Aggiornato al 21/12/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Horst Gabriel (Salzburg, Austria, 1964 - 2019) - The Stupidity of Humans (2003)

 

Cancel culture, la cultura dell’oblio

di Vincenzo Rampolla

 

Con la morte di George Floyd avvenuta il 25 maggio 2020, dopo un pestaggio della polizia di Minneapolis, si sono avuti – in Usa e GB in particolare - vari episodi d’iconoclastia volti a sbarazzarsi di statue o monumenti visti effigi di un passato razzista e schiavista. Così dicono.

In contrasto con tale indirizzo, il 7 luglio 2020 circa 150 intellettuali (con Noam Chomsky, Salman Rushdie, J.K. Rowling, Margaret Atwood e Francis Fukuyama) hanno pubblicato su Harper's Magazine una Lettera Aperta (A Letter On Justice And Open Debate) per lanciare un monito sui pericoli di una nuova serie di standard morali e schieramenti politici che tendono a indebolire il dibattito aperto in favore del conformismo ideologico. La Lettera ha sollevato diverse critiche, soprattutto da sinistra, fra le quali un'altra Lettera Aperta dal titolo canzonatorio: A More Specific Letter on Justice and Open Debate.

Il 27 dicembre 2020 un articolo sul Wall Street Journal riportava alcuni casi di grandi classici letterari avversati dal movimento #DisruptTexts, fra questi l'Odissea e La lettera scarlatta di N.Hawthorne. Il 31 dicembre 2020, il musicista australiano Nick Cave ha definito la cancel culture come l’antitesi della pietà e degenerazione del politicamente corretto, divenuto la più infelice religione del mondo. Esempi, pallidi esempi, anche dopo un anno.

La Lettera ha scatenato una polemica internazionale, arrivata fino in Italia, che si è concentrata su un fenomeno che ingurgita all’interno la libertà di pensiero. Il punto centrale della lettera giocava in un contesto considerato di solito di destra e quindi le critiche da essa ricevute sono arrivate in gran parte da sinistra. Messe in fila potrebbero suonare così: la prima critica è che i firmatari della missiva sarebbero dei privilegiati, dei big mai stati realmente cancellati da chicchessia. La seconda, è che la lettera non ascolterebbe le voci marginalizzate per anni dal giornalismo arrivista e dall’editoria che conta. La terza, forse la più fondata, è che i firmatari hanno parlato di una grande tendenza sociale in atto, senza però citare un solo esempio di reale censura. La quarta infine, la più pesante è di aver malignamente mescolato nozioni come intolleranza e umiliazione pubblica con il semplice chiedere conto agli intellettuali delle loro opinioni e delle loro scelte presenti e passate. Tecnica per zittire le critiche attese. Dialettica dozzinale, sproloqui per urlare al mondo: anche noi esistiamo e diciamo la nostra.

Loretta Ross, un’attivista nera, ha fornito questa definizione: Cancel culture è quando le persone cercano di espellere chiunque non sia perfettamente d’accordo con loro, piuttosto che rimanere concentrate su coloro che traggono profitto dalla discriminazione e dalla ingiustizia. In altre parole: pratica per fare pressione su un’istituzione o una società privata per sanzionare qualcuno che altri, soprattutto online, additano o percepiscono come dannoso, per ciò che ha detto o fatto in pubblico o in un passato più o meno recente.

Ma veniamo ai fatti, non alle definizioni. E ciò non toglie nulla ai principi e alla discussione su una certa mentalità che, grazie ai social network, opera contro gli intellettuali. Un conto è boicottare un paese o un prodotto, un altro è esercitare pressioni affinché a un autore discusso venga tolto il dottorato senza un confronto accademico. Una cosa è contestare una star decidendo di toglierle i fondi e mettendola alla gogna per il carattere riprovevole di un suo atto o esternazione. Ben altro è lanciare vernice rosa sulla statua di un giornalista elevato a modello cittadino, nonostante abbia malcelato l’unione con una dodicenne e vari tentativi di depistare la verità. Chiaramente diverso è esercitare pressioni affinché a un autore dalle tesi controverse venga tolto il dottorato senza un serio confronto accademico o quando un produttore cinematografico o un editore rinuncino al film o al libro, temendo la rivolta del web, vedi il caso del Memoir di Woody Allen. Puri e semplici esempi, anche questi.

