A Vanvera (18)
di Massimo Biondi
Economisti
I professori non si tirano indietro quando c’è da insegnare qualcosa a qualcuno. Quelli interpellati negli anni per individuare dove tagliare nel bilancio dello Stato se ne sono andati più o meno seccati perché la politica non eseguiva.
E’ un loro limite non capire che la politica non può esaurirsi nella tecnica. Essa è innanzi tutto un moto ideale, umano e sociale, come disse Giulio Andreotti che se ne intendeva.
I docenti universitari hanno studiato una materia e generalmente non sono chiamati a mettere in pratica il loro sapere: non vivono di investimenti (come già argutamente fece osservare John Kennedy); non si misurano con la gestione di attività imprenditoriali; non hanno nemmeno bisogno di rimettersi più volte in gioco durante la carriera, che in Italia è garantita, come la retribuzione.
E’ probabile che anche la maggior parte dei cittadini sia in grado di individuare alcune inefficienze, di suggerire dove tagliare. Poi però deve intervenire la politica, con uno sguardo più ampio. Senza dimenticare che i tagli coinvolgono di solito esseri umani, che molti di quegli esseri sono tutelati da leggi che ne impediscono il licenziamento e che in ogni caso, eventualmente, passerebbero da stipendio a pensione. Come i professori. E i costi per lo Stato non diminuirebbero.
Questo è un appunto che mi è stato stimolato dalla lettura dell’intervista che Roberto Perotti, l’ultimo deluso della spending review, ha rilasciato a Federico Fubini – già uno che non vede mai spiragli di luce – e pubblicata dal Corriere della Sera il 4 settembre. Il lamento – una pagina intera con richiamo in prima – riguarda sostanzialmente il fatto che il taglio di 25 miliardi (vedi mo’ quanto sono stato bravo io, sembra dire) è nullo perché "altri capitoli di spesa sono stati aumentati per un importo equivalente” (come a dire il mio lavoro è stato reso inutile da quegli spendaccioni del Governo).
L’indomani, 5 settembre, il Corriere ospita le precisazioni di Goram Gutgeld che ribatte punto per punto le osservazioni di Perotti. Io mi sono incavolato per la forma (la forma lamento/accusa), lui per la sostanza. Sono contento. Si capiva che l’intervista era l’esternazione di un tronfio.
Primedonne
Non mi piace essere aggressivo contro qualcuno, ma questi professorini che si atteggiano a primedonne li trovo veramente irritanti. Se una critica anche violenta proviene, per dire, da Renato Brunetta o da Stefano Fassina (par condicio), so che loro fanno politica. Si espongono. Può anche essere che talvolta non siano in buona fede, ma conoscono e praticano la politica, nuotano nelle stesse acque dei criticati. Ma un professore?
Ce ne sono che si mettono in testa cose strampalate. Se vengono chiamati a dare un consiglio poi si adombrano se i consigli vengono seguiti poco o nulla. Se non vengono chiamati i più vanitosi (una percentuale elevata) si adombrano e criticano volentieri sia chi non li ha chiamati che i chiamati al loro posto.
Cosa direbbero i baroni dell’Università se i politici criticassero il loro modo di insegnare?
Politici, manager, imprenditori, investitori, artigiani, artisti, sportivi eccetera sono tutte categorie le cui prestazioni sono soggette a costante misurazione attraverso risultati quantificabili visibili a tutti. I docenti no, sono defilati, i loro risultati sono difficili da valutare. Se ne ricordino quando li prende il ghiribizzo di insegnare agli altri come si lavora.
Sindacati
Si sa da un pezzo che ci sono fior di esuberi nelle banche. Di sportelli e soprattutto di dipendenti. Lo ha ribadito, forse perché anche lui legge i giornali, il presidente Renzi, facendo inalberare i sindacati di categoria. I quali reagiscono immediatamente e che fanno? Minacciano uno sciopero generale.
Ma possibile che siano sempre con la testa a inizio novecento o agli autunni caldi? Niente di nuovo sanno escogitare?
Possibile che non si rendano conto che non c’è un padrone cattivo da combattere? Che l’home banking e la tecnologia in genere rendono del tutto inutili certi lavori?
Eppure ho l’impressione che gli sportelli, quelli che rimarranno, possano arricchire sensibilmente la loro offerta di servizi. Oggi la banca sembra molto concentrata su se stessa, sulle proprie procedure tradizioni e garanzie.
