Aggiornato al 25/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Ivo Pannaggi (1901-1981) – Treno in corsa - 1922

 

Il treno

di Gianni Di Quattro

 

Mi è capitato di recente di salire su uno di questi treni ad alta velocità che hanno avvicinato le città, cambiato il lavoro e la vita di tanta gente, trasformato il modo di vivere un viaggio quale che sia il motivo per cui lo facciamo. Un treno pulito, con sedili stretti, singoli, relativamente comodi, con il display in alto che avverte di continuo a che velocità si sta andando e dove stiamo arrivando, con i finestrini e le porte bloccate con l’aria garantita al giusto grado di temperatura, di umidità indipendentemente dalla stagione. Ed inoltre con gli addetti che passano per offrirti da bere, darti un giornale nelle loro divise dai colori grigi senza colori vivaci per non turbare i passeggeri clienti e con i sorrisi che per contratto elargiscono senza economia.

Nella vettura regna un grande silenzio peraltro continuamente raccomandato dagli altoparlanti che invitano a parlare a voce bassa e di abbassare la suoneria dei telefoni. Tutti i viaggiatori sono intenti a guardare nei loro telefoni intelligenti o nei loro computer, qualcuno legge un e-book, tutti insomma sono collegati e comunicano in continuo la loro posizione e gli eventuali ritardi, anche se si tratta di cinque minuti, a mogli, amanti, segretarie, soci, compagni che presumibilmente a loro volta rimbalzano queste informazioni fondamentali.

Questi treni si muovono tra stazioni che in sostanza sono dei veri e propri centri di vendita, dei supermercati nelle quali sono scomparse le sale d’attesa, le panchine per far riposare qualche viaggiatore anziano e stanco e dove non si sa dove trovare una informazione, comprare un biglietto, capire dove andare e quando si riesce ad arrivare al marciapiede giusto, quello da cui parte davvero il treno che si vuole prendere, bisogna collocarsi all’altezza giusta per salire sulla carrozza prenotata senza fare confusione. Le stazioni sono piene di persone in piedi che con una mano trascinano i propri bagagli dotati di ruote e con l’altra con il proprio telefono computer cercano di sapere dove devono andare e quando lo devono fare.

Nell’ultimo viaggio fatto su questi treni e in queste stazioni ferroviarie, mentre si andava ad alta velocità e osservando il mondo che mi stava attorno fatto da tante persone che sembrava avessero paura persino di pensare tanta la voglia che dimostravano di essere immerse nei loro strumenti elettronici, mi è capitato di ricordare, mentre mi rendevo conto che ero l’unico a non essere prigioniero del web, quello che erano i treni e le stazioni di una volta.

Quei treni con gli scompartimenti e le poltrone di velluto grigio o rosso a seconda della classe nella quale si aveva diritto a viaggiare, con i finestrini che si potevano aprire quando si arrivava nelle stazioni o durante il viaggio per fare entrare un po’ di aria fresca necessaria soprattutto d’estate quando l’aria diventava pesante e le donne si sventolavano con i loro ventagli o con cartoline illustrate ricevute da fidanzati o figli lontani e che si portavano sempre con loro. Con persone che di continuo aprivano la porta dello scompartimento per sapere se un posto apparentemente vuoto era libero o meno e gli altri viaggiatori, pensando solo alla loro comodità, rispondevano che la persona che lo occupava era alla toelette.

E i controllori che passavano di continuo a verificare i biglietti o i diritti di viaggio come li chiamavano formalmente e che obliteravano con grandi tenaglie cromate e che rilasciavano biglietti a coloro che non li avevano comprati, scrivendo in bilico mentre il treno dondolava con le loro matite copiative su libri pesanti con le loro copertine nere regolamentari.

E mentre il treno andava lentamente dando il tempo a chi voleva di ammirare paesaggi e tramonti con assoluto comodo, i passeggeri dei vari scompartimenti allacciavano tra di loro conversazioni e raccontavano i fatti loro, i maschi tentavano di corteggiare qualche ragazza che viaggiava sola con aria pudica e distratta, altri ogni tanto si alzavano per sgranchirsi le gambe passeggiando nel corridoio quando questo non era invaso da valigie e passeggeri che viaggiavano seduti sui loro bagagli. Alla fine del viaggio ci si lasciava anche felici degli incontri fatti, degli amici conquistati, del tempo trascorso in lieta compagnia. E questo succedeva a maggior ragione sui treni a lunga percorrenza, come si diceva in linguaggio ufficiale, quelli come il treno del sole o la freccia del sud che in 23 ore attraversavano il paese con le persone che appena salite si mettevano in pigiama per viaggiare comodi e per non sgualcirsi gli abiti.

Sono stato svegliato dai miei sogni e dai miei ricordi dall’altoparlante che annunciava di essere arrivati alla mia destinazione, mi sono alzato e in silenzio mi sono messo in fila dietro a giovani donne in jeans strappati e a giovani manager con camicie americane e capelli tagliati a spazzola e con i computer sotto braccio mentre continuavano tutti a parlare al telefono attraverso gli auricolari che tutti avevano.

E mentre mi avviavo verso l’uscita cercando il corridoio da prendere pensavo che il progresso è bello, che il mondo è più bello e comodo rispetto ad una volta. Ma pensavo anche con nostalgia che forse non tutto e non in questo modo si doveva distruggere!

Inserito il:28/10/2016 09:53:11
Ultimo aggiornamento:28/10/2016 09:59:55
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