Margo Schopf (Johannesburg, Contemporary) – Everyone leaves
Abbandonare
di Gianni Di Quattro
Lasciare definitivamente e per sempre è la definizione di tutti i dizionari del termine abbandonare, che ha un suono sinistro anche solo a pronunciarlo. Si può lasciare la casa paterna, la terra nativa, la famiglia, gli amici, tutto e persino la vita. Tutti hanno nella loro vita abbandonato qualcosa o qualcuno, raramente si può incontrare qualcuno assolutamente puro ed esente da questo punto di vista.
È quasi normale abbandonare un fidanzato o una fidanzata, più difficile ma ormai sempre più frequente abbandonare moglie e figli, naturalmente anche abbandonare un lavoro, più traumatico essere abbandonati dallo stesso. Stranamente la gente abbandona con maggiore difficoltà un partito e, soprattutto, la squadra di calcio del cuore. Questo malgrado ormai i partiti in generale si siano trasformati in strutture di business e di aggregazioni sociali spesso personalizzati essendo cadute tutte le forme di ideologia senza che nessun altro valore sia arrivato a sostituire qualcuna di queste. Strutture basate su spregiudicate forme di comunicazione e su slogan sociali studiati solo allo scopo di acchiappare consenso. Non parliamo delle squadre di calcio ormai nelle mani di investitori istituzionali (quelle più importanti), in gran parte internazionali e senza alcun legame con la città che vogliono rappresentare e dove vivono la maggior parte dei loro tifosi, come era una volta.
Chi ha abbandonato o chi è stato abbandonato sa cosa vuol dire anche se non ne vuole parlare, anche se non riesce davvero ad esporre senza alcun trauma la ferita che ha ricevuto, così come non riesce a parlare della ferita che ha provocato, fa finta di non saperlo ma lo sa, lo sa perfettamente.
L’abbandono è il trauma più grande dei tempi moderni. Abbandonare la propria terra è un fenomeno diffuso, spesso abbinato a scappare dalla propria terra per la fame, per la guerra, per la violenza, per la disperazione. Ma anche se non abbinato a scappare, abbandonare il posto natio e la famiglia in cerca di futuro è un trauma che non si dimentica per tutta la vita. Io ricordo quando dopo gli studi, dalla Sicilia mi sono dovuto muovere verso il Nord perché avevo trovato fortunatamente un lavoro, e quindi dovevo abbandonare quello che era stato tutto il mio mondo sino a quel momento. Ricordo i preparativi in famiglia prima della partenza, mio padre che diceva che dovevo comprare una valigia decente (non potevo presentarmi in qualche albergo o in qualsiasi altro posto con una vecchia valigia in fibra tutta bucata) e che soprattutto dovevo comprare un cappotto che non avevo mai avuto nella mia vita, ricordo mia madre che mi girava attorno e che mi preparava tutto quello che di meglio sapeva fare in una atmosfera talmente irreale da essere indimenticabile, gli amici con i quali si passavano ore, le ultime ore insieme della nostra vita, a parlare di una maledizione che spesso imprigiona gli uomini e che limita la loro libertà nella sostanza, al di là di pensieri e di convinzioni approfondite, di qualsiasi sentimento.
Ma è difficile spiegare tutto questo a chi non ha mai dovuto abbandonare la famiglia e la propria terra, a chi non è mai stato abbandonato da qualcuno oppure non se ne è accorto o non ha voluto accorgersene. È difficile parlarne con chi ha abbandonato amici e ambienti per raggiungere un obiettivo, a chi non ha avuto molti problemi morali nella lotta sociale per vincere, per raggiungere cose, le stesse che molti ritengono, sbagliando, possano dare la felicità.
Il mondo è pieno di abbandoni, è un abbandonare continuo di tutti verso tutti in nome di un traguardo umano o di lavoro, di denaro o di prestigio, qualche volta anche per un sentimento o una passione. Alcuni sentono queste ferite, si tengono le cicatrici e non dimenticano, ma la loro vita ne risente sempre. Altri cercano di dimenticare, qualcuno ricorre persino a medici specialisti per cancellare le ferite, vanno avanti facendo finta di niente ma sono infelici. La verità è che tutti sappiamo, anche se non ci pensiamo, che prima o dopo dovremo abbandonare tutto, proprio tutto, facciamo finta di niente e viviamo per conquistare, per godere di sentirsi vivi in mezzo alle cose. E va benissimo certo, ma se decidessimo di vivere per un po’ di felicità, un po’ più di felicità, il mondo, anche se vissuto in modo provvisorio, sarebbe molto più bello.