Molti piccoli operatori economici trattano con la banca con la difficoltà di chi deve adeguarsi a un contesto non dico ostile ma comunque non familiare. Non è vero, mi risulta, che l’agenzia bancaria aiuta, consiglia, supporta. Concede fidi in base a parametri predefiniti; offre mutui studiati nelle sedi, dove c’è gente che non vede un cliente da anni; propone gli investimenti che dalla sede decidono di promuovere; lavora su algoritmi. Dei business dei clienti nessuno si interessa davvero, allo sportello.
Il funzionario di agenzia di norma non è in grado di valutare un flusso di cassa o gli indici economici principali forniti dal bilancio. E’ in difficoltà nel relazionarsi con un piccolo imprenditore o un artigiano sugli argomenti che stanno a cuore a quest’ultimo. Anzi, se il cliente manifesta preoccupazioni capace che ne informa la sede, che potrebbe essere il caso di rivedere il fido. L’imprenditore è forzato a nascondere le difficoltà.
Ecco allora che un sindacato pensante dovrebbe precipitarsi a sentire “il mercato” (lo so, ipotesi terribile!), capire come possono essere ancora utili tutti quegli esuberi previsti, cosa devono imparare per adeguarsi alle esigenze emergenti, dove lo possono imparare, chi insegna, chi investe. E discuterne con la controparte, facendo proposte.
Macché. Sciopero generale.
Perché i sindacati, quei sindacati, sono fermi nel tempo, superati dai fatti e dalla storia. Quei sindacati in prima istanza tutelano chi il lavoro ce l’ha già e pretendono di farlo senza che nulla cambi: stesse funzioni, stesse prerogative, mansioni, azienda, luogo di lavoro. Solo la retribuzione può crescere, inflazione o deflazione che sia. Le professionalità non è previsto. O quanto meno non con la partecipazione del sindacato, che non dimostra di lavorare seriamente sull’evoluzione delle professioni. Tutto inalterato nel tempo, per quei sindacati.
E allora sciopero generale!
Poi, celebrati i riti, aperti i tavoli, può succedere che subentri tardivamente una forma di adeguamento alla realtà. Ci sono sindacalisti evoluti, per fortuna. Ma che fatica!
ATAC
A Roma l’innovazione si fa strada. Gli autobus meno.
Dal 5 settembre nuovo sistema all’ATAC: la frequenza dei passaggi dei mezzi pubblici si potrà conoscere per via tecnologica: dall’app “Muoversi a Roma”, dal sito dell’ATAC, da Twitter, da Whatsapp o interrogando via sms un numero dedicato.
Fantastico!
Se non che di fantastico c’è il fatto che la logica del servizio viene ribaltata: anziché essere programmato sulle esigenze di mobilità della popolazione viene ora svolto in base all’effettiva disponibilità di veicoli (e autisti), che come si sa in quella disastrata azienda raggiunge percentuali lontanissime da 100.
Ogni giorno cioè qualcuno verificherà su quanti mezzi effettivamente operativi si può contare e di conseguenza quali potranno essere, salvo imprevisti, le frequenze di passaggio. Oppure le cancellazioni totali di tratte, che sono state numerosissime nei primi giorni di “riprogrammazione” del servizio.
Sparisce perciò qualunque ipotesi di passaggio ad orari pressappoco prevedibili. E via di smartphone.
C’è chi fa derivare questa decisione fantasiosa (il nuovo amministratore unico si chiama appunto Manuel Fantasia) da due fattori: l’elezione di una sindaca che in campagna elettorale considerò una coincidenza uno sciopero breve indetto dai sindacati ATAC proprio in concomitanza della partita della nazionale di calcio ai recenti campionati europei e le dimissioni, poche ore prima del comunicato, del direttore generale Rettighieri, nominato dal prefetto Tronca in tempo di assenza di sindaco eletto. Marco Rettighieri, va precisato, ha portato in Procura, all'Anticorruzione e alla Corte dei Conti un dossier che denuncia anomalie riguardo i distacchi sindacali del personale, la gestione del dopolavoro e la fornitura di gomme per i bus. Poi è stato scaricato dall’assessora, dice lui.
I romani sono generalmente tolleranti, pazienti e ne hanno viste tante, ma molti già temono che anche i nuovi standard potrebbero via via degradarsi: prima dicevi 100 e davi 70. Ma se dici 70 non è che poi, senza dirlo, dai 50?
Inoltre il servizio, dicono i maligni, si modulerà più che sulla disponibilità di mezzi sulle esigenze dei conducenti, dei lavoratori e dei loro sindacati, fortissimi in ATAC e decisivi per le contese elettorali.
