Millennials: l’enigma della nuova generazione
di Anna Noci
Nati in un mondo in continuo cambiamento, che ha visto i più alti livelli di sviluppo tecnologico e di globalizzazione, il loro modo di pensare e di comportarsi è fonte di continui studi e ricerche. Secondo un report dell’Economist Intelligence Unit i nuovi manager e CEO stanno rivoluzionando il mondo del business: orientamento al dialogo, approccio più orizzontale e attenzione agli impatti ambientali e sociali degli investimenti. Insomma per la nuova generazione il profitto non è l’unica cosa che conta. Ma le novità non riguardano solo il mondo del business: Action Institute si propone quindi di offrire una panoramica su questa complessa generazione, i Millennials.
Generazione Y o Millennials: così vengono chiamati tutti coloro nati tra il 1980 e gli anni 2000. Benché i nomi delle varie generazioni siano stati originariamente coniati per la società americana, il loro utilizzo si è diffuso in tutti i Paesi: si parla infatti di Baby Boomers, Generazione X, Generazione Y o Millennials e Generazione Z, per tutti coloro nati dopo gli anni 2000. Secondo Goldman Sachs sono la generazione più numerosa negli Stati Uniti: 92 milioni contro i 61 milioni della Generazione X, ovvero i nati tra il 1961 e il 1979. In Italia invece la generazione X.rimane comunque la più numerosa, con 15 milioni di persone nel 2016, contro gli 11,2 milioni dei millennials.
Impazienti, preoccupati di distinguersi in una società che omologa, abituati all’idea della mobilità, soprattutto in ambito lavorativo, e team oriented. Ma la differenza più grande rispetto alla generazione X riguarda senz’altro il rapporto con la tecnologia: non tutti i millennials sono nativi digitali, ma la maggior parte di loro sono comunque sempre connessi alla rete tramite computer, smartphone o tablet. L’uso sistematico della tecnologia sta cambiando radicalmente anche il modo di fare business: oltre che l’acquisto on-line, di cui i millennials sono i massimi utilizzatori, l’accesso a informazioni sui prodotti tramite internet o tramite passaparola sui social network permette il confronto tra brand diversi, in modo da scegliere la miglior qualità al minor costo. Gli stessi brand stanno attivando strategie per essere visibili proprio sui social network su cui i millennials passano quasi 30 ore al mese: è stato rilevato infatti che sono più propensi a comprare un marchio attivo in rete rispetto a uno che invece non ha pagine in nessun social network. L’utilizzo sistematico di apparecchi sempre connessi alla rete ha permesso anche lo sviluppo della sharing economy, di cui i millennials sono grandi utilizzatori. Il principio è la condivisione di beni con altri utenti, tramite apposite app. Una forma mentis sconosciuta alla generazione X, che però sta rivelando tutte le sue potenzialità.
Molte aziende si stanno ponendo il problema di come rapportarsi ai giovani impiegati, per offrire loro contratti che li trattengano e li leghino all’azienda o all’istituzione. Recenti studi rivelano infatti che i Millennials hanno un atteggiamento complesso nei confronti del lavoro. Il posto fisso resta sempre un sogno condiviso (definito “millennial dream“), soprattutto perché permette l’accesso a tutta una serie di servizi e opportunità che altrimenti resterebbero precluse: contrarre un mutuo, affittare un appartamento o addirittura un contratto per un cellulare nuovo. Il desiderio di stabilità si combina però al desiderio di fare carriera e alla ricerca di un lavoro stimolante, che li valorizzi e grazie al quale possano distinguersi. Questo desiderio è tale che i lavoratori più giovani sono disposti a cambiare spesso lavoro se questo non soddisfa le loro aspettative. Molti ricercano apertamente carriere internazionali, caratterizzate da un’alta mobilità, prestigio e alte remunerazioni. La giusta remunerazione per il lavoro svolto è considerata un aspetto essenziale della carriera lavorativa: i millennials contano molto sulle loro capacità e si aspettano che il loro impegno venga premiato e riconosciuto.
Inoltre, rispetto alla generazione precedente, nella ricerca di un impiego considerano più importanti le competenze acquisite rispetto al network. Motivo per il quale sono la generazione più istruita di sempre: il 54% dei millennials è laureato, contro il 49% della generazione X e il 36% dei boomers. Un’elevata istruzione è infatti associata a standard di vita più elevati e posizioni più prestigiose, anche se il lavoro non è l’unica ambizione. Il tempo libero è visto come essenziale, anche se di proporzione variabile nel tempo: molti millennials sono disposti a lavorare a ritmi pieni per alcuni anni, pronti poi a ridurre le ore per avere più tempo da dedicare alle proprie passioni.
Sempre sul fronte lavorativo si presentano però anche i problemi maggiori. In diversi paesi i millennials devono, in primo luogo, fare i conti con un mercato del lavoro lontano dal pieno impiego. Inoltre, i livelli di reddito che possono aspettarsi sono gli stessi o poco più alti rispetto a quelli della generazione precedente, come sottolineato in un report del 2016, mentre la generazione X aveva sperimentato un notevole aumento di reddito rispetto ai baby boomers. Nelle maggiori economie sviluppate, a eccezione dell’Australia, c’è stata addirittura una diminuzione del reddito medio delle famiglie di giovani rispetto alle medie nazionali dei 30 anni passati.
In un discorso tenuto ad aprile 2016 al Parlamento portoghese, il governatore della Banca Centrale Europea Mario Draghi metteva in guardia l’Europa contro il pericolo di una “lost generation”: “Nonostante sia la generazione meglio istruita di sempre, i giovani di oggi stanno pagando un prezzo troppo alto per la crisi. Per evitare di creare una “generazione perduta”, dobbiamo agire in fretta”. La disoccupazione è il problema cardine della generazione Y: nell’Eurozona, la percentuale di disoccupazione giovanile media è del 22%, mentre Grecia, Spagna e Italia sono i Paesi dal tasso maggiore. Basse percentuali di occupazione dei giovani hanno effetti devastanti anche sui sistemi pensionistici e sul welfare State, senza contare le alte percentuali di indebitamento, soprattutto negli Stati Uniti, in cui sempre più giovani contraggono mutui per studiare.
L’instabilità lavorativa e la disoccupazione hanno anche effetti sul rapporto che i millennials hanno con la famiglia, anche se non sono le uniche cause. In Europa, e in particolare in Spagna e in Italia, sono molti i giovani anche sopra i 30 anni a vivere ancora con i genitori. Negli Stati Uniti la percentuale era del 29,9% nel 2010, in continua crescita dal 2005, mentre la percentuale di giovani tra i 18 e i 35 anni già sposati era del 23% nel 2012, contro il 56% della generazione X. Questo potrebbe deprimere le nascite, soprattutto in contesti di crescita demografica già depressa.
Quello che i millennials devono affrontare è un mondo complesso, che sembra aperto verso ogni potenzialità, ma che richiede sempre più sacrifici. La generazione Y dovrà smettere di guardare al passato per cercare di trovare soluzioni nuove alle sfide che il futuro le mette davanti ed interrogarsi sulla possibilità di cominciare a ripensare quelli che si credevano essere punti fissi, a fronte del rischio di essere davvero una lost generation.