A Vanvera (35)
di Massimo Biondi
Italia in movimento
H-FARM, il polo educativo/tecnologico/imprenditoriale del trevigiano fondato da Riccardo Donadon, nel settembre 2018 diventerà probabilmente il più importante polo europeo dedicato all'innovazione.
Innovazione intesa fondamentalmente come digitale, che non è tutta l’innovazione possibile, però il progetto battezzato H-Campus coinvolgerà circa tremila persone. Costoro, in linea di massima, dovrebbero essere tra quelle che aiuteranno la società italiana ad orientarsi in un mondo certamente diverso da quello di oggi.
Auguri!
Scuola ferma
La ministra dell’Istruzione chiede 25mila assunzioni. Normale domandarsi e domandarle: perché? Con quali obiettivi? Per insegnare che cosa?
Anche i nuovi assunti, come già i 7/800mila attuali, dovrebbero formare dei nativi digitali, che già all’asilo smanettano forsennatamente sui tablet, non solo per giocare.
Gli insegnanti di oggi, a maggior ragione se neo assunti, hanno infatti a che fare con ragazzi per i quali la rete, gli strumenti per usarla, i social media sono pane quotidiano. Il che non si può dire per i docenti, nel complesso.
È possibile che di fronte a nuove assunzioni non ci si pongano domande su come deve essere la scuola che deve formare i nativi digitali? Quelli le nozioni le trovano tutte in rete all’occorrenza e perciò usano la memoria naturale in maniera molto parziale. Loro, gli studenti di oggi, vedranno il mondo evolvere profondamente e vi si adegueranno senza alcuno sforzo. E gli insegnanti?
La scuola tradizionale sembra inadeguata alla bisogna, anche perché pare evidente che per i ragazzi l’apprendimento avviene diversamente da come avvenne nei tempi pre-digitali.
Il loro apprendimento è di tipo esplorativo, acquisiscono conoscenze interagendo, non solo ascoltando e prendendo appunti.
E anche la stessa pretesa che lo smartphone, che per i ragazzi è una protesi irrinunciabile, debba essere lasciato fuori dalla scuola è arcaica. Loro non vivranno mai senza uno smartphone o sue evoluzioni future, perché dovrebbero farlo in classe?
Non possiamo replicare i modelli educativi novecenteschi perché quelli e non altri si addicono al personale docente attualmente disponibile.
Perciò dobbiamo intenderci (appello alla politica): se il ministero deve mantenere la funzione di primo ufficio di collocamento del Paese non è necessario modificare nulla, nemmeno il ministro. Se però deve diventare il riferimento per lo sviluppo intellettuale e personale delle nuove generazioni, mettendole in condizione di adeguarsi al meglio al futuro, qualunque esso sarà, allora va cambiato molto, se non tutto. In questo secondo caso con pesantissime ricadute sociali nel breve termine, inutile nasconderselo. Ma la prima soluzione, difendere lo status quo, non le evita comunque: le posticipa soltanto, scaricandole su altri soggetti. Come il debito pubblico.
Votare oh oh!
Tra elezioni politiche, amministrative, primarie di partito, circoli e condomini non se ne può più dei piagnistei per la ridotta partecipazione al voto, che poi ciascuno interpreta secondo pregiudizi e convenienze.
Fino al 1946 in Italia il voto è stato riservato a una parte della popolazione maschile. Il primo suffragio universale, sempre solo maschile, fu introdotto nel 1919, ma parteciparono il 56,6% degli aventi diritto. Nel 1921 la partecipazione crebbe al 58,4% e nel 1924 il 63,1%. Percentuali che oggi costerebbero milioni in carta e inchiostro.
Poi fu la volta dei plebisciti per un SI o un NO alle liste dei candidati fascisti, statisticamente meno rilevanti per la loro natura e perché lo stesso Mussolini disse che la democrazia dava al popolo solo l’illusione della sovranità, che in effetti stava altrove.
È solo nel 1946 che si passa al suffragio universale, donne per la prima volta comprese, e al clamoroso 89,1% di partecipazione. Ma quelli erano tempi eccezionali in tutti i sensi e il voto fu enfatizzato come “dovere”, tanto che non pochi temettero conseguenze in caso di non voto.
Il calo degli anni a venire, soprattutto i più recenti, è fisiologico delle democrazie mature e d’altra parte la percentuale dei votanti rimane per ora superiore a quella di chi in Italia segue la politica. Per non parlare di quanti tra costoro sanno con accettabile approssimazione come funzionano le principali istituzioni.
Il suffragio universale è senz’altro un esercizio democratico, ma non si può automaticamente sostenere che è un bene per la democrazia.
Politichetta
È incredibile come lamenti la mancanza di contenuti da parte della classe politica proprio chi invece di capire, valutare e spiegare quei contenuti sembra interessato solo ai pettegolezzi e alle polemiche di bassa lega. Mi riferisco a singoli e media.
Notiziole
Le Nazioni Unite informano che il mondo sta affrontando in questi anni la più imponente crisi umanitaria dal 1945. Forse ignorando che ci sono in giro persone che la risolverebbero in poche settimane.