Aggiornato al 21/11/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Elaine Plesser (Contemporary, Southern California) - Wine Barrels In The Wine Cellar - 2011

 

L’istinto, la realtà e la morale

di Gianni Di Quattro

 

Tanti anni fa dopo la laurea, l’esame della situazione del mercato delle professioni e le condizioni economiche della mia splendida famiglia mi avevano costretto a verificare senza ombra di dubbio che non sarei riuscito a fare quello che mi sarebbe piaciuto fare nella vita e che per tanti anni avevo sognato e cioè l’avvocato. Il penalista ovviamente, perché il penale è il settore del diritto che ho sempre considerato il più vicino alla complessità umana, a parte il fascino che l’interpretazione della professione esercitava su di me e che mi portava a passare le mattinate, quando non impegnate alla università, a presenziare ai processi più delicati e ad ascoltare le arringhe degli avvocati più famosi che venivano a Palermo, dove vivevo, contrattati per tentare di raddrizzare situazioni giuridiche disperate e per difendere uomini alla sbarra accusati dei delitti più feroci.

Dunque allora cominciai con il mio amico Antonio, con cui dividevo giornate e speranze, a cercare, a scrivere, a pensare tutto quello che era possibile per trovare un lavoro nel contesto in cui si viveva allora. E dalla Olivetti mi risposero invitandomi ad un colloquio con mia grande felicità. Avevo seguito Adriano Olivetti, i suoi libri di Comunità che regalava alla nostra Associazione Goliardica (la sezione palermitana dell’UGI), avevo letto di questa azienda che tentava strade diverse per fare imprenditoria e che considerava la gente che vi lavorava come la risorsa più pregiata e che quindi andava così considerata a parte gli aspetti più propri di un riscatto umano e della instaurazione di un rapporto diverso tra imprenditore e dipendenti. Non avevo capito evidentemente tutto di Adriano Olivetti, ma mi era chiaro comunque che si trattava di un grande protagonista della nostra epoca, di quelli su cui si può costruire una visione migliore del futuro.

Feci un primo colloquio a Roma con Furio Colombo, giovane dirigente addetto alla selezione dei laureati della Olivetti, e fu un incontro piacevole, mi trovavo di fronte ad una persona intelligente in un bell’ufficio situato in un palazzo a Piazza di Spagna, bellissima e luminosa. Dopo il colloquio tornai a Palermo sperando di avere fatto buona impressione e in una seconda convocazione, così come Colombo mi aveva detto che poteva essere probabile.

E la seconda convocazione dopo poco tempo arrivò, questa volta per andare a Milano. Partii felice da Palermo con la Freccia del Sud anche se sapevo che avevo davanti 23 ore da trascorrere in uno scompartimento di un treno che doveva percorrere in lungo il paese. Il viaggio fu pesante, ma io ero giovane e felice e i compagni, in gran parte uomini che lasciavano la propria terra per lavorare (perché il problema del lavoro in Sicilia c’è sempre stato anche quando c’era il boom economico e perché nulla mai è stato fatto per cambiare le cose), allegri e pronti ad affrontare una nuova vita, magari con tante illusioni.

Il giorno dopo verso le dieci del mattino arrivai a Milano, una Milano grigia e un po’ nebbiosa (io mai avevo visto la nebbia e mi fece una grande impressione) ed uno strano odore nell’aria che, come altre volte ho raccontato, mi sembrava un misto tra carne lessa e gomma bruciata, un odore che ho sentito in seguito per molto tempo, sino a che è sparito non so se perché ha vinto l’assuefazione o per qualche altro motivo. Ho cercato e trovato una piccola pensione nella piazza della stazione centrale (adesso è un albergo anche se non di prima categoria) perché dovevo ripulirmi prima di andare al colloquio in Olivetti fissato nel pomeriggio verso le 16.

Un po’ più tardi ho lasciato la pensione, ho fatto un giro per respirare un po’ Milano, mangiare qualcosa in una latteria (allora ancora non si mangiava nei bar e i locali di vario tipo dedicati al cibo non erano così diffusi), e presentarmi con l’anticipo classico e doveroso del quarto d’ora in Via Clerici, lo splendido palazzo Olivetti al centro della città, in un via stretta e in un ambiente un po’ irreale. Naturalmente non sentivo la stanchezza del viaggio dato che l’eccitazione, a stento controllata, era molto alta.

Il colloquio fu con una persona che non dimenticherò mai, Ottiero Ottieri, di cui avevo casualmente letto il suo Donnarumma all’assalto e che mi aveva fatto una certa impressione. Un colloquio in una stanza di questo palazzo pensato esclusivamente per uffici (allora ancora non ce ne erano tanti), piena di libri e colorata anche da litografie appese alle pareti. La scrivania di Ottieri era piena di matite colorate e di oggetti. Il colloquio fu delizioso, parlammo del Sud, delle speranze, della vita e di valori, di cultura e di emozioni, ad un certo punto ci alzammo per andare alla finestra e guardare il grigio di Milano e chiederci se e come il clima, l’ambiente poteva condizionare sentimenti e comportamenti, scelte e impegni. Alla fine mi disse che sarebbe stato opportuno farmi incontrare Ugo Galassi, che era il grande capo commerciale della azienda e che a lui spettava la decisione finale sulla assunzione delle persone da immettere in questa organizzazione. Mi chiese di pazientare perché Galassi poteva incontrarmi verso sera, ma sarebbe stato inutile farmi tornare a Palermo e poi richiamarmi. E naturalmente per me non c’era alcun problema, anzi presi la proposta come un indizio di avere superato anche questo importante traguardo.

