Manifesto di T. Wolf Ferrari per la macchina per scrivere M1
Erano tutti protervi gli industriali? Il caso Olivetti
Il Welfare aziendale in chiave storica (2)
di Tito Giraudo
Avrei voluto rispondere all’articolo della mia compagna di merende Mara Antonaccio (stiamo organizzando insieme una giornata sul cibo) L'evoluzione del welfare aziendale - Nutrizione e lavoro. Pensandoci bene, ho valutato che l’argomento che Mara ha sollevato, meritasse un approfondimento dal punto di vista storico, poiché il fenomeno ha origini lontane.
Parlare di welfare aziendale, senza parlare della Olivetti di Ivrea, è come parlare dell’esodo senza citare Mosé. Vorrebbe dire cancellare un’esperienza che in Italia non ha avuto paragoni, e che è stata anche una punta di diamante nel panorama internazionale.
Quale è però la genesi del fenomeno?
Gli Olivetti, erano ebrei sefarditi insediatisi a Ivrea, abitarono nel ghetto eporediese dove gestivano un commercio di tessuti.
Camillo Olivetti, rimasto orfano del padre in tenera età, erediterà il patrimonio che gli permetterà di iniziare un’attività industriale ispirandosi al suo viaggio americano del 1892.
Ingegnere elettrotecnico, allievo prediletto di Galileo Ferraris che da lui si fece accompagnare al Congresso di elettrotecnica di Chicago. Fu segnato dall’America di fine ottocento in piena rivoluzione industriale.
Tornato in Italia fondò prima, una fabbrica per la produzione di strumentazione elettrica (nella originaria “fabbrica di mattoni rossi” 1894) e in seguito, nel 1908 diede vita alla prima fabbrica italiana per la produzione di macchine per scrivere, sempre in quel sito ubicato vicino alla stazione ferroviaria e sotto il Monte Navale, lungo la strada per Castellamonte.
Camillo Olivetti, non fu tra i fondatori del Partito Socialista solo perché nel 92 era negli Stati Uniti ma da subito, ne fu un dirigente stimato e il referente socialista per il Canavese.
Nel 98, partecipò ai moti milanesi, quelli delle cannonate di Bava Beccaris. Da allora la polizia lo schedò e lo sorveglierà.
Sarà consigliere Comunale socialista di Torino, poi di Ivrea.
Ideologicamente, fu un riformista, anche se per un certo periodo credette nella rivoluzione, una strana rivoluzione la sua per l’epoca, di tipo interclassista poiché l’esperienza americana fu di profondo insegnamento.
Non vedeva contraddizione, tra l’essere imprenditore ed essere socialista. Diventerà critico e si allontanerà dal partito, quando la maggioranza passerà dai riformisti ai massimalisti.
Tenterà l’ultima avventura politica nelle elezioni del 1919 appoggiando l’USI, una lista socialista capeggiata dal grande riformista Bissolati, uno dei padri del socialismo italiano, poi cacciato dal Partito anche grazie ad un certo Mussolini allora socialista rivoluzionario.
Notista politico ed editore, abbandonò il giornalismo quando, scontrandosi con il fascismo sceglierà di non mettere in difficoltà l’azienda e i suoi dipendenti.
Ho fatto una breve biografia (chi volesse approfondire legga il mio “la fabbrica di Mattoni Rossi Conti Editore), solo per inquadrare ideologicamente sul come sia nata la visione sociale olivettiana.
Il welfare alla Olivetti nacque nel 1909 con la cassa mutua per i dipendenti, accompagnata da corsi di formazione professionale per gli operai che Camillo svolgerà nella sua casa al “Convento”, tanto che il miglior allievo: Domenico Burzio, diventerà il Direttore della produzione e alla sua morte sarà creata l’omonima Fondazione che per prima svilupperà quel sistema di servizi sociali integrati che il figlio Adriano svilupperà soprattutto nel dopo guerra, creando appunto il sistema di welfare aziendale Olivetti.
Credo opportuno analizzare le condizioni economiche e produttive che permisero la realizzazione di tutto ciò.
Adriano Olivetti, negli anni 20 fece sulle orme del padre un viaggio negli States.
Ritornò deciso ad adottare il taylorismo in fabbrica, decisione che sarà dapprima contrastata da Camillo che non voleva spersonalizzare il lavoro dei propri operai poi, seppure a malincuore, cederà al figlio, non solo sulle catene di montaggio ma anche sulla direzione generale dell’azienda che ormai era diventata monopolista in Italia e aveva filiali all’estero.
Quel trapasso di poteri coinciderà con la fondazione del Centro Formazione Meccanici, una scuola aziendale che agli studi tecnici univa quelli umanistici e che consentiva ai meritevoli l’accesso all’istituto per periti e alla facoltà di Ingegneria.
Mi preme sottolineare, come la scelta del lavoro parzializzato che ideologicamente potrebbe sembrare di destra, in realtà consentì ad Adriano di avere le risorse per creare, non solo il sistema di Welfare aziendale ma anche quell’architettura olivettiana che diventerà “Patrimonio dell’umanità dell’Unesco”.
