Frank Von Stuck (Tettenweis, Germania, 1863 - Monaco di Baviera, 1928) - Libertà
8 marzo: Se vogliamo che i fili rosa ricuciano davvero
di Alessandra Tucci
Anime strappate dagli artigli feroci della coscienza. Individuale e collettiva.
Tanti strappi quanti sono i falsi credo della storia. Infiniti, implacabili, mai placati.
Mai davvero.
Millenari miti di indocili streghe e sirene incantatrici che non si è mai smesso di incenerire. Col fuoco, lo sguardo, con il semplice parlare.
Intramontabili leggende di viziose arti, licenziose vesti, scostumati costumi.
Tutti da purgare. Tutte essenze da falciare. Con un solo click.
Infaticabili sermoni mediatici e confessionali di beltà, perfezione, di monacale sessualità, matura giovinezza, di avvizzita ingenuità. Di devozione. Alla casa, alla chiesa, alla comunità intera. Al sacro e al profano.
Inespugnabili corti e piazze zeppe di giudici e giudicanti di morale e perversione, farcite di doti e di corredi appesi ai pali a ricordare, monito immortale, che c’è sempre per lei un prezzo da pagare per farsi accettare.
Infiniti, implacabili, mai placati falsi credo cuciti addosso, su misura, a quella donna rea del suo peccaminoso frutto per coprirne l’improvvisa, e vergognosa, nudità. E condannarla alla cacciata più feroce, la cacciata dalla sua stessa identità.
Inadeguata, incompleta, peccatrice, tentatrice, viziosa e viziata.
Un prodotto fallato che in tutti i modi e da millenni la coscienza collettiva seziona e scuote alla ricerca della falla. Per sanarla e suturare in ogni modo la sua indomabile isteria. Sotto elettroshock coscienziali e vibratori sedativi, dritto in vena il suo peccato originale, il peccato di esser danno. Esule a se stessa, straniera nel mondo. Il fiato spezzato dalla corsa all’accettazione altrui e sociale che sposta di un gradino più in su, ogni volta, il disperato traguardo.
E ci chiediamo perché quelle anime si arrendano alla loro identità in frantumi. Sì, ce lo chiediamo davvero.
Ci chiediamo perché non lottino nel web e dentro casa, perché consegnino loro stesse al peccato che non ha perdono, il peccato della resa. E alla impudica compassione dei media-web salottieri.
Inforchiamo occhiali neri ed infiliamo fili rosa nella cruna di tanti aghi quante sono quelle anime strappate senza capire che non c’è ricucitura, nessuna toppa, che regga al colpo dell’artiglieria mentale. Collettiva e individuale. Che l’anima (r)accoglie il danno, lo fa proprio, e arriva a dilaniarsi lei da sola vesti e carni. Ma che il ritmo degli strappi, caramelloso e acre, lo scandisce la coscienza. Del mondo intero e di ogni singola sua più piccola cellula.
Se vogliamo che i fili rosa srotolati dal bandolo sociale e assistenziale non finiscano arrotolati attorno al cuore di anime sfiancate a strangolarlo, spegniamo nella mente, intima ed esterna, miti leggende e falsi credo che l’hanno nei millenni intossicata e riaccendiamo lo splendore dell’umanità. Accettiamola. Quella viziosa, viziata, fragile, incompleta, incoerente, stentata, rattoppata. Sì, quella fallata. E’ questa la perfezione umana, maschile e femminile, tante lucciole che in cielo competono con le stelle. E non si spengono.
Se poi vogliamo salvare almeno un mito, che sia uno solo e che sia scelto bene, con attenzione estrema.
Che sia mito, leggenda o verità, salviamo la donna rea della sua essenza al monito echeggiante tra l’informe ed insolente folla: “Chi è senza peccato scagli la prima pietra!”.
E lasciamo cadere le nostre. Verbali, mediatiche, salottiere, interconnesse, sussurrate, urlate, disegnate. Lasciamole cadere a terra. Tutte. Tutte le nostre pietre.