Jean.naeJ (DeviantArt) - Big Brother is Watching You
Interconnessioni tra presente e futuro
di Marco Valerio Principato
Dati i cambiamenti nei grandi player della tecnologia e nelle popolazioni ormai loro «prigioniere», proviamo a mettere qualche punto fermo per riflettere sul futuro prossimo.
SMS? Stanno quasi scomparendo dalle offerte degli operatori mobili: ci sono WhatsApp, Telegram, Messenger e altri sistemi di Instant Messaging. Se proprio li vuoi, per gli SMS devi sottoscrivere un pacchetto a parte, “dedicato” e pagato a parte. Se lo trovi.
Il “vecchio” Tom Tom, il navigatore che si attaccava al parabrezza con la ventosa? Non serve più: nella peggiore delle ipotesi, Google o Apple ti guidano con lo smartphone; nella migliore, c'è il sistema di guida e intrattenimento di bordo, oggi interconnesso e gestito spesso e volentieri da Android (il sistema operativo mobile che muove la maggior parte degli smartphone non Apple), quindi c'è sempre Google che ti guida.
A casa a guardare la TV? Certo, una smart-TV (spesso gestita da Android), magari anche dotata di telecamera e microfono per Skype. Così Google e Microsoft sono a portata di mano per gli utenti. E viceversa, naturalmente.
A ninna con la musica contenuta nello smartphone, riprodotta dal nuovissimo altoparlante ipertecnologico cilindrico di Tim Cook, l'HomePod? Certamente. Interagisce con Siri, l'assistente vocale Apple, quindi ha un microfono. No, sbagliato, ne ha sei, posti in cerchio sotto al woofer (altoparlante per i suoni bassi, posto in verticale verso l'alto) e sette tweeter (altoparlanti per i suoi medio-alti, posti in cerchio a 360 gradi, sotto i microfoni). Il tutto gestito da un microprocessore dedicato, interconnesso tramite Wi-Fi e Bluetooth, a batteria, con una potenza di calcolo capace di analizzare l'ambiente circostante, memorizzarne la foggia, rilevare la propria posizione, indirizzare di conseguenza il suono stereo automaticamente, in modo da creare una perfetta sensazione di stereofonia originata in quel preciso punto e percepibile da tutto l'ambiente, con quei mobili o pareti o altre superfici riflettenti accanto, tenendone conto ed autocompensando esaltazioni e attenuazioni. Un gioiello della tecnologia. E anche fonte di un patrimonio di dati, di cui Tim Cook (l'A.D. di Apple, per chi non sapesse) ovviamente si impossessa. Rendendoli anonimi, giura (e spergiura, perché con i Big Data “rendere anonimo” è un processo reversibile e il fatto stesso di averlo fatto è un dato).
Oggi è tutto così. Qualunque tecnologia promossa dai grandi player si presenta, si rende bella, accattivante, punta a divenire indispensabile e poi, una volta che tutti gli sprovveduti (ahimé la maggior parte, alcuni colpevolmente, altri no, ovvio) la accettano, la fanno entrare nelle proprie vite e ne restano prigionieri, i giganti ne abusano e ne ricavano dati, dati, dati. I dati sono la moneta del futuro. E i grandi player li vogliono tutti, fino all'ultimo. Prima dei soldi, vogliono dati.
Ogni tanto qualcuno vagamente più illuminato se ne accorge. E prova a fermarli. Magari con delle leggi. Che riesce anche a far approvare. Purtroppo, però, senza alcun risultato.
Da quanto tempo sentite parlare di Web Tax? Anni. Vi risulta che qualcuno dei giganti in questione (qualche nome: Amazon, Apple, Google, Microsoft, Facebook, Intel, ma anche i grandi operatori cellulari, Internet Provider internazionali e altri comparti industriali di importanza mondiale) abbia mai detto “ok, è giusto, d'ora in poi paghiamo” e abbia iniziato a pagare? No.
Vi ricordate quando AgCom ha detto ad Amazon che non poteva esercitare servizio postale senza averne titolo (Il Sole 24 Ore, 6.12.2017)? La risposta è stata «abbiamo ricevuto una richiesta da parte di AgCom e la stiamo analizzando». Dopodiché? Nulla. Tutto tace. Tutto continua a girare esattamente come prima. E Amazon continua a vendere e consegnare, esattamente come prima.
