Salvador Dalì (Figueres, Spagna, 1904 - 1989) - Le Mur des Lamentations (1975)
Profonda delusione
di Marialuisa Bordoli Tittarelli
Gli scritti di Vincenzo Rampolla sono sempre così stimolanti e mi istruiscono su un numero incredibile di argomenti (mettendo in evidenza la mia profonda ignoranza) che mi precipito a leggerli con diligenza e attenzione, anche perché poi devo cercare il dipinto da correlare al testo.
Normalmente li leggo più di una volta perché sono sempre molto ricchi di informazioni e una rapida lettura a me non basta per appropriarmi del testo.
L’ultima sua fatica, però, pubblicata su nelfuturo mi ha letteralmente sconvolto.
Si tratta di Al Muro del Pianto, ebree in preghiera assalite da ebrei.
Confesso di essere stata una profonda ammiratrice del popolo ebraico. Sono affetta da filoebraismo. La mia simpatia ha antiche radici.
Quand’ero bambina, il nostro medico di famiglia era ebreo. Un uomo alto, biondo, con gli occhi chiari, di origine polacca, dai modi raffinati, che parlava italiano con un leggerissimo accento che aggiungeva fascino alla sua figura.
Poiché abitavamo in un condominio enorme, chiuso entro mura che si congiungevano ad un cancello molto distante dalla nostra abitazione, quando il medico arrivava ero io il piccolo corriere che sgambettava con le enormi chiavi ad aprire il cancello.
Anche l’auto che guidava mi lasciava incantata. Non mi intendevo certo di marche allora, ma ricordo che era grande molto più della nostra piccola utilitaria e soprattutto era di un colore (oggi lo troverei tremendo) che ai miei occhi di bambina era stupefacente: bianca e celeste!
Il dottore aspettava che richiudessi il cancello e mi faceva salire sulla macchina e io mi sentivo tanto Cenerentola sul cocchio fatato. Avevo una tale adorazione per lui che insistevo testardamente per portargli la borsa che trascinavo con fatica su per i tre piani che portavano al nostro appartamento.
Il fatto che fosse ebreo (era il primo e l’unico che avevo conosciuto) nobilitava quindi tutta la sua etnia che immediatamente collocai come superiore in tutti i sensi.
Non soffro di invidia (che fortuna!) e di fronte a qualcuno che reputo superiore non provo nessun tipo di disagio, ma al contrario, sono dispostissima a conoscere, imparare e godere di quello che non ho, ma posso ammirare.
Nel tempo lo scoprire che moltissimi amati scrittori, compositori, geni, persone insomma che hanno aiutato l’umanità ad elevarsi, fosse di origine ebraica non ha fatto che rafforzare la mia ammirazione e la mia simpatia.
C’è stato un periodo durante il quale sia io che mia figlia portavamo al collo addirittura una piccola menorah d’oro come dimostrazione di simpatia e solidarietà per le persecuzioni subite nel tempo da questo popolo.
Questo lungo cappello per spiegare lo stupore e la costernazione che l’articolo di Vincenzo hanno scatenato.
Un popolo così intelligente, così ricco di personalità geniali, così avanzato, così civile, ancora nel 2021 ha un atteggiamento vergognosamente discriminatorio nei confronti delle sue donne.
Certo non tutti hanno questo atteggiamento, ma il fatto che il governo non sia ancora in grado di imporre e far rispettare, ai recalcitranti, una legge che semplicemente evidenzia la naturale uguaglianza di diritti dei due sessi di fronte a Dio, ha suscitato in me un vero orrore.
Un atteggiamento che io identificavo come “talebano”, sostantivo che nella mia mente si identifica come totalmente ignorante delle prime basi di civiltà, per esprimermi in modo educato, è in realtà condiviso da un popolo che di civiltà pensavo ne avesse da vendere.
La mia indignazione e delusione non ha limite.
La figura di Cristo improvvisamente mi è sembrata mille volte gigantesca, superiore, magnifica.
Il suo atteggiamento nei confronti delle donne è stato modernissimo, aperto, assolutamente paritario, se non addirittura di predilezione.
Non tanto per l’aver protetto e difeso l’adultera in maniera tale da mettere per la prima volta sullo stesso piano l’adulterio della donna e quello dell’uomo, né per aver ceduto alla richiesta della donna, sua madre, che gli chiede di intervenire per riparare ad un’imbarazzante mancanza di vino alle nozze di Cana, né per il lungo, profondo, misterioso discorso alla Samaritana scegliendo ancora una volta una donna per rivelare la sua essenza divina, ed ancora è ad una donna, Maria di Magdala, che appare per primo alla resurrezione, un gesto clamorosamente contro corrente dato che le donne nell’Israele di quei tempi erano soggetti senza dignità, poco credibili, senza diritti civili e quindi inaffidabili (tant’è vero che gli apostoli non le credettero). Per me l’intervento che lo proclama come il primo vero femminista è quell’aver “sgridato” Marta invitandola a lasciar perdere le faccende domestiche, per fermarsi ad ascoltare e quindi a pensare, ragionare, istruirsi innalzando così la donna vissuta sempre e solo come un corpo, ad una mente.
Caro Vincenzo, il tuo articolo ha confermato ahimè la sensazione che nonostante lotte, conquiste, cultura, capacità, determinazione siamo ancora lontane dall’essere considerate sullo stesso piano dei nostri padri, fratelli, mariti.
Ancora siamo corpi, da usare, abusare, sfruttare, magari ammirare e amare, finché se ne ha voglia, ma la mente è un optional scomodo, spesso sgradito, a volte noioso, problematico. Quindi meglio negarla, sminuirla, cercare di cancellarla.
Il sogno dei miei vent’anni, del famoso sessantotto, in cui la testa era al comando del corpo, in cui si disubbidiva al padre, si poteva scegliere e non essere scelte, in cui con semplicità saremmo state davvero considerate con pari diritti, si è perso da qualche parte.
Ma è vero che la speranza è l’ultima a morire. Ancora non si è esaurita la fiducia nella infinita pazienza e resilienza delle mie sorelle.
Prima o poi riusciranno a far entrare questa imbarazzante, ma naturale verità dei diritti delle donne, nella zucca degli uomini.