Aggiornato al 19/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

 

A Vanvera (17)

di Massimo Biondi

 

Economia asfittica

Ogni volta che esce un dato ISTAT o di altri istituti nazionali e internazionali assistiamo al balletto di valutazioni comunicati interviste previsioni ricette.

Sarò negativo, ma secondo me l’economia va male in tutta Europa perché non può andare bene, perché quelle che vanno bene adesso – e parlo di cicli economici pluriennali, non di trimestri - sono altre economie. Sulle cause ciascuno ha proprie idee e le analisi sono molte.

L’Italia va un po' peggio del resto d’Europa. Da molti anni. Anche su questo ciascuno ha le proprie idee. 

Non credo affatto che sia un problema di governo, salvo per quanto riguarda riforme non fatte e che non si riescono a fare. Quello, certo, è lì per fare qualcosa, può tamponare, correggere, diffondere ottimismo, ma oltre non si va.

Gli investimenti sono pochi perché chi ha quattrini ha poche idee, o poca voglia, o alternative migliori. E senza investimenti imprenditoriali non si creano posti di lavoro. Parallelamente affrontiamo esigenze di segno contrario, come quella di diffondere tecnologie che inevitabilmente riducono il lavoro umano. Inoltre la popolazione invecchia e l’età lavorativa si allunga, cioè aumenta l’offerta di lavoro mentre si contrae la domanda. Qualcuno ha fatto notare che di questi tempi tornerebbe utile anche ripristinare la leva obbligatoria, così circa 200mila giovani per un anno non starebbero in giro a cercare lavoro. Solo che anche le forze armate non ne hanno bisogno, salvo brutte sorprese.

E allora? Non so, non vedo niente di facile. Le riforme, certo, ma alcune vanno a loro volta nella direzione di ridurre i posti di lavoro, anche perché molti di quei posti sono stati concessi per garantirsi pace sociale e voti (vedi punto seguente).

Forse aiutare in modo sostanziale chi mette in piedi nuove iniziative suscettibili di creare lavoro, perciò non a tutti e non a pioggia. E non da spendere per automobili e uffici prestigiosi. E poi riconsiderare l’ipotesi keynesiana di ridurre l’orario di lavoro, ovviamente non a parità di salario (ipotesi bertinottiana). Guadagnare meno per guadagnare tutti? Una specie, forse.

Però è tutto terribilmente complicato. Serge Latouche teorizza la decrescita serena, noi stiamo subendo quanto meno la non crescita, illudendoci che sia verso la fine.

 

Riforme

Nel corso di uno dei tanti incontri-dibattito estivi Paolo Mieli ha stigmatizzato la richiesta italiana di flessibilità. Non è giustificata, ha sostenuto, ricordando il già noto confronto tra il Canada (400mila chilometri quadrati di boschi tutelati da circa 4.200 ranger) e la Sicilia (24.000 guardie forestali, secondo lui). La questione tedesca, conclude Mieli, è tutta qua: noi chiediamo a un operaio di Düsseldorf di lavorare per pagare un po’ dello stipendio dei forestali siciliani.

I numeri precisi delle guardie forestali siciliane non si riesce ad ottenerli, però si sa che il problema esiste ed è più o meno di quella grandezza. Però l’esempio può avere doppia valenza: da un lato dimostra l’abuso, la creazione di posti di lavoro inutili per garantirsi pace sociale, dall’altro conferma la necessità delle riforme, in questo caso quella, ottima sulla carta, che integra il Corpo delle Guardie Forestali nell’Arma dei Carabinieri.

Si riuscirà finalmente a contarli con precisione i forestali e poi, probabilmente, ad impiegarli in modo più efficiente. Purtroppo però tra una protesta e l’altra le regioni a statuto speciale hanno ottenuto di tenersi le loro guardie: niente accorpamento nell’Arma. Fra dieci anni saremo ancora qui a discutere di quante guardie forestali ci sono in Sicilia.

Il Paese è da riformare profondamente ma sembra che i riformandi siano politicamente troppo più potenti dei riformatori. Si individuano le cause, si prospettano e annunciano i rimedi, poi entra in funzione la resistenza (r minuscola) e tutto si annulla o almeno si ridimensiona.

Allora il punto non è l’operaio di Dusseldorf: è che è sacrosanto chiedere riforme in cambio di credito, ma noi non riusciamo a riformarci.

Ecco, a me piacerebbe che un giornalista, che è anche uno storico, non si limitasse a ripetere la solita arcinota lagna dello Stato spendaccione, ma si battesse anche per denunciare chi affossa i tentativi di correzione. 

