Una marcia per il clima, vietata, ci insegna molto.
Una notizia pubblicata dal giornale La Stampa il 30 novembre mi ha provocato. Più leggevo l’articolo più i pensieri volevano uscire con prepotenza dalla mia testa !
La foto mostrava la piazza Republique a Parigi, coperta da centinaia di scarpe, un flash mob fatto per protestare contro il divieto di manifestare per il clima, come peraltro stava accadendo in centinaia di città in tutto il mondo. La motivazione ufficiale del divieto stava nella sicurezza per il Forum mondiale sul clima avviato il 30 novembre a Parigi.
Paradosso? Paura? Esigenze di sicurezza?
Fin qui contava l’emozione suscitata dall’immagine e dal divieto; ma il bello doveva venire dalla lettura dell’articolo. Il giornalista argomentava sulla sostenibilità, sulle emissioni nocive nell’ambiente, sul clima, sulla risposta tecnologica all’emergenza. La tesi finale era assolutamente paradossale, stridente, pericolosa e diceva, riporto la frase: “Per vincere serve una svolta tecnologica, che ripulisca le emissioni e inventi le rinnovabili del futuro."
Continua ad imperversare il mito della tecnologia.
Addirittura servirebbe una svolta tecnologica, ben al di là di quanto la tecnologia abbia invaso la nostra vita quotidiana. Il giornalista invocava innovazioni radicali delle energie rinnovabili, magari energia dai buchi neri e non solo dal Sole!
Era insopportabile leggere queste affermazioni e vedere vietata contemporaneamente una manifestazione di cittadini: proprio quella espressione di consapevolezza che è alla base della rivoluzione di pensiero e di comportamenti che potrà salvare il pianeta.
Ero travolto da una sorta d’indignazione sulla comunicazione mediatica che andava a braccetto con l’ottusità politica delle istituzioni.
Allora mi sono detto che dovevo scrivere qualcosa per riportare un po’ di equilibrio nelle mie emozioni e nei mei ragionamenti.
Eccoli questi ragionamenti, adesso, facilitati dallo scrivere!
Possiamo mettere un po’ d’ordine tra questi fatti che agitano il mondo in questi giorni: terrorismo, cambiamenti climatici, qualità di aria e acqua che peggiorano di giorno in giorno da molti anni, tecnologie taumaturgiche che ogni giorno ci stupiscono con annunci e con effetti sui consumi, riduzione della diversità biologica, annunci di tassi di mortalità attribuibili a inquinamento. Ho citato alcuni fenomeni sotto gli occhi di tutti.
I numeri confermano le preoccupazioni. La “guerra” dichiarata già dagli anni novanta ai gas serra, CO2 in prima linea, non ha avuto successo; la CO2 è aumentata, l’ONU dice del 46% rispetto al 1990, ed alcuni Paesi, ad alto tasso di crescita sono in testa: la Cina si aggiudica il primo posto con il 25% delle emissioni di gas serra mondiali, seguita da USA ed Europa. Le regole europee sulle emissioni dei veicoli, e le regole di IMO (ONU) sulle emissioni delle navi agiscono su un terzo delle emissioni totali in atmosfera(CO2, particolato 2,5 e 10 micron, NOx, SOx e metalli pesanti), ma non hanno prodotto effetti di DIMINUZIONE o di sequestro di sostanze nocive; in alcuni casi la soluzione, come la eliminazione di PM10 ha fatto emergere particelle vicine alle nanopolveri (ordine di grandezza nanometri) ancora più dannose. L’inquinamento produce in Europa 491.000 morti/anno (dati del 2012), di cui 84.000 in Italia, che è al primo posto di questa statistica.
La tecnologia può essere la soluzione? Può aiutare, sempre che le aziende la usino nel modo giusto e il caso Volkswagen non è certo un buon segnale.
Dove sta il problema? La mia valutazione è che esso stia nella complessità dei sistemi che sta aumentando perché vogliamo, giustamente, affrontare altri problemi urgenti come lo sviluppo economico di certi Paesi, Cina e India in testa, che vogliono raggiungere i Paesi Occidentali ed uscire dal sottosviluppo, assicurando cibo e mobilità. Lo sviluppo demografico è il problema che più assilla i governi che vogliono creare le condizioni per generare più occupazione. Insomma un bel rompicapo.
E allora perché introduciamo nel quadro il terrorismo? La prima risposta è figlia della semplificazione, rischio che dovremo imparare ad evitare. La semplificazione dice che il terrorismo è figlio di fenomeni religiosi, di scelte storiche errate ma oramai è “fatta”, di lotte intestine a sette e clan, di “scontri di civiltà”. Stupidaggini è la parola più immediata che mi viene in mente.
Come uscirne? E come non peggiorare la situazione?
La soluzione è controintuitiva, come quasi sempre ! Non dovremmo cercare le strade semplici, come quella di gettare la colpa su qualche popolo o religione e non cerchiamo la via abituale della “guerra” o quella che ci appare innovativa come quella tecnologica.
La risorsa a cui possiamo rivolgerci è la persona e la sua espressione sociale, le comunità e le organizzazioni sociali. A mio avviso dobbiamo ri-partire da qui. Me lo dice un sentimento, un orientamento interno e me lo dicono molte persone che hanno fatto, scritto, parlato. Io ne