In una sala d’attesa, piena di riviste e di comode poltrone colorate, aspettai diverse ore sino a quando verso le 19 un signore che si presentò come Umberto Soliani, direttore del personale della struttura commerciale italiana, venne a prelevarmi per portarmi nell’ufficio di Ugo Galassi. Mi tenne prima dieci minuti per spiegarmi chi era quest’uomo e farmi capire che stavo per incontrare uno dei protagonisti principali della storia Olivetti, l’uomo che, con la massima fiducia di Adriano Olivetti, aveva disegnato e realizzato la struttura commerciale originale dell’azienda. Lo ringraziai, ma mi mise addosso una terribile ansia perché mi fece capire, al di là delle parole ovattate di Ottieri, che la mia assunzione o meno dipendeva completamente da questo incontro.

E andammo, io e il Soliani che mi accompagnava, nell’ufficio di Ugo Galassi, al quarto piano del palazzo. Un grande ufficio, luminoso e fumoso con questo uomo in maniche di camicia, non molto alto con i baffi e gli occhiali e uno sguardo che fissava con molta intensità. Mi invitò a sedere e per qualche minuto che a me sembrò una eternità non parlò, mi guardava in un grande silenzio senza mai rivolgersi a Soliani che si era seduto accanto a me davanti alla sua scrivania.

Ad un certo punto disse che voleva propormi un quesito: “diciamo che lei ha una azienda che produce botti. Queste sono voluminose e il trasporto delle stesse dalla fabbrica ai clienti è costoso, ma un ingegnere particolarmente attivo ha l’idea di spostare la collocazione e la dimensione del rubinetto che serve a far uscire il contenuto. In questo modo si guadagna spazio e si possono trasportare più botti con lo stesso carico naturalmente guadagnando, perché si possono servire più in fretta più clienti con meno mezzi di trasporto. Ma sa cosa succede? Improvvisamente dopo l’introduzione della variante studiata dall’ingegnere sulle botti e dopo avere verificato che effettivamente si risparmia, i clienti non ordinano più le botti e la produzione deve rallentare. Un bel problema! “

Scusi, mi dice Galassi, dopo una pausa lunga, con un’aria che a me al momento era sembrata cattiva e aggressiva, in questa situazione lei cosa pensa si potrebbe fare? Perché qualcosa l’azienda è chiaro che deve fare, vero?

In quel momento credo per la prima volta nella mia vita ancora sino ad allora breve fui preso dal panico, perché mi resi conto immediatamente che non avevo la minima idea di cosa potevo fare e cosa avrei potuto rispondere e in un barlume mi sembrò di vedere il crollo di un sogno che da diverse settimane accarezzavo e in cui speravo tanto.

Decisi quindi di dire subito e comunque qualcosa, tanto valeva essere dignitosi e risposi d’istinto, evidentemente, che la prima cosa da fare era, secondo me, andare a chiedere ai clienti perché non compravano più, al di là di pensieri che gli esperti potevano esprimere immaginando. Capire, insomma.

Ugo Galassi mi guardò ancora con maggiore intensità se possibile e forse con sorpresa, mi sorrise (ed era la prima volta che lo faceva da quando ero entrato) e disse: “certo, è la strada migliore, sono assolutamente d’accordo” e poi rivolto a Soliani, che naturalmente taceva, “questo per me va bene, proceda” e mi salutò porgendomi la mano dicendo “benvenuto”, il miglior benvenuto della mia vita.

Così, in dieci minuti, entrai a far parte della Olivetti e lo debbo all’istinto che mi ha suggerito la risposta più appropriata ad un quesito che era allora lontano da qualsiasi mio interesse culturale.

Non ho mai dimenticato quell’episodio così importante e condizionante di tutta la mia vita e devo dire che, essendomi occupato di mercato per tanti anni in diverse condizioni e anche in diversi paesi e a diversi livelli, ho sempre riscontrato nella realtà la validità della domanda e della risposta. Il principio è che decidere prodotti, servizi, politiche senza la partecipazione del mercato, dallo stesso prima o dopo arriva il rigetto.

La morale?

Sul piano personale quando tutto sembra perduto il coraggio è l’unica arma a disposizione e la resa è sempre una rinuncia alla vita, ad un sogno.

Sul piano professionale alcune considerazioni. La prima è che, secondo me, questa piccola storia può spiegare forse meglio di ogni altra analisi, cosa era la Olivetti, quale era il suo modo di vivere e perché ha avuto tanto successo. Inoltre, può far capire che Olivetti non era solo fabbrica e produzione, ma cultura e mercato e che il suo segreto stava proprio nel mix di tutti questi elementi.

Ancora un’altra considerazione riguarda il mercato, spesso trascurato dalle aziende, spesso ritenuto non necessario di investimenti, di cure, di attenzioni. La Fiat e tante altre aziende, per esempio, allora hanno avuto successo perché hanno operato in regime di monopolio e quindi senza preoccuparsi del mercato, la Olivetti da sempre ha agito in concorrenza e ha cercato la concorrenza a livello internazionale e questo aspetto rappresenta certamente un elemento fondamentale della visione imprenditoriale di Adriano Olivetti. Bisognerebbe parlarne di più anche in momenti come questo in cui sembra che fare marketing sia solo fare pubblicità e sondaggi.

 

Inserito il:26/11/2017 09:00:53
Ultimo aggiornamento:26/11/2017 09:09:15
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