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Basta! Assistiamo Marco Cappato nella sua lotta! È ora di farla finita?
… a ruota libera
di Davide Torrielli
Formiconi, in una società moderna che proclama valori di libertà, dignità e rispetto per la persona, non possiamo ignorare il tema del fine vita e il diritto individuale di scegliere come affrontare la propria morte. Affrontare l'idea della fine della vita è un percorso difficile e doloroso, ma il rispetto per la dignità umana richiede di ascoltare chi, in condizioni di sofferenza estrema, chiede di poter decidere autonomamente come e quando concludere il proprio percorso. L'eutanasia legale rappresenta una scelta di civiltà e una possibilità di compassione per chi, di fronte a malattie terminali e sofferenze insostenibili, non desidera prolungare la propria agonia.
La vita è il bene più prezioso che abbiamo, e per questo siamo spesso portati a pensare che vada difesa in ogni circostanza. Tuttavia, la libertà individuale è altrettanto importante: se una persona, nella piena consapevolezza delle proprie scelte e del proprio stato di salute, ritiene che la sua qualità di vita sia irrimediabilmente compromessa, perché dovremmo impedirle di decidere? La dignità è un diritto fondamentale, e questa non riguarda soltanto il modo in cui viviamo, ma anche il modo in cui scegliamo di lasciare questa esistenza. Costringere qualcuno a vivere una sofferenza inutile è una forma di violenza che va contro il rispetto della sua autonomia.
Il concetto di “qualità della vita” è soggettivo e personale. Ci sono persone che, nonostante condizioni fisiche gravissime, riescono a trovare un senso alla loro esistenza e decidono di continuare a lottare. Questo è meraviglioso e dimostra la forza dell’essere umano. Altre persone, però, vivono situazioni di dolore, limitazioni fisiche o mentali tali da sentire la propria esistenza come una tortura. Negare loro la possibilità di scegliere significa imporre una visione uniforme di cosa significhi “vita”, ignorando la sofferenza e l’unicità dell’esperienza di ciascuno.
In molti casi, il percorso verso la morte è segnato da sofferenze fisiche e psicologiche profonde. La medicina ha fatto passi enormi per alleviare il dolore, ma ci sono condizioni, come alcuni tumori terminali, malattie neurodegenerative o sindromi dolorose croniche in cui la scienza medica non può restituire una qualità di vita accettabile. È nei casi in cui la sofferenza diventa un muro insormontabile che si manifesta la necessità di un atto di compassione. Non si tratta di abbandonare il malato, bensì di permettergli di uscire da una condizione insopportabile, di cui è prigioniero.
Basta!
Gli oppositori dell'eutanasia temono che la legalizzazione possa creare derive pericolose, ma l’esperienza di Paesi come Olanda, Belgio e Svizzera dimostra il contrario. In queste nazioni, esistono protocolli molto rigorosi che garantiscono che l’eutanasia sia concessa solo nei casi estremi e su richiesta esplicita del paziente. Sono previste molteplici fasi di controllo, tra cui il parere di più medici e, spesso, la valutazione psicologica del paziente. Il rischio di abusi, dunque, è minimizzato da normative precise che tutelano chi richiede l'eutanasia e chi, per deontologia professionale, decide di aiutarlo.
Scegliere la propria morte, quando non c’è più speranza, non è sinonimo di sconfitta. Anzi, rappresenta un atto di estrema dignità. Eutanasia non significa rinunciare a vivere, bensì rinunciare a soffrire in modo inutile, a sottoporsi a trattamenti che prolungano la vita ma non la migliorano. Permettere l’eutanasia significa ridare alle persone il potere di decidere, di sentirsi ancora protagonisti della propria storia, anche se essa sta per finire.
Il concetto di “morte dignitosa” non è un atto di sfida, ma di umanità. Ogni persona merita di essere accompagnata alla fine della propria esistenza nel modo più umano e rispettoso possibile. Le famiglie che hanno vissuto l’agonia di un caro ammalato sanno quanto la sofferenza possa diventare alienante, trasformando il dolore in una spirale che trascina tutti in un vortice di disperazione. L’eutanasia legale è una risposta a questo dolore collettivo: permette di dire addio con serenità, di non lasciare che la morte diventi un evento atroce, e di vivere fino alla fine nella consapevolezza di aver preso una decisione condivisa e rispettosa.
In Italia, come in molti Paesi, la strada verso la legalizzazione dell’eutanasia è ancora lunga. Eppure, sono sempre di più le persone che si interrogano sul significato della dignità nel fine vita. La legalizzazione dell’eutanasia non è una proposta che vuole imporre una visione; al contrario, rappresenta una scelta che va offerta a chi, con coscienza e responsabilità, desidera esercitare questo diritto.
Legalizzare l’eutanasia non significa sminuire il valore della vita; al contrario, è un atto di grande rispetto per la vita e la libertà di chi non vuole sopravvivere a se stesso. Un sistema che permette di esercitare questa scelta offre a ciascuno la possibilità di dire addio alla propria esistenza nel modo più giusto e rispettoso, come gesto di libertà personale e amore per se stessi.
L’eutanasia legale è una battaglia di umanità, di compassione e di rispetto. Chi soffre ha diritto di non essere abbandonato e di scegliere come vivere, anche il suo ultimo momento. Questa scelta non è una sconfitta della vita, ma una difesa della dignità.
Esiste un gruppo di persone che sta lavorando per questo e per noi, mettendo a repentaglio la propria libertà, la propria vita sociale e la fedina penale.
Vanno sostenuti mentre un governo cieco ed insulso prosegue a far finta di niente.
Cercate su internet Marco Cappato e sostenetelo! Un domani potrebbe essere un gesto che allevia le nostre vite con un segno di umanità.
Te curas finché si riesce.