Andavamo a Romagnolo.
Erano i primi anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, Palermo era una città grande, ma molto più piccola di quella di ora, bellissima, con un’aria placida e sensuale, la vita era più semplice, non c’era la televisione.
Si girava in sicurezza malgrado e forse grazie alla mafia, sempre molto attenta a non commettere o far commettere reati minori nella sua zona operativa principale, e che in quegli anni stava effettuando una delle sue trasformazioni criminali che hanno poi condizionato lo sviluppo della Sicilia e in seguito dell’Italia. La mafia siciliana, infatti, ha rappresentato l’esempio, il riferimento culturale (se così si può dire) per la nascita e lo sviluppo delle varie organizzazioni similari nel paese e nel mondo.
I ristoranti erano pochi, i taxi erano pochi, la gente in quegli anni cercava disperatamente di uscire dalla tristezza della guerra, di ritrovare la gioia di vivere. Noi giovani di allora cercavamo di spingere al massimo le nostre curiosità, volevamo sapere di più del mondo e meno degli eserciti, delle avanzate e delle sconfitte. Volevamo conoscere che succedeva al di fuori della nostra città e nel mondo, ne parlavamo, cercavamo tutti i punti dove c’erano informazioni, notizie, analisi, descrizioni. Forse lo facevamo di più dei nostri coetanei del Nord del paese che magari avevano visto più tragedie di noi, avevano assistito a feroci massacri, ma non erano mai stati isolati. Noi in Sicilia, a Palermo, eravamo isolati e ci sentivamo in quello stato d’animo di chi vuole trovarsi altrove, di chi sa che la vita può essere diversa ma non immagina come.
È stato tutto sommato un periodo esaltante, sono nate tra di noi amicizie indimenticabili: studiare, cercare, parlare, ammirare erano le cose che facevamo e lo facevamo con passione con le parentesi tipiche di tutti i giovani. La ricerca delle ragazze e del modo di corteggiarle per esempio. Non è vero che ci raccontavamo le nostre storie intime, ma discutevamo di come si doveva corteggiare o approcciare una ragazza e le discussioni erano accese perché naturalmente nessuno sapeva anche se tutti millantavano, le esperienze vere erano diverse e i successi pure e anche pochi per la verità. La sera nelle osterie, per sentirci grandi, studiare progetti, immaginare futuri mai verificatesi. Il giro delle biblioteche per controllare e vedere, lo scrivere a chiunque per farci mandare materiale, riviste, libri.
La vita familiare era semplice, affettuosa, intima e dolce. Non ci sembrava così noiosa come oggi si dice che fosse. Si certo in molte famiglie la vita culturale non era spinta, tutte le famiglie cercavano relazioni, cercavano di stare assieme, quasi come se stare assieme, raccontarsi, giocare, fare cose aiutasse tutti a vivere, a credere che la vita era molto bella, molto di più di quanto si potesse immaginare negli anni passati.
Una delle cose che con la mia famiglia si faceva era andare a Romagnolo il giorno della pasquetta, il giorno delle gite, della ricerca dello svago nella natura.
Romagnolo era una spiaggia di Palermo, una borgata sulla strada che portava verso Termini Imerese, verso Cefalù, una spiaggia dei poveri tutto sommato insieme allo Sperone che era poco più in là. Infatti, le persone abbienti o che fingevano di esserlo andavano a Mondello, un posto molto più bello, una delle bellezze di Palermo ancora oggi, anche per motivi di trasporti e del costo degli stessi. Vicino a Romagnolo c’erano un paio di ristoranti e qualche osteria (le trattorie erano sconosciute), il più famoso era Spanò che aveva attraverso palafitte una estensione sul mare e si mangiava come se si fosse su una nave o in una isola caraibica. Ma soprattutto da Spanò si mangiava bene e vi andavano tutti i visitatori illustri della Palermo di allora, si dice persino il re del Belgio di passaggio.
Ma molte famiglie, come la mia, non potevano permettersi il ristorante ed allora si portavano le pietanze da casa e poi si dividevano e si mangiavano assieme agli amici con cui si andava.
La giornata cominciava presto, ci si doveva preparare, soprattutto si dovevano preparare i cibi e le bevande, le borse per trasportarle. Quando tutto era pronto all’ora stabilita ci si trovava con gli amici per prendere l’autobus carichi sino all’inverosimile di borse pesantissime. Si arrivava sulla spiaggia, c’erano le rocce e degli angoli splendidi su cui ci si installava, si passeggiava, si stava lungamente a vedere il mare, si chiacchierava nell’aria pura che dava a tutti una certa brezza e, dicono, faceva venire molta fame. Ad un certo punto si decideva di mangiare ed allora si preparava, si doveva tirare fuori dalle borse ogni cosa e attrezzarsi per gustare tutto quello che si era preparato: arancine, polpette, melanzane, uova sode e frittate, crocchette di patate, torte salate ripiene di tutto dal pomodoro al prezzemolo, dai broccoli alla ricotta. E poi i formaggi, i caciocavalli e le provole. E poi il vino o l’acqua preparata con l’idrolitina, la frutta e i biscotti. Insomma a pasquetta la gita non prevedeva un panino e basta ma era l’occasione di una abbuffata in compagnia in campagna o al mare. Poi si riposava, si dormiva, si leggeva o si chiacchierava sottovoce per non disturbare. Infine ad una certa ora del pomeriggio stravolti dal cibo, dalla scomodità, dall’aria aperta, si decideva di tornare a casa con le borse, fortunatamente, più leggere ma sempre ingombranti, sull’autobus pieno di gente allucinata e infine, dopo un po’ di strada a piedi, si arrivava.
E così passava la pasquetta, per un po’ anche con gli amici non se ne parlava ricordando la fatica, ma dopo un po’ di mesi si dimenticava tutto e ci si cominciava a dire di nuovo: ehi! Il prossimo anno non prendete impegni, si passa la pasquetta insieme, si va a Romagnolo. Così bello!