Aggiornato al 21/11/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Leon Zernitsky (Moscow, 1949 - Thornhill, Ontario, Canada) - Formazione

 

Gli esseri umani stanno diventando più stupidi?

di Nazzareno Lasagno

 

“Complesso delle facoltà mentali e psichiche che consentono all’uomo di ragionare, di comprendere la realtà, di fronteggiare situazioni nuove”: questa è la definizione di intelligenza nel vocabolario Zingarelli.

Una definizione molto ampia ma generica, tant’è che a un certo punto si è sentita l’esigenza di chiarirla meglio, misurandola attraverso dei test.

I primi test significativi per misurare il quoziente di intelligenza risalgono a poco più di un secolo fa, per opera dello psicologo francese Alfred Binet.

Successivamente ne sono stati prodotti e diffusi di vario genere e talvolta anche strumentalizzati per dimostrare tesi etniche e razziste.

Tralasciando tutto il nutrito dibattito sulla questione, rimane il fatto che la misurazione del QI ha continuato a essere utilizzata come un importante indicatore dello sviluppo delle facoltà intellettive.

Tra i molti ricercatori che si sono occupati dell’argomento spicca il neozelandese James. R. Flinn il quale, attraverso i suoi studi attuati negli anni 80, ha rilevato che nel corso degli ultimi 60 anni, ovvero da quando sono disponibili i dati dei test del QI, il punteggio del quoziente intellettivo dell’umanità è costantemente aumentato.

Le spiegazioni sarebbero da ricercare in varie cause tra le quali una migliore nutrizione, una maggiore istruzione, e per qualcuno anche la diffusione della televisione, del computer e dei videogiochi che aumentano l’intelligenza visiva e spaziale.

Quindi secondo il cosiddetto effetto Flinn il nostro quoziente intellettivo sarebbe cambiato di generazione in generazione da 5 a 20 punti. Meraviglioso!

Fino a un certo punto, ovvero fino a che due ricercatori norvegesi, Bernt Bratsberg e Ole Røgeberg, hanno completamente ribaltato l’effetto Flinn.

Attraverso un approfondito studio statistico su 730mila giovani uomini in procinto di iniziare il servizio militare, svolto tra il 1970 e il 2009, è emerso che la crescita del QI avrebbe raggiunto il suo apice negli anni 70 e da allora ha subito un significativo calo. L’indagine ha messo in luce un quadro piuttosto preoccupante, che vede un calo di 7 punti per ogni generazione a partire dagli anni 70. Sembra peraltro che il livello d’intelligenza misurato dai test diminuisca nei Paesi più sviluppati.

Dunque, i ragazzi di oggi sono meno intelligenti di quelli di 40-50 anni fa?

Volendo fare l’avvocato difensore, si potrebbe dire che i test del QI non siano stati adattati nel corso del tempo e pertanto non siano più in grado di misurare correttamente l’intelligenza delle persone “moderne” che hanno forme di ragionamento, di apprendimento e stili di vita completamente diversi dal passato.
Quindi, se da un lato è un po’ azzardato trarre delle immediate conclusioni, dall’altro assistiamo comunque ad alcune tendenze che destano giustificate preoccupazioni.

In primo luogo il processo d’impoverimento del linguaggio. Infatti, come dimostrano diversi studi, la diminuzione della conoscenza lessicale porta a una minore capacità di elaborare e formulare un pensiero strutturato.

Abitudini diffuse come l’uso smodato degli anglicismi di cui spesso si ignora il significato, la graduale scomparsa dei tempi verbali come il congiuntivo e le forme composte, il turpiloquio da taverna ampiamente praticato anche da personaggi pubblici, sono indicatori di un pensiero non pensato, sciatto e approssimativo.

“Ma se il pensiero corrompe il linguaggio, anche il linguaggio può corrompere il pensiero” afferma George Orwell in un suo saggio[1].
E se non si è capaci di esprimere un concetto in modo articolato e ordinato come si può essere in grado di fronteggiare situazioni nuove e risolvere i complessi problemi della società attuale?

Un esempio dell’importanza dello studio della lingua è dato dall’analisi logica che, sebbene sovente vituperata dagli studenti e talvolta da alcuni insegnanti, resta uno strumento fondamentale per imparare a formulare frasi di senso compiuto, e quindi ragionamenti comprensibili.

Allora il primo passo per contrastare la caduta del quoziente d’intelligenza potrebbe essere una maggiore attenzione alle parole, il che significa fare un uso meno distratto e superficiale della nostra bella lingua, colorita e ricca di forme espressive.

Sempre che non vogliamo rinunciare all’utilizzo dell’intelligenza umana per sostituirla totalmente con quella artificiale.

 

 

[1] George Orwell - Politics and the English language, 1946

 

Inserito il:14/04/2021 18:13:18
Ultimo aggiornamento:15/04/2021 10:07:25
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