Milano, che era un “gran Milàn”
Se ne sono andati, finalmente. I cosiddetti grandi del pianeta hanno lasciato Milano. A me quasi tutti sembrano piuttosto delle mezze tacche, burocrati, poco talentuosi, per il mestiere che fanno. Ma i cronisti li accomunano nella grandezza.
Se ne sono andati e Milano torna alla sua mediocrità, alla sua misura abituale, in attesa che venga in qualche modo dilatata con l’Expo. Abbiamo avuto blocchi stradali improvvisati, presidiati da tipi in divisa che invitavano gli automobilisti, con gesti imperiosi, a levarsi di torno. Abbiamo avuto nelle orecchie sirene spiegate e il rombare di motociclette condotte da centauri variamente abbigliati che davano l’impressione di sentirsi protagonisti di polizieschi americani. Ho visto bimbi spaventati e sentito numerosi moccoli, ma anche informazioni soffiate a bassa voce da chi voleva dimostrarsi informato: stanno preparando un attentato ad Obama (che non è venuto); spegneranno i ripetitori dei cellulari, che possono attivare bombe; passerà un corteo di scalmanati che devasteranno tutto.
Nulla è accaduto. L’unico aspetto veramente drammatizzante era la quantità di chiassosi vigili, poliziotti e carabinieri. I vigili si distinguevano per un uso parossistico dei fischietti. E poi gli elicotteri, che volteggiavano minacciosi a bassa quota. Una mobilitazione che ho percepito come umiliante per una città che si ritiene nell’élite europea. Mi sono trovato a Londra o a Bruxelles in occasioni simili e non ho mai notato alterazioni alla vita dei cittadini. Qui hanno chiuso perfino una stazione della metropolitana: Duomo, naturalmente. La piazza del paese. C’era una cena ufficiale nelle vicinanze.
Le grandi assenze: non Obama ma la sobrietà, il senso della misura, il rispetto dei cittadini. Il Comune di Milano è stato previdente, premuroso e protettivo: ha invitato in vario modo a non muoversi, meno che mai in auto. Nulla di più, e l’Expo incombe.
Milano, si sa, nel mondo è un luogo marginale – e per dirla tutta anche piuttosto cafone – che ormai deve la sua notorietà soprattutto allo shopping modaiolo. Però è popolata da gente che del mondo la considera il centro, o quanto meno un riferimento. Nella sola Cina, qui misurata da molti facendo due passi in via Sarpi, quartiere cinese, ci sono 170 (centosettanta) città più grandi di Milano. Eppure tra i residenti rimane la retorica del “gran Milàn”, risalente ai primati (nazionali) degli ultimi due o tre secoli ma rispolverata appena se ne presenta un’occasione, anche meno plausibile dell’ultima.
E adesso che i mammasantissima se ne sono andati e i vigili torneranno negli uffici, i fischietti nei cassetti, le forze dell’ordine ad altre mansioni e ad altre piazze proprio quello resterà: un superiority complex manifesto soprattutto nei politici locali e in quelli che conoscono il mondo da Baggio a Rogoredo. Questi ultimi però non fanno nulla di male.