Non insisto per non cadere nel climax linguistico, ma il senso ormai è chiaro: i grandi player, creatori e padroni delle tecnologie di cui le popolazioni ormai non sanno più fare a meno, sono sovranazionali, hanno un potere economico (diretto) e politico (attraverso operazioni di lobbying) tali da potersi porre in una posizione di assoluta e strafottente inottemperanza a qualsiasi norma, di qualsiasi paese, a loro non faccia comodo. Tu, stato, provi a fargli una multa? E loro lo fanno lo stesso, perché la tua multa per loro è come per te un pacchetto di chewing gum. Oppure, se lo scenario glielo permette, ti ricattano e tu, stato, abbassi la testa perché, magari, soppesi e capisci che lo scontento generale sarebbe indesiderabile, specie in momenti di incertezza politica.
Nel futuro prossimo, nel mirino c'è la cosiddetta IoT: la Internet of Things, detta Internet delle Cose in italico. Nient'altro che l'ultra-miniaturizzazione di microcomputer connessi alla Rete, attaccati a sensori di ogni genere, capaci di interagire con qualcuno dall'altra parte del cavo e fornire dati, dati, dati. La polverizzazione della raccolta generalizzata di dati già in atto oggi. Il momento in cui i grandi player sapranno quale luce (marca e modello) ho acceso, a quale intensità e colore, per quanto tempo, da chi l'ho comprata, quanto l'ho pagata e come, con quale vettore mi è arrivata, dove l'ho installata, quale apparecchio avevo nel frattempo in funzione (computer, tablet, TV), cosa stavo facendo o guardando o ascoltando, eccetera.
Dati, dati, dati. Tutto nel grande calderone dei Big Data. Che sta diventando indescrivibilmente grande e, paradossale quanto si vuole, più si ingrandisce, più è potente, più è capace di rispondere a tutto, su tutto, a proposito di tutti. Di fare previsioni con un grado di certezza prossimo al 100 per cento su persone, gruppi sociali, aziende, uffici, imprese, politica, economia, società, ricerche, tutto, proprio tutto. Un prologo necessario per capire tutto questo è costituito dal bellissimo libro di V. Mayer-Schönberger e K. Cukier, Big data – Una rivoluzione che trasformerà il nostro modo di vivere e già minaccia la nostra libertà, Garzanti, Milano, 2013 (qui su Amazon, qui su IBS).
Dati, dati, dati. Questa è la moneta del futuro. Non gli euro, non i bitcoin, non i dollari, ma i dati. E a darglieli siamo noi. Mentre continuiamo a ripeterci (e quindi a mentire sapendo di mentire) che oggi la tutela dei dati personali è utopica. Mentre continuiamo a sorvolare sul fatto che Mark Zuckerberg ha registrato le agende telefoniche di tutti, rubandole attraverso WhatsApp, Messenger e Facebook, per poi riversare tutto nei Big Data. Dove tutti i dati sul nostro traffico telefonico, riversati dagli operatori cellulari, aiutano a fare controlli incrociati e ottenere informazioni certe. Eccetera.
Che ci piaccia o no, siamo completamente nudi, “come mamma ci ha fatto”. Ma siamo talmente drogati dalle tecnologie di interconnessione digitale da non vedere più tutto questo. Siamo convinti di avere come contropartita il sentirci “connessi”, l'avere a portata di mano (per interposti smartphone e tecnologie, non direttamente) tutto e tutti.
«Se comodità e controllo continueranno ad essere le nostre priorità, saremo tentati dalla robotica sociale, che ci promette divertimento come fanno le slot machine nei confronti dei giocatori d'azzardo; macchine programmate per farci continuare a giocare. Nel momento robotico dobbiamo stare attenti che la semplificazione e la riduzione delle relazioni continuino ad essere qualcosa di cui lamentarsi, e non diventino invece ciò che ci aspettiamo o addirittura desideriamo» (da Sherry Turkle, Insieme ma soli – Perché ci aspettiamo sempre più dalla tecnologia e sempre meno dagli altri, Codice Edizioni, Torino, 2012, p. 372 – qui su Amazon, qui su IBS).
Turkle, come tempo del verbo, ha usato il futuro, ha detto “saremo”. Ma il libro è del 2012, quindi – a occhio e croce – l'editore l'ha avuto nel 2011 e l'autrice l'ha finito di scrivere nel 2010, più o meno. Perciò quel futuro è tranquillamente leggibile come tempo presente. Quelle slot machine sono diventate le sale VLT, che ai tempi di quel libro ancora non esistevano. E quella robotica sociale, accuratamente progettata per svilupparsi così come la vediamo oggi, non è più solo un'idea, solo un argomento di una tesi di laurea o di dottorato: è realtà concreta, siamo effettivamente insieme, ma soli.
Forse è il caso di aspettarci meno (non nulla, solo meno) dalla tecnologia e più (non tutto, solo più) dagli altri. Prima che sia davvero troppo tardi.