni spingevano verso quello che ritenevano un miglioramento della condizione umana.

Le iniziative erano indovinate? Gli obiettivi indicati erano validi?

I giudizi più contrastanti, le proposte alternative, i rifiuti netti, le accettazioni passive, avevano creato un'incertezza generale che impediva anche a me di schierarmi con sicurezza.

Una cosa era certa e mi confortava: i giovani, pur fra i loro mille probabili errori, non avevano perduto la speranza che un mondo migliore fosse possibile.

Nei mesi successivi, in Italia, la degenerazione violenta delle posizioni studentesche, che avevano cominciato ad assumere una tracotante arroganza, era stata affiancata dalla violenza operaia che era esplosa nella fabbriche.

Eravamo ormai in quello che sarebbe stato definito “l'autunno caldo” che, per la grande mobilitazione sindacale, avrebbe consentito nuovi contratti di lavoro con l'acquisizione di rilevanti diritti da parte dei lavoratori.

Ma, il successo della battaglia sindacale, durante la quale non erano mancati duri scontri con le forze dell'ordine nelle fabbriche e nelle piazze, aveva alimentato anche la nascita di formazioni politiche estraparlamentari dalle quali sarebbero sorti quei gruppi terroristici che avrebbero funestato l'Italia per oltre un decennio: erano iniziati quelli che sarebbero stati chiamati “anni di piombo”.

Contemporaneamente, con il crescere della violenza, si era spenta la protesta giovanile che aveva posto una radicale frattura con quanto c'era di vecchio nelle società occidentali.

E, tuttavia, noi più anziani, almeno quelli non pregiudizialmente ostili ai giovani, avevamo dovuto riconoscere che era stata richiamata l'attenzione su valori fondamentali prima assolutamente trascurati: l'ambiente con i problemi di un'ecologia fin allora ignorata, la parità dei diritti delle donne, l'antirazzismo e il pacifismo come fondamento del dialogo fra i popoli.

Fra mille dubbi, avevo condiviso i valori che i giovani avevano indicato come irrinunciabili.

Bisognava ammettere che, pur nella somma delle contraddizioni, l'Italia era stata messa sulla strada di un suo rinnovamento civile: era stata approvata una legge che consentiva il divorzio e, dopo, sarebbe stata approvata anche una legge che, aggiornando il diritto di famiglia, avrebbe parificato la condizione della donna all'interno dell'istituto familiare.

Infine, con una conquista inimmaginabile prima della rivolta civile del Sessantotto nella nostra realtà politica e sociale così condizionata dalla Chiesa cattolica, sarebbe stata approvata addirittura una legge per l'interruzione volontaria della gravidanza.

E non poteva essere trascurato che, qualche anno dopo, la conquistata maturità civile degli italiani sarebbe stata espressa in due referendum popolari: il primo avrebbe respinto l'abrogazione della legge sul divorzio; il secondo avrebbe respinto l'abrogazione della legge sull'aborto.

L'inaccettabile violenza era costata cara, ma il rinnovamento civile degli italiani era stato indiscutibile.

 

Inserito il:11/12/2018 11:09:20
Ultimo aggiornamento:11/12/2018 11:25:07
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