Aggiornato al 16/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Aurelio Nicolazzo (1964 - Udine) –Pozzi petroliferi sul mare

 

Demarketing e Referendum.

 

A cavallo degli anni 50/60, pieno boom economico, iniziò la competizione commerciale più sfrenata da parte delle aziende per contendersi fette sempre più ampie di mercato. E tale competizione prevedeva anche i “colpi bassi” che la fantasia degli allora guru di marketing e comunicazione cominciava a partorire. In particolare il mondo della chimica, aziende prevalentemente straniere, si stava contendendo in Italia il gigantesco mercato dei consumi delle famiglie nel settore dei detersivi in polvere.

Cronaca di un “colpo basso” (Demarketing): alcune aziende del settore erano venute a conoscenza dell’imminente arrivo in Italia di una potente multinazionale americana con un suo particolare detersivo in polvere per il bucato il cui colore era blu. Prodotto già vincente in USA per qualità e prezzo.

Come tentare di parare la mossa? Presto fatto: fu immesso subito nel mercato italiano, in aggiunta ai normali detersivi solitamente di color bianco, un detersivo di colore blu di una qualità tanto scadente al punto da costringere in più occasioni le massaie a rifare il bucato. In questo mondo, prevalentemente femminile, la voce corse a velocità dilagante in tutta la penisola con la conseguenza che tale prodotto, volutamente inaffidabile, subì un pesantissimo crollo della domanda lasciando nella mente delle utilizzatrici il legame: “detersivo blu, è un prodotto da non acquistare più”.

Quando qualche mese dopo tale operazione la citata multinazionale americana avviò in Italia il pre-lancio del suo prodotto blu fu un fiasco, pur essendo di qualità e prezzo conveniente, perché “a prescindere” le massaie italiane non lo presero neanche in considerazione. La multinazionale USA poco dopo rinunciò al lancio in Italia: il “Demarketing volontario”, a preventiva difesa dal concorrente d’oltreoceano, aveva vinto.

Sin dai primi momenti di vita della nostra giovane democrazia gli italiani iniziarono ad essere coinvolti con gli istituti della novità: le elezioni ed i referendum. Il primo impatto con i referendum fu di non poco spessore: si doveva scegliere fra monarchia e repubblica. Seguiranno negli anni successivi altri nobili impegni referendari fra i quali quello sul divorzio ebbe risonanza quasi pari al primo.

A lungo andare i promotori presero dimestichezza con le procedure di presentazione dei referendum e si arrivò in breve alla proliferazione degli stessi: ne furono presentati vari di dubbia utilità se non peggio con l’aggravante di chiamare i cittadini a pronunciarsi su argomenti di più che dubbia comprensibilità ed obbligare lo Stato a sostenerne i costi organizzativi.

Fra i più fuori luogo ricordiamo quello sull’abolizione del Ministero dell’Agricoltura (incomprensibilmente vinto e che costrinse poi il legislatore a reinventarsi il “Ministero delle Risorse Agricole”) ed altri con un forte contrasto di ragionevoli motivi sia per il SI che per il NO, al punto che fu coniato a soluzione di questi dilemmi l’invito agli elettori ad “andare al mare” anziché alle urne referendarie.

Fu un primo inizio di disaffezione partecipativa ai successivi referendum per cui molti non raggiunsero il quorum. Senza volerlo i vari promotori attuarono inconsciamente una specie di “Demarketing involontario” che invitava di massima a guardare con superficialità ai referendum compresi quelli di importante contenuto. Il “mare” cominciava ad essere una attrattiva sempre più forte e convincente.

Sull’attuale chiamata referendaria del 17 aprile p.v. sulle “Trivelle” si ripropongono nobili dilemmi: ecologisti intransigenti e puri a favore del SI ed altri ecologisti che lo ritengono anticipato rispetto ai tempi in cui avrebbe dovuto essere presentato e hanno dichiarato il loro NO.

Non vogliono rinunciare immediatamente al pieno di energia per le loro auto e riscaldamenti abitativi per la mancanza di immediate sufficienti alternative pulite e forse .... non intenderanno rinunciarvi anche i promotori del SI.

In ogni caso sulle “Trivelle” il prossimo 17 aprile il travaglio interiore dei potenziali votanti sarà, come già in questi giorni, palpabilissimo: il “Demarketing involontario” ha colpito ancora una volta.

La leggerezza nell’indire referendum da parte di promotori più che superficiali porterebbe, per assurdo, anche ad indirne uno “sull’abolizione delle selle da bicicletta” senza chiedersi quali saranno le conseguenze dell’impatto della parte meno nobile del ciclista con il fuoruscente canotto di metallo dal telaio, di cui si era scoperta con più che colposo ritardo l’esistenza.

E vai col “Demarketing”!

Inserito il:10/04/2016 19:44:31
Ultimo aggiornamento:10/04/2016 19:50:40
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