Insomma, pazienti ma incazzati e preoccupati. Anche quelli che non pagano, visto che di Roma si dice che soffra della più cospicua evasione tariffaria d'occidente.
Professionismo
Non sono elettore M5S, non sono iscritto al sacro blog né ho mai preso parte alle loro iniziative, digitali e non. Ho anche piuttosto in odio i vaffa day, Grillo non ce l'ho in simpatia e nemmeno Casaleggio (rip) che ho incontrato per business senza restarne particolarmente impressionato. Ciò premesso però sono italiano e dico che dovrebbe preoccupare tutti il fatto che un movimento politico che può raccogliere un terzo o un quarto dell'elettorato e un giorno condurre il governo del Paese e di realtà locali importanti abbia come leader dei principianti senza spessore e senza personalità ma tanto presuntuosi. Anche Berlusconi, al quale quelle doti non mancavano di certo, nella prima Forza Italia aveva reclutato e dato incarichi a fior di professionisti. Onestà va bene, è un prerequisito, ma un po' di umiltà aiuterebbe molto. Lo dico nell'interesse del movimento ma anche del Paese. Al momento l'idea che il dopo Renzi possano essere costoro senza il supporto di persone qualificate terrorizza abbastanza.
L’amministrazione, come la politica in generale, è fatta anche di norme e regolamenti che si intrecciano e non di rado si contraddicono; di vincoli tecnici e burocratici; di legami pregressi e lavoro nell’ombra, non per questo illecito; di retaggi culturali, tradizioni e prassi consolidate. E, diciamolo, anche di farabutti, doppiogiochisti, disonesti. E pericolosissimi idioti.
La disonestà materiale non è il solo elemento da combattere né il più difficile da vincere.
Personalmente, pur da integralista della rettitudine, sto rivalutando l’ipotesi che per certe incombenze sia meno dannoso un mariuolo competente di un idiota onesto.
Magistratura
Si comincia a dubitare che i golpe recentissimi e futuri possano essere originati più dalla Magistratura che da corpi militari, come accadeva di solito.
Il dibattito, che già esisteva sommesso, si è ampliato con l’impeachment di Dilma Rousseff in Brasile avvenuto, si è detto, in un clima da Tangentopoli, nel caso intesa con accezione negativa. Ma si parla anche di Caracas – dove pure l’avversario di Maduro si appella ai militari - e degli interventi giudiziari in Argentina, Cile, Nicaragua.
Il “golpe giudiziario”, insomma, si sta delineando come evento politico in via di diffusione: trarrebbe origine dalla Magistratura che poi non salirebbe direttamente al potere ma in qualche forma e misura ne diverrebbe arbitro e coordinatore occulto.
E’ un fenomeno da osservare. Anche in Italia, dove molti magistrati si sono dedicati apertamente alla competizione politica, con esiti più o meno favorevoli, e molti altri non nascondono di averne scarsa stima. Dal suo canto la politica stessa, che in questi anni è culturalmente debole, non di rado demanda nei fatti alla Giustizia compiti propri o addirittura fa conto sulla Magistratura per contrastare gli avversari.
Segnali in questa direzione, non favorevole, erano già presenti nell’antiberlusconismo, sono presenti nella semplicistica base culturale del Movimento 5 stelle e si vanno diffondendo nella società italiana. La politica seria dovrebbe farsene carico.
Ripper
Mentre tutti i giorni abbiamo scarni e incompleti resoconti di guerre calde e a Pyongyang un esuberante giovanotto fa esplodere periodicamente bombette atomiche, la Polonia ha ordinato missili all’americana Raytheon. Serviranno per installare un sistema missilistico tutto nuovo, la cui struttura di comando sarà americana. Il luogo di installazione prescelto si trova proprio ai confini con la Russia. Putin dice che questa decisione assomiglia molto ad una provocazione e quando incontra Obama si mostra imbronciato. Niente, comunque, se si considera che un altro capo di Stato nella stessa circostanza ha detto di Obama che è un figlio di puttana.
Male, male, male! C’è tanta tensione, ci sono troppe armi e c’è anche in giro un sacco di gente che sembra avere imparato a non preoccuparsi, come lo psicopatico generale Ripper in Dr. Stranamore.
Pensierini
- La violenza, in qualunque forma si manifesti, è una sconfitta. Jean Paul Sartre
- La storia insegna, ma non ha scolari. Antonio Gramsci