Girolamo Peralta (Palermo, 1957 - Trapani) - Nel deserto dell’apparenza
La società dell’immagine - 4 - L’involuzione della società dell’immagine
“Una visione distopica di un futuro prossimo”
di Camilla Accornero
Cosa accadrebbe se tutti gli aspetti caratteristici “della società dell’immagine”, illustrati negli articoli precedenti, si concretizzassero in ogni più tenue sfaccettatura? In altre parole, se questa società continuasse ad incedere sull’attuale, e quanto mai discutibile, processo di sviluppo, sino ad approdare alla realizzazione di una società di massa, perfettamente uniformata e omologata, nonché convinta di agire in nome dell’idea di libertà assoluta priva di vincoli, cosa succederebbe?
In questa società che idolatra la mera sopravvivenza, -una tappa intellettuale quanto mai insolita da voler perseguire-, e si nasconde dietro immagini sbiadite che rendono labili i confini tra realtà e finzione, in cui l’identità personale si può scegliere allo stesso modo in cui si ordina un paio di scarpe da un catalogo e nella quale vengono esaltati i poteri globali, sembrano poco a poco perdere d’importanza l’individualità e le proprie radici, la storia personale, i profondi legami familiari e affettivi, il senso di appartenenza a un luogo, la libertà di avere un’opinione priva di forti condizionamenti esterni, la capacità di ragionare per mezzo del pensiero critico e l’uso del metodo dialettico per confutare e mettere in dubbio teorie proposte quali verità indiscusse.
A seguito di tale profusione di parole, credo sia giunto il momento di arrivare al fulcro della questione. Vorrei tentare di fornire una visione personale di quello che potrebbe essere uno dei possibili futuri verso il quale la società dell’immagine potrebbe andare incontro se ciascuno dei punti precedentemente elencati venisse estremizzato e al contempo altre caratteristiche venissero derubricate. Il progetto, presentato con le vesti di un racconto, è finalizzato a dar vita ad un’immagine distopica della società contemporanea. Pertanto le ipotesi che avanzerò, pur partendo dalla contemporaneità quale fonte primaria di ispirazione, sono frutto di un atto creativo e vanno lette e considerate in quanto tali.
Prima di impelagarmi nell’attuazione di tale idea, forse troppo ambiziosa e presuntuosa, vorrei sottoporre all’attenzione dei lettori ancora alcuni aspetti peculiari della società dell’immagine, come, ad esempio, l’impiego del meccanismo di condizionamento passivo per influenzare le masse.
Come si piega una mente all’obbedienza
Il processo di condizionamento sociale inizia in tenera età, per tale ragione il campo educativo assume un ruolo chiave per il raggiungimento dello scopo. Una constatazione allarmante, -se si crede davvero possa essere vera-, in quanto la primarietà dello Stato nel campo educativo, rispetto alle figure genitoriali, non ha quale unico scopo l’educazione. Vi sono ulteriori fini che non si possono ammettere esplicitamente, e tanto meno pubblicamente, quali, per citarne alcuni, la propaganda e la diffusione in sordina di eventuali idee (che possono abbracciare diversi ambiti) stridenti con quelle che vengono insegnate in ambito familiare. Dopotutto, se si è in possesso di una nozionistica di base rispetto alla storia del secolo scorso, non è difficile appurare quanto possa essere pericoloso lasciare agli Stati l’appannaggio esclusivo dell’educazione. Lascio ai lettori la possibilità di figurarsi tale eventualità.
In questo modo si ottengono bambini le cui menti sono state plagiate e rese adatte per contenere informazioni, ideologie, modi di agire e di pensare conformi al volere dello Stato, e dunque successivamente utilizzabili per il raggiungimento dei suoi fini, qualunque essi siano. A questo primo livello di condizionamento, in cui, in misura sempre minore influisce la famiglia, segue il secondo, che si sviluppa lungo il percorso di studi del bambino. Egli assume una “propria”, -l’uso delle virgolette non è una disattenzione, ma tende a rimarcare quanto sia difficile stabilire in quale misura sia propria e non subdolamente indotta-, visione del mondo, delle cose, delle persone, dei contesti, della società…
A questo condizionamento si aggiunge una forte influenza sociale, soprattutto derivanti dai mass media e dalla televisione, i quali propongono idoli, icone, modelli da seguire e imitare e a cui ispirarsi.
E così, il bambino, preso per mano e condotto attraverso i vari livelli di condizionamento, diventa un giovane adulto che rispecchia esattamente il ruolo sociale per cui è stato educato/ “programmato”, o la gamma dei ruoli in cui convenientemente può rientrare.
Le “armi” del condizionamento sociale
Il condizionamento sociale, che abilmente e in sordina propone la propria visione del mondo, del tempo, dello spazio, della storia, della cultura, della società, idolatrando la tecnologia, l’innovazione e i più moderni mezzi di comunicazione, si appoggia sapientemente ad essi e li sfrutta per essere più pervasivo. Grazie ad un’efficace manipolazione dell’informazione riesce a diffondere le proprie idee per uniformare l’opinione pubblica e creare un fronte unito. Un meccanismo tanto subdolo e raffinato non può certamente essere fine a se stesso, infatti, se ci si vuole sbilanciare per un secondo, si potrebbe avanzare l’ipotesi che serva piuttosto a mantenere in equilibrio un delicato sistema sociale che altrimenti si ripiegherebbe su se stesso.