 

Investimenti

Ero curioso. Mi sembrava strano che un’autostrada nuova, alternativa alla trafficatissima A4, fosse pochissimo utilizzata perché costa cara. Così almeno si diceva della BREBEMI, che sta per BREscia-BErgamo-MIlano. Allora, passando di li, ho provato.

Molta attenzione sulla A4 nei pressi di Brescia per individuare il percorso. Seguo l’indicazione “Milano Linate”; so che la nuova autostrada va in quella direzione. C’è un raccordo attraverso la A21 (Brescia-Piacenza) che immette in una strada di campagna, proprio fra i campi, ad una sola corsia per senso di marcia. Cioè da un’autostrada ad altissima intensità di traffico, a tre corsie, si passa su una strada provinciale che ne ha una sola. In agosto il problema è relativo, ma in inverno, magari con nebbia e numerosi mezzi pesanti che in quel pertugio non saranno mai superabili?

La stradina prosegue per sei chilometri prima di raggiungere l’imbocco della A35, la BREBEMI appunto. Siamo nei pressi di Travagliato, luogo di rilevanza solo locale ma con un nome perfetto per la situazione.

Viaggiare sulla A35 poi è una pacchia. Deserta. Sostanziale assenza di traffico.

Le indicazioni chilometriche fanno credere che si arrivi a Milano ma dopo 42 chilometri l’autostrada termina e siamo a Liscate, non proprio una metropoli, una dozzina di chilometri dalla periferia di Milano. Costo: 10,70 euro. Tanto, indubbiamente, per il servizio reso.

Da lì, dopo un breve tratto della nuovissima tangenziale esterna est, aperta nel 2015 e frequentata finora a sua volta solo da sparuti habitué, si imbocca un’altra provinciale ad una corsia che porta alla tangenziale est, quella degli anni ’70, trafficatissima, o direttamente a Milano città, zona idroscalo / Linate.

In sintesi: salvo problemi, che non sono infrequenti, con la vecchia autostrada si arriva molto prima, a maggior ragione se invece che a Milano est (Linate) la destinazione è a nord o ovest. Si arriva prima, non si rischia di perdersi in stradine di campagna e costa meno. 

BREBEMI inoltre è un nome poco pertinente, dato che la A35 di fatto non tocca né Brescia né Bergamo né Milano. Semmai le province.

Tutto considerato direi che così stando le cose la società Brebemi abbia ben poche possibilità di recuperare le perdite e il motivo essenziale è che dispone di un prodotto sbagliato.

Mi domando se quelli da inseguire con nodosi bastoni sono gli estensori del business plan o piuttosto i politici che li hanno forzati a sistemare i dati in modo da non compromettere i fasti sfrenatamente propagandistici dell’inaugurazione.

 

Olimpiadi

Se niente Roma allora Milano, si dice. Però per il 2024 niente da fare, non si è più in tempo per proporre una nuova candidatura. Allora 2028, salvo che l’edizione 2024 non venga assegnata a Parigi, nel qual caso per l’alternanza tra continenti il 2028 non potrà essere Europa. Si va oltre, 2032 o 2036.

Pazienza, per quanto mi riguarda. Io ho visto Berruti in diretta. Per il Paese però ritirare una candidatura non è molto simpatico e poi, mi domando, che motivazione ufficiale diamo?

Perché qui siamo tutti ladri? Perché anche senza Olimpiadi abbiamo i rifiuti per strada e il 2024 è troppo vicino per pulire? O perché costerebbe troppo e come si è visto in Grecia le Olimpiadi generano buffi enormi che poi si vive la miseria per generazioni?

D’accordo, concediamo. Ma allora, possono domandarsi nel mondo, perché presentare la candidatura? A questa domanda sentendo dichiarazioni commenti e supposizioni la risposta può solo essere: candidatura presentata dai ladri incapaci che c’erano prima. Adesso ci siamo noi. Noi chi? Ma noi grillini, accidenti!

Al CIO resteranno perplessi, immagino.

 

Roma

C’è caos in Campidoglio. Va bene. Prendiamo atto. L’inesperienza fortunatamente è un deficit colmabile, anche quando aggravato dalla supponenza. Stupisce però che un uomo di spettacolo che non vive a Roma, Dario Fo, si premuri di spiegare come la pensa in merito un altro uomo di spettacolo che non vive a Roma, Beppe Grillo.

Nel Movimento (guai chiamarlo partito, che rovina il posizionamento dialettico) oltre all’inesperienza mi sembra ci sia da sistemare la faccenda della leadership: troppi fanno i leader senza esserlo. La leadership, si insegna nei corsi specifici, non viene attribuita da qualcuno, meno che mai da se stessi, ma emerge nei fatti quando un gruppo individua spontaneamente una persona di riferimento, affidabile, alla quale riferirsi in caso di necessità e sulla quale sa di poter contare. Il leader è riconosciuto dal basso, va oltre le investiture e le qualifiche formali. In questo senso lo stesso Beppe Grillo è molto più un brillante portavoce che un leader.

 

UE

Apple deve pagare 13 miliardi di imposte. Il suo accordo con la compiacente Irlanda infrange infatti le norme europee.

La Apple è colpevole ma più colpevole l’Irlanda (ma anche l’Olanda e il Lussemburgo di Junker, per altri casi) che contratta posti di lavoro contro leggerezza impositiva, a danno dei cosiddetti partner europei. Ma quali partner?! Nel caso concorrenti da battere, semmai, perché lo 0,005% come aliquota fiscale sembra proprio una presa in giro.

C’è molto da fare per l’Unione Europea: ci sono membri che ne godono i benefici ma poi se ne fregano dei principi generali, non solo in fatto di tasse. Non credo che sia assurdo prendere in considerazione l’istituto dell’espulsione. A me sembra che viviamo in un mondo che richiede interventi più rapidi e più severi un po' in tutti i campi.

 

Media

Sentiti e letti a proposito dell’”affaire” Mediaset-Vivendi molti discorsi sulla retromarcia di quest’ultima. Perché il mercato va così e così, perché Telecom, perché Renzi e via analizzando. Poi l’affermazione tranchant di Vivendi chiarisce: i numeri presentati da Mediaset per Premium erano gonfiati. Un po' taroccati, dicono.

Ah ecco! Una normalissima faccenda di valori, normalissimo esito di una due diligence come accade frequentemente in tutto il mondo in tutti i comparti. Netflix, Google, Apple, Telecom eccetera non c’entrano nulla.

Le dotte analisi comunque restano, riutilizzabili per una prossima occasione.

 

Fertilità

Grandissime polemiche anche sulla giornata per la fertilità. In questo Paese si fanno polemiche su tutto. Ma molto accese, almeno per qualche giorno.

Nel merito la campagna del ministero può piacere o no, la pubblicità pure, ma rimangono dei fatti: 1. Le donne italiane sono le più attempate primipare d’Europa. Meno del 9% ha meno di 25 anni 2. Le condizioni economiche e un welfare giudicato insufficiente, come lamentano in tanti, influiscono senza dubbio sulla scelta di procreare, però quando le risorse della nazione erano molto più modeste le famiglie erano più prolifiche. Ergo: ci sono problemi materiali ma anche culturali.

Forse in questi tempi l’economia prevale su tutto e tutto è interpretato in chiave economica.

Mi pare che anche in questo, come in numerosi altri casi, l’Italia contemporanea abbia ribaltato la sfida di John Kennedy: non domandatevi cosa potete fare voi, domandatevi cosa deve fare lo Stato. E le richieste non mancano.

 

Bestemmiatori?

Monsignor Domenico Pompili probabilmente ritiene che tra gli sfortunati colpiti dal terremoto ci sia chi ha tirato madonne. Se no che bisogno c’era di sostenere con tono imperioso durante il rito funebre per le vittime che sono gli uomini che uccidono e non il terremoto? “Siete voi che fate cazzate! Non pigliatevela col Padreterno” sembrava desideroso di dire. Poi lo Spirito Santo deve averlo trattenuto.

Nessun accenno alle cause naturali. E nemmeno al campanile di Accumoli caduto su una giovane famiglia di quattro persone.

 

Pensierini:

Può darsi che non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate, ma lo diventerete se non fate nulla per cambiarla (Martin Luther King)

Un’opinione pubblica ben informata è la nostra Corte Suprema, perché a essa ci si può sempre appellare contro le pubbliche ingiustizie (Joseph Pulitzer)

 

Inserito il:03/09/2016 16:53:45
Ultimo aggiornamento:03/09/2016 16:59:03
Condividi su
ARCHIVIO ARTICOLI
nel futuro, archivio
Torna alla home
nel futuro, web magazine di informazione e cultura
Ho letto e accetto le condizioni sulla privacy *
(*obbligatorio)


Questo sito non ti chiede di esprimere il consenso dei cookie perché usiamo solo cookie tecnici e servizi di Google a scopo statistico

Cookie policy | Privacy policy

Associazione Culturale Nel Futuro – Corso Brianza 10/B – 22066 Mariano Comense CO – C.F. 90037120137

yost.technology | 04451716445