Poesia e attualità: i flussi migratori verso l’Europa.
La poesia è distante dalla realtà, a volte si afferma. Addirittura può essere una fuga dal mondo reale, un rifugio in un mondo fantastico, idilliaco.
E in effetti del poeta si dice che abbia spesso la testa tra le nuvole, oppure che sia concentrato nella contemplazione del proprio ombelico.
Tutto questo può essere vero, non lo nego.
Credo però che la poesia non sia sempre e necessariamente slegata dalla realtà. Il fatto è che del quadro che ha di fronte riesce magari a cogliere un solo minuscolo frammento, apparentemente insignificante (anche se a mio parere né i quadri né la realtà hanno particolari totalmente privi di interesse – o di significato). E tale frammento lo osserva sotto la lente di ingrandimento, riuscendo a coglierne le sfumature. Il rischio è appunto però quello di perdere di vista la visione d’insieme, il legame col resto del quadro. Tuttavia rivendico anche per il piccolo dettaglio il diritto ad essere considerato parte della realtà, per quanto ampia e articolata essa possa essere.
Tento di esemplificare con un argomento di stretta attualità (seppure le logiche del “mercato della notizia” lo abbiano fatto passare in secondo piano rispetto ad appena qualche mese fa): si tratta degli imponenti flussi migratori verso e attraverso il nostro continente.
Non mi sento in grado di fare analisi sociologiche, demografiche, politiche di un fenomeno così complesso, che indubbiamente richiede studio approfondito, e possibilmente risposte, da parte di chi abbia le competenze e le capacità analitiche necessarie. Altrimenti rischierei di scadere nella retorica. Come quella che mi farebbe dire ad esempio che, pur essendo fin da bambino appassionato di carte geografiche e di collocazione di stati, regioni e città sugli atlanti, nel mio mondo ideale i confini, i passaporti, le guardie di frontiera non dovrebbero esistere. Ma questa sarebbe appunto una fuga dalla realtà, che è invece decisamente diversa; nonostante all’interno dell’Europa alcune frontiere, almeno in apparenza, siano cadute o si siano fatte più flessibili. Anche sull’Unione Europea poi, su quale identità abbia, se e in che misura i suoi paesi siano più o meno uniti da legami di natura economica, politica, culturale o sociale, tanto è stato detto e tanto forse ci sarebbe ancora da dire.
Sulla questione dei flussi migratori e sulle vere o presunte “invasioni” del nostro continente, ho comunque più domande che risposte. E quando sento dire: “Ma che cosa vengono a fare? Perché non restano a casa loro? Il lavoro non c’è neppure per noi!” – tutte proteste che non si possono semplicemente liquidare come razziste o egoiste, perché possono avere motivazioni più profonde – di fronte a queste affermazioni a me viene da rispondere con una contro-domanda, sicuramente provocatoria, ma per la quale non ho ancora ricevuto una risposta convincente. La domanda è: perché io, per il solo fatto di essere nato qui, in Italia, in Europa, in un paese benestante e non in guerra, dovrei avere maggior diritto di abitarci, di viverci, rispetto a chi è nato altrove?
Continuando con la provocazione, mi pare che sia un po’ come se, andando agli Uffizi di Firenze, a Pompei, o in qualunque altro museo al chiuso o all’aperto in giro per l’Italia, trovandomi in fondo ad una fila di turisti americani o giapponesi, russi o tedeschi, dicessi: “Scusate, fatemi passare, io ho certo la precedenza su tutti voi!”. Salvo poi, all’arrivo di una comitiva di toscani o di campani, dover cedere loro il passo.
E allora, visto che l’insano vizio della poesia non riesco proprio a perderlo, ne propongo una che tocca un frammento di questa realtà. Lascio a chi legge il compito di giudicare se ne sia comunque avulsa, persa sul suo pianeta lontano, oltre le nuvole.
A MIO FIGLIO
Per metterti in salvo
per non farti annegare
nel vomito notturno
a me basta attraversare
il minuscolo spazio
tra il tuo letto e il bagno.
O al massimo prenderti per mano
sulle strisce di una strada trafficata
insegnandoti a guardare
a sinistra e poi a destra
ancora a destra e poi a sinistra
Per portarti in salvo io non ho
un Mediterraneo da guadare