Nel dopo guerra, con i nuovi modelli di macchine per scrivere e soprattutto delle calcolatrici, ci fu il grande sviluppo della fabbrica e con esso della redditività, poiché i metodi produttivi furono avanzatissimi per l’epoca.
Adriano Olivetti, poté così coronare il suo sogno di fabbrica sociale e a misura d’uomo, creando reparti salubri in cui dalle ampie vetrate continue entravano la luce e il paesaggio.
Chi scrive, negli anni 50 fu un dipendente e quindi posso parlare con cognizione di causa di ciò che furono i Servizi sociali alla Olivetti.
Un ottimo architetto: Ignazio Gardella, progettò l’edificio adibito a mensa, dove si serviva il pranzo nell’intervallo di mezzogiorno.
La mensa era posta sui terreni del “Convento”, la vecchia abitazione di famiglia adibita a centro di svago, con bar e campi da tennis. I lavoratori al termine del pranzo potevano passeggiare lungo i sentieri del Monte Navale oppure bastava attraversare rientrando nello stabilimento dove, sovente, al Salone dei 2000 si esibivano attori e cantanti di fama. Oppure si potevano seguire corsi di lingue straniere. Se poi si voleva raggiungere la biblioteca aziendale: un avvenieristico edificio quella nuova biblioteca, dove si potevano prendere in prestito qualsiasi libro oltre ai dischi di musica classica.
Va detto che la prima biblioteca Olivetti venne realizzata nel 1930.
La mensa aziendale era aperta anche per la cena, consentendo a noi foresti anche il pasto serale, oltre a un servizio sempre funzionante di docce.
I servizi sociali per l’infanzia, furono un fiore all’occhiello per l’azienda.
Anch’essi datano dal 1930 e si svilupparono, non solo con gli asili nido e le colonie montane e marine, ma in una avanzatissima normativa che prevedeva un lungo periodo pagato, prima e dopo la gestazione. Oggi ciò può anche non stupire, ma vi assicuro che per l’epoca rappresentò un’eccezione.
I servizi mutualistici aziendali furono anch’essi istituiti da Camillo quasi contemporaneamente alla nascita della fabbrica e poi ampliati da Adriano con un servizio di prim’ordine che offriva tutte le prestazioni diagnostiche e infermieristiche.
Le case per i dipendenti, furono anch’esse realizzate a partire dal 1926 del secolo scorso, sempre da Camillo. Sorsero sulla direttrice di Castellamonte. In seguito, sotto la direzione di Adriano ci fu un piano abitativo di alto profilo, i progettisti portano nomi prestigiosissimi: Figini, Pollini (allievi del grande Le Corbusier), Nizzoli e Olivieri e altri non meno noti.
Nel 1943, si costruiscono le prime case nella località Canton Vesco, dove negli anni successivi alla guerra si svilupperà un vero e proprio quartiere. Lo stesso avverrà nel Canton Vigna, fino al progetto in collaborazione con l’edilizia popolare di Stato del quartiere Bellavista.
Va detto che il piano di case aziendali fu concepito per coloro che si insediavano a Ivrea da zone lontane, o per immigrati. Mentre per coloro che abitavano nel Canavese limitrofo, fin da subito ci fu un efficiente servizio di trasporti. Al mattino, quando entravo io, in fabbrica arrivavano decine e decine di corriere.
Va detto che tutti questi servizi erano erogati a prezzi irrisori e quindi facevano parte del salario indiretto.
Occorre ancora aggiungere che in fabbrica erano presenti psicologi, sociologi e un servizio di assistenti sociali in grado di venire incontro a qualsivoglia problema del lavoratore
Insomma, fino alla morte di Adriano, avvenuta nel 1960, la Olivetti era una “Camelot” dove Artù-Adriano regnava, anche se non incontrastato perché qualche socio bofonchiava e cercò pure di spodestarlo riuscendoci solo in parte e per un breve periodo.
Adriano, guardò non solo alla sua fabbrica ma all’intero territorio, fondando il Movimento Comunità che rappresentò il suo momento politico, cercando di affacciarsi anche a livello nazionale. Non fu una scelta felice, perché diede modesti risultati svenando per altro personalmente Adriano.
La morte di questo grande industriale visionario e umanista, sarà l’inizio del declino del Welfare Olivetti che non fu difeso a sufficienza dai Sindacati i quali, chi più chi meno, accusarono sempre Adriano di paternalismo e di coercizione operaia. La stupidità che oggi regna sovrana, ha origini lontane.
Analoga stupidità, fu la vendetta politica e confindustriale verso questo industriale che aveva violato le regole, non certo lungimiranti, delle classi dirigenti dell’epoca che porterà allo smantellamento della fabbrica e di tutto il suo patrimonio sociale e culturale.
Nel prossimo articolo parlerò del Welfare Fiat, cercando inoltre di fare delle considerazioni di carattere generale.
(Continua)