L’inganno ordito riesce a consolidarsi perché spinge il singolo individuo a percepirsi quale elemento fondamentale per il funzionamento di questa gigantesca macchina che è il sistema, anche se, quasi paradossalmente, nessuno sembra veramente essere indispensabile. Questo naturalmente non viene detto né mostrato all’individuo comune. Coloro che portano avanti questo gioco, -che siano individui singoli o componenti di lobbies detentrici di un potere “autocratico”-, rimangono ben al di sopra di tale realtà e, consci delle proprie abilità, svolgono egregiamente il ruolo di game masters dando all’uomo comune ciò di cui ha bisogno: uno scopo, l’illusione di servire a qualcosa, di far parte di un gruppo. È indubbio che un tale meccanismo produca una paralisi intellettuale, in quanto, se calato nella folla, l’individuo si lascia più facilmente coinvolgere da immagini, slogan, simboli; in sostanza si lascia inconsapevolmente plagiare tanto da essere indotto persino a compiere atti svantaggiosi contro i propri stessi interessi, perché agisce insieme alla massa, pensando con la mente della massa.
L’arma per eccellenza della comunicazione, in qualsiasi forma essa si paventi, è la capacità persuasiva. Ad esempio, è facilmente verificabile quale ruolo abbia e quanto essa sia pervasiva, tanto da investire svariati ambiti della vita sociale: campagne pubblicitarie, cartelloni, manifesti, slogan politici, espressioni religiose, salute, educazione e cultura. La persuasione, inoltre, può assumere le fattezze del “politically correct”!
Una possibile degenerazione derivante dal condizionamento sociale: il PENSIERO UNICO.
Un fenomeno che purtroppo non si può definire sconosciuto, ma che, al contrario, ha avuto particolare successo nei regimi totalitari del secolo scorso. Nelle vesti di difensore delle minoranze, della libertà e della diversità, il pensiero unico si insidia subdolamente nella quotidianità degli individui e pian piano ne conquista le menti, per poi mostrare, solo in un secondo momento, la sua vera natura e svelare le sue intenzioni: la riluttanza nell’accettare punti di vista differenti, contrassegnandoli come reazionari o lesivi per la libertà di opinione e di espressione.
A questo punto ci si ritrova dinnanzi ad un curioso paradosso: il pensiero unico, deificato quale grande paladino, non è altro che un subdolo e vile strumento per cambiare una determinata linea di pensiero instillandone un’altra. E il nuovo pensiero che può imporre viene stabilito da quegli invisibili direttori d’orchestra che rimangono al sicuro al di sopra di tali sotterfugi e si compiacciano di come siano abili nel trasformare la società in un confusionario ammasso di individui privi di storia, tradizioni, solide radici, ricordi… e come se non fosse sufficiente, il pensiero unico è dotato di una potenza tale da investire la quasi totalità degli ambiti che caratterizzano una società complessa: politica, religione, cultura, educazione, sanità… tutto.
Ci si può difendere?
Potremmo ricordare il tanto decantato pensiero critico, protagonista dei precedenti articoli, e invitare a non aderire mai con tanta precipitosità a quello che si sente dire; che si tratti di giornali, pubblicità, televisione, programmi politici, telegiornali non fa differenza, bisogna assicurarsi della veridicità delle notizie. È opportuno riflettere, mettere in dubbio, controllare se una data informazione potrebbe essere stata manipolata in vista di fini ed interessi non esplicitamente dichiarati. Ciò detto, non voglio assolutamente asserire che tutti mentano o che non ci siano fonti attendibili, perché rischierei di precipitare in un altrettanto pericoloso relativismo, vorrei solo invitare ad esercitare con più giudizio la capacità di ragionare e compiere riflessioni critiche.
Una visione distopica della realtà
Se quanto finora illustrato sembra già frutto del vaneggiamento di una mente affollata da pensieri complottistici capaci di alterare la visione della realtà per farle assumere le tinte di un romanzo distopico, significa che sono riuscita a mettere in allerta i lettori e dar loro un primo assaggio di quanto seguirà. Perché, se quanto descritto fosse realmente quello che sta accadendo, -e non nego e non confermo-, sarebbe a dir poco avvilente.
Un ultimo fattore di allarmismo sul quale vorrei porre un accento è la diffusa tendenza nell’incedere con troppa facilità nel relativismo. Attraverso quest’ultimo si ottiene una visione della realtà poco conforme alle opposizioni; un’avversione che non può che condurre su un terreno pericoloso: la convinzione che non ci possano essere delle fondamenta solide, una struttura immutabile, persino una verità, in quanto tutto è relativo. E se fosse proprio questo che viene proposto alla massa quale ideologia dominante? Se elargire l’illusione della libertà aiutando gli individui a svincolarsi totalmente dalla propria storia e dalle proprie tradizioni per abbracciare una nuova realtà in cui tutto appare possibile (poiché priva di vincoli atti a limitarci), fosse un’astuta strategia attuata ai fini dell’omologazione?
Bisogna anche tenere in considerazione che un tale atteggiamento è capace di spostare poco a poco il confine tra gli opposti, primo fra tutti quello tra bene e male, facendolo diventare sempre più impalpabile, in quanto, essendo basato su presupposti e convinzioni formatesi nel passato, viene considerato ormai retrogrado e obsoleto.
Evidentemente la società dell’immagine si sta divertendo a sostituire i vecchi valori con dei nuovi valori, basati su una nuova gamma di idee, più congrue ad adattarsi e a favorire gli standard economici e politici attuali, come quelli dell’omologazione e della massificazione. Dopotutto, quale miglior terreno fertile per far attecchire una nuova morale, se non quello che è stato spianato appositamente per essere coltivato solamente con determinate sementi?