In Italia, Paese dove senatori che hanno citato in aula i Protocolli dei Savi di Sion, sono saldi al loro seggio. Da noi alcune defenestrazioni sarebbero utopiche, pur se attese da tempo. L’autore Alessandro Lolli, filosofo e Professore ordinario, ricorda che da almeno un decennio la cancel culture viene additata come il veleno che la sinistra di internet stava inoculando nella società. Non è un buon motivo per negarne l’esistenza. Per ora l’Italia sembra essere stata solo sfiorata dal movimento, anche se c’è già chi propone la rimozione di statue ottocentesche, come quella di Vittorio Bottego a Parma, o se la prende con monumenti che celebrano la vittoria di Lepanto. Vedi Ivano Ciccarelli l’attivista che nel settembre 2017 proponeva di demolire la Fontana dei quattro mori di Marino, monumento eretto nel 1632.

E persino Picasso è finito nel mirino delle attiviste per le sue Les Demoiselles d’Avignon.
L’irrazionale pensiero iconoclasta si basa sul fatto che il diritto dei manifestanti a non essere offesi da un elemento simbolico, vedi monumento o essere umano, è più importante del simbolo stesso, che quindi deve essere legittimamente abbattutoo emarginato.

È da poco uscito Iconoclastia, il nuovo libro di Emanuele Mastrangelo e Enrico Petrucci. Dall’intervista agli autori, emerge contagiosa la pazzia della cancel culture che sta distruggendo la nostra storia: Ma anche se la cancel culture non esiste ed è solo un’invenzione della destra trumpiana, come hanno blaterato per anni, ora gli effetti della cultura della cancellazione sono palesi. Forse tardi, si inizia a prenderne atto. D’altronde il termine nasce proprio come hashtag su Twitter per portare alla morte social e civile personaggi ritenuti scomodi. Dalla berlina virtuale del social si è passati poi a intendere quel desiderio di annientamento di ogni opinione sgradita o non conforme che era stato profetizzato da Ray Bradbury in Fahrenheit 451 e, soprattutto, nel racconto Usher II, della raccolta Cronache marziane: C’era sempre una minoranza che aveva paura di qualcosa, e una larga maggioranza che aveva paura del buio, paura del futuro, paura del passato, paura del presente, paura di sé stessi e delle proprie ombre. Questi sono i conati del tentativo sovietico di destabilizzare gli Usa dall’interno, ironia della sorte riuscito solo decenni dopo la scomparsa dell’URSS. Il vecchio nemico della guerra fredda ce l’ha fatta, ha colpire il gigante statunitense nei suoi miti fondativi: Washington, Lincoln, Jefferson e persino l’inno nazionale. Rischiano di fagocitare l’intera civiltà occidentale come in quel racconto di P. K. Dick in cui le fabbriche robotizzate di armi continuavano a produrre e a inviare al fronte droni da guerra anche se il conflitto era finito per collasso dei belligeranti e nessuno nemmeno ricordava più perché e quando fosse iniziato. Ne ha parlato giorni fa su American Thinker, un tale camuffato dietro un anonimo A.C. Smith ricordando Idiocracy un film del 2006, commedia di stile fantascientifico in cui viene rappresentato uno scenario del futuro dove, a causa della elevata prolificità degli idioti, il livello medio di intelligenza aveva raggiunto tassi talmente bassi da mettere addirittura a rischio la sopravvivenza del genere umano. Molto divertente, osserva Smith, peccato che in questi ultimi mesi la profezia si sia tragicamente avverata, essendo ormai evidente che non solo il dissenso politico e culturale, ma anche la logica è stata cancellata e ora osserviamo increduli come, una scemenza dopo l’altra, l’idiozia sia diventata il nuovo standard, con le sue regole, convenzioni e persino leggi. L’idiozia sta diventando necessaria quanto una volta lo era la logica. Nei grandi dibattiti sui maggiori problemi della nazione la logica non ha più bisogno di essere applicata, al contrario, visto che è forse considerata razzista.

Può essere utile rileggere gli articoli di febbraio di Nel Futuro, Razzismo in matematica

Del resto, la nazione più potente della Terra ha un leader che sempre di più ha l’espressione di uno che sembra chiedersi: Dove sono, cosa diavolo ci faccio qui? Assurdo, d’accordo, ma in un’idiocrazia l’assurdità ci sta. E quando Biden dice a Nancy Pelosi Whatever you want me to do (Qualunque cosa tu voglia che io faccia), chi, tranne i notiziari leccapiedi e conservatori osa obiettare? Non è carino che il leader del pianeta segnali all’opinione pubblica che lui, Joe Biden, in teoria il 46esimo presidente degli Stati Uniti, non sia realmente in carica – nessuno ha eletto Nancy Pelosi alla presidenza l’ultima volta che ho controllato, dice il perfido Smith. D’altra parte i media di punta hanno elogiato quasi tutto ciò che Biden fa, ma non sta facendo nulla e tutti fanno finta che questo non abbia importanza, conclude scoraggiato.

