Aggiornato al 27/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Zack Thurmond (St. Louis, Missouri, 1979 - ) - Edward Hopper’s Coffee (2009)

 

Nichilismo e caffè

di Federico Torrielli

 

Caffè

Ieri mi sono alzato come ogni mattina, verso le sei, con la voglia di restare tutto il giorno nel letto. Mentre da una parte la forza di gravità vorrebbe che il mio corpo restasse disteso sul materasso, il mio cervello mi sprona ad attivarmi ed a rendere utile un'altra giornata. Per me non c'è giorno che inizi senza un pensiero fisso: alle volte semplice, altre complesso, l'importante è che questo "esista" dentro me. Se ho abbastanza tempo prima della colazione scrivo una poesia (dipende dalla quantità di ispirazione anche), ma solitamente non lo faccio perché esternare forzatamente delle emozioni farebbe di me un umano a tutto tondo e mi trascinerebbe in pensieri profondi, che lascio alla sera ("L'uomo è il solo animale che rifiuti di essere ciò che è", diceva Camus).

Faccio colazione: 4 biscotti, latte caldo (o freddo, dipende dal mio umore) e ovviamente il mio caffè. Se mio padre si sveglia prima di me allora posso risparmiare la fatica di accendere una macchina che lo faccia per me e berlo dalla sua Moka. Caffè: se dalla macchinetta, lo bevo in una tazza separata, ma contemporaneamente al latte, sia mai. Se la Moka pre-esiste allora è sicuro che il latte si macchi di caffè per la sua metà della grandezza. Sono attento alle misure: non più di metà, se voglio ancora bere in università, l'importante è che la caffeina consumata in una giornata non superi i 150 mg. Se bevo solo espressi, allora posso sorseggiare fino a 3 caffè al giorno (ipotizzando che ogni espresso contenga all'incirca 50 mg di caffeina), la Moka di mio padre mi costringe a berne solo più uno dato che ho calcolato che la mia porzione di caffè contiene 100 mg c.ca di caffè. Il weekend bevo solo un espresso al giorno, se sono sotto esami invece il weekend viene contato come giornata classica e bevo solitamente tre caffè.

Durante il rito del caffè, penso a ciò che mi aspetta oggi, sfoglio il calendario elettronico che la sera prima mi sono preparato per la giornata successiva e sonnecchio seduto, aspettando che il caffè faccia il suo effetto.

Fatto tutto ciò, la mia vita da universitario inizia: se è lunedì, ho tempo di studiare/far altro a casa fino alle 10:50, dato che è l'unico giorno in cui le lezioni iniziano alle 13 invece che alle 9 come di consueto. Tra tutte le giornate, mercoledì è la mia preferita: meno impegni è sinonimo di più tempo per me stesso. Se gli altri giorni devo strafare fino a sera tardi, il mercoledì la mia giornata "lavorativa" finisce alle 12, e per il tempo restante mi riposo. Il mercoledì inoltre è precisamente a metà tra l'inizio settimana e il pre-weekend (venerdì) ed è anche il giorno in cui posso ripetere la mia frase preferita per un centinaio di volte: "Non c'è abbastanza tempo per essere infelici".

 

Dizionario emozionale

L'infelicità di una persona dipende certamente dagli altri, ma se dipendesse unicamente dalle altre persone potrebbe essere una valida dimostrazione al determinismo universale, che invece non può essere.

Ogni essere umano ha certamente un certo approccio al proprio "sentirsi tristi": alcuni lo vedono come una conseguenza ad un fatto precedente, altri lo vedono come un errore commesso che porta dunque le conseguenze sull'Io. Il mio atteggiamento nei confronti della tristezza, per quanto poco io sia veramente triste, è l'apprezzamento. Curare ogni emozione, accettarla, e sfruttarla per ripartire è certamente il metodo migliore per evolversi ma ciò può avvenire solo in una certa situazione mentale che è difficoltosa da ricreare ogni volta che l'infelicità coglie l'Io.

Se da una parte scrivere è un modo per riporre da qualche parte questi sentimenti, ancora meglio è la riflessione sugli stessi.

Non sono forse i momenti di solitudine i migliori per avviare una riflessione?

La stessa parola sopracitata nasce nel significato moderno con l'empirismo di Locke, che la definiva come "la percezione delle operazioni che l'anima nostra compie dentro di sé sulle idee che ha ricevuto mediante i sensi (Saggio, II, 1, 4)" e durante tutta la storia della filosofia si sviluppa con l'accezione latina originale, ovvero reflexio, dunque letteralmente "parlare con il proprio riflesso".

Per attraversare gli stati di coscienza però è necessario avere un substratum (una base) di conoscenze prematurate: la riflessione non nasce senza la consapevolezza stessa delle emozioni e degli stati d'animo. Il metodo migliore per "imparare" a descrivere un'emozione è certamente guardare le esperienze altrui, ma dove?

A questo punto entra in gioco la letteratura: le tragedie greche, i romanzi ottocenteschi, le poesie maledette sono solo una piccola parte della grande vastità di sapere "emozionale" che viene concesso dalla letteratura. Anche semplicemente leggere una volta "I dolori del giovane Werther" può aprire la coscienza al sentimento della malinconia, così come leggere "I fiori del male" di Baudelaire può insegnare al lettore che cos'è lo Spleen oppure il sentimento del fiore del male.

Non è certamente mia intenzione ora elencare ogni tipo di sentimento cui la letteratura è riuscita a dare un nome, ma è importante sapere che se da una parte imparare a conoscere le emozioni è una strada in salita, il compenso è enorme.

 

Nichilismo

Alle volte mi siedo sorseggiando una tazzina di caffè, e cado dunque involontariamente nella riflessione: se qualche anno fa avrei potuto riflettere sull'Assurdo, la Nausea (Camus, Sartre), oggi per la maggior parte del mio tempo non riesco a non chiedermi che cosa sia veramente il nulla.

In questi momenti il caffè fa da fiume in piena per i miei pensieri, amplificandoli cento volte: pensare a "niente" mi tormenta.

La definizione del pensare al "nulla" o "niente" rimanda al Nichilismo: la mancanza assoluta del senso della realtà. A questo proposito vorrei rimandare alla lettura di opere come "L'uomo in rivolta" di Albert Camus, eccellente nel descrivere le sensazioni trasmesse da una coscienza nichilista.

Bisogna innanzitutto distinguere due "tipi" di nichilismo (non si ricorrerà alla definizione di Nietzsche, ma ad una più generica): il nichilismo storico e quello vissuto. Per nichilismo "storico" si intende il movimento nichilista (di derivazione russa), mentre quello che stiamo cercando in questo momento è proprio il secondo.

Quando una persona arriva a dire: "sono un nichilista"? La risposta giace nelle usanze della società e nell'educazione del singolo nel rapporto con gli altri e con se stesso (per chiarire: non sto ancora dando una notazione positiva o negativa al termine, è un'introduzione necessaria per procedere). Il nichilista, per definizione, rifiuta il tutto per abbracciare il nulla: questo tutto è rappresentato dalle idee, dalle passioni, dagli usi (come la religione o il concetto di Stato) e dai costumi (le abitudini imposte), non in nome di una rivolta ma nel nome del ragionamento logico.

"Perché?", si dirà, è difficile comprendere come una persona arrivi a preferire non credere a nulla piuttosto che credere in qualcosa: certamente questo non comporta delle emozioni negative, non per forza egli deve anche essere depresso o un pessimista!

 

Pensando a questo, le mie giornate passano tra un libro e l'altro nel cercare di spiegarmi nella maniera più concreta possibile quello che mi stava accadendo: avevo iniziato a rompere tutti gli specchi che mi erano stati associati, senza distruggere la mia personalità. Da un lato ero dunque gratificato che alcune scelte non mi avessero cambiato la vita, dall'altro sapevo di aver sbagliato a pensarlo. La mia vita era cambiata.

Cosa vuol dire allora vivere da nichilista? In verità questo è il punto forte: non avere credenze permette di diventare un osservatore esterno a tutte le vicende che capitano all'essere umano e specificatamente a me: Kant diceva anche che un'azione buona può solamente essere giudicata tale solo domandandolo ad una commissione di giudici oggettivi "creati" da una riflessione interna, potevo dunque essere sulla buona strada.

Quando si compie una riflessione, è sempre difficile rimanere lucidi, ed è invece facilissimo lasciarsi tentare dalla forza delle emozioni, che tendono sempre a dare ragione a chi le evoca: forse mi "fingevo" nel pensiero?

L'unico modo per scoprire se questo potesse essere vero sarebbe stato scrivere su carta come al Liceo: potevo ancora farlo d'altronde, visto che la poesia è come la bicicletta. Quindi mi sedetti al tavolo, penna in mano, e scrissi:

L'uomo d'oggi cerca

in se, un pensiero coeso,

in una landa desolata

senza idee, senza certezza.

Morto il tempo dei lumi;

poveri loro! Beati loro!

Con una fioca lanterna

nel cercar della grotta

buia come la notte

il giusto senso delle cose:

un non-so-che di rivolta

si accende nel mio cuore.

Era forse la rivolta che accendeva il cambiamento? Non poteva essere semplicemente una rivolta giovanile, era un cambiamento percepito razionalmente: il vento cambia, è il vento del nichilismo.

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Fine parte 1.

Post-Scriptum: scrivere articoli è un'attività che personalmente mi impegna una grande quantità di tempo: nella mia lentezza dello scrivere posso essere più oggettivo possibile e magari dare qualità ad un breve contenuto. Mi piacerebbe avere un po' di questo all'interno di questa testata online: più soggetti, meno opinioni, più oggettività. A questo link trovate il lavoro di bozza a cui vengono sottoposti gli articoli, se siete interessati (ne faccio più di uno, ma questo è esemplificativo).

 

Inserito il:23/05/2018 11:30:21
Ultimo aggiornamento:23/05/2018 12:03:07
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