Lo scontro generazionale (1)
di Maria Foti
“O tempora, o mores…” diceva Cicerone duemila anni fa, criticando gli usi del suo tempo.
Un certo conflitto generazionale, solitamente occidentale, sembra abbia accompagnato praticamente ogni epoca. Almeno quelle di cui abbiamo memoria storica: come fosse un contrappeso doveroso al flusso del mutamento culturale.
Così, anche gli illuministi inorridivano alle prime avvisaglie del romanticismo, che dal canto suo faceva il possibile per stagliarsi il più lontano possibile dai valori dell’epoca che lo ha preceduto celebrando e scoprendo il valore l’irrazionale e dell’emozione. E via dicendo…
Sembrerebbe solo uno strano effetto ottico, una deformazione prospettica che porta chi appartiene a una generazione a guardare con diffidenza e sospetto la generazione futura.
Ma se questo movimento e queste polemiche, anziché essere dei semplici borbottii, fossero qualcosa di molto sano? Potrebbero voler dire due cose, entrambe positive:
- Che la nuova generazione sta visitando territori inesplorati e innovando al punto che la vecchia non riesce più a comprendere, dimostrando di aver preso il testimone e aver prodotto contenuti originali e nuovi, non rimescolati.
- Che ci sono comunque dei saggi, che, controcampo e dall’alto della loro montagna, mettono in guardia dai pericoli che arrivano a valle.
Verrebbe da pensare allora che una società in cui non c’è conflitto generazionale è una società piatta; una società in cui i nonni capiscono perfettamente i nipoti è una società in cui l’innovazione e la creatività sono state sacrificate e le potenzialità della nuova generazione cementificate in princìpi antichi.
Nonostante i continui cambiamenti di usi, tecnologie e valori, che hanno attraversato le epoche storiche, sembrerebbe che questa strana polemica, insieme santa e maledetta, sia sempre rimasta viva e si ripeta, lei sì, di generazione in generazione, in un moto quasi inconsapevole di esistere.
Dopotutto, nonostante tutto cambi, certe cose non cambiano mai, o almeno così pare.