Ma poniamoci la domanda fondamentale: perché in America è così forte la crescita della cultura della cancellazione? La migliore risposta? Scopriamo subito chi c’è dietro le quinte del movimento.  Cui prodest? Si tratta alcuni nemici esterni degli Usa, in particolare quelli che vogliono rifare il mondo, come il Partito Comunista Cinese e, come suggerisce su American Thinker, Scott S. Powell, Senior fellow presso il Discovery Institute,  Think Tank conservatore di Seattle, ove bazzicano le élite associate al World Economic Forum di Klaus Schwab, noto paladino del Grande Reset e per i suoi incontri annuali a Davos. Quelli dove Soros non manca mai. Oh! Ci siamo, era ora. Finalmente. Cancellare e distruggere l’eredità americana è necessario per raggiungere la nuova Terra promessa: il Nuovo Ordine Mondiale, il futuro immaginato da George Orwell nel suo 1984, pubblicato nel 1949, l’anno che segnò in Cina l’inizio del regime comunista di Mao. Finalmente avverato. Senza usare il termine cancel culture, Orwell ha descritto con precisione il meccanismo: Colui che controlla il passato controlla il futuro, colui che controlla il presente controlla il passato.

Mai sentito parlare di Bari Weiss? È la giovane scrittrice che un bel giorno si è dimessa dal New York Times perché non sopportava il pensiero di gruppo, ovvero l’indottrinamento progressista che tuttora impregna il quotidiano.

La scorsa settimana, la Heterodox Academy, gruppo formato da 4.000 accademici impegnato a contrastare l’assenza di modernità e varietà di punti di vista nei campus universitari, ha pubblicato il suo rapporto annuale, con un sondaggio sulla libertà di espressione nei campus. Risultato? Nel 2020 il 62 % degli studenti universitari intervistati ha ammesso che il clima nel loro campus impedisce agli studenti di manifestare apertamente le cose in cui credono.

Per chiudere, sta facendo molto discutere negli Usa la decisione della Howard University, l'università simbolo degli afroamericani, chiamata anche la "Harvard nera"e presso la quale ha studiato la vicepresidente Kamala Harris, di smantellare il suo dipartimento di studi classici per creare priorità diverse nei piani di studi degli studenti. Riporta l'Ansa: I professori di 'classics' verranno spostati in altri dipartimenti dove i loro corsi potranno ancora essere insegnati, ma smantellare i classici è sinonimo di una vera e propria "catastrofe spirituale e culturale”, secondo un editoriale pubblicato dal Washington Post.

Nei mesi scorsi Dan-el Padilla Peralta, professore associato di classici alla Princeton, ha detto al NY Times, insieme ad altri accademici progressisti, che i classici dovrebbero un giorno essere rimossi dai programmi universitari perché sono così invischiati nella supremazia bianca da essere inseparabili da essa.

E in Gran Bretagna? Nelle scorse settimane l'Università di Leicester ha annunciato l'intenzione di accantonare il gigante letterario Geoffrey Chaucer a favore di modelli sostitutivi che meglio rispettino razza e genere.

Non va meglio la Francia, dove a partire dagli anni ’90 con la scusa del risparmio sulle casse comunali è stata avviata una campagna sistematica di demolizioni delle chiese neogotiche. C’è altro da aggiungere? Esempi, semplici esempi, per un futuro senza ritorno.

(consultazione:   rob piccoli - o america! rubriche@atlanticomag; carlomanno adinolfi – pn il primato nazionale; paolo mossetti; wikipedia; ansa; razzismo in matematica – nel futuro; harper's magazine- a letter on justice and open debate, memoir di woody allen, protocolli dei savi di sion; iconoclastia - emanuele mastrangelo ed enrico petrucci; orwell - 1984; ray bradbury - fahrenheit 451; cronache marziane; american thinker - a.c. smith)

 

Inserito il:01/05/2021 23:46:41
Ultimo aggiornamento:01/05/2021 23:53:44
Condividi su
ARCHIVIO ARTICOLI
nel futuro, archivio
Torna alla home
nel futuro, web magazine di informazione e cultura
Ho letto e accetto le condizioni sulla privacy *
(*obbligatorio)


Questo sito non ti chiede di esprimere il consenso dei cookie perché usiamo solo cookie tecnici e servizi di Google a scopo statistico

Cookie policy | Privacy policy

Associazione Culturale Nel Futuro – Corso Brianza 10/B – 22066 Mariano Comense CO – C.F. 90037120137

yost.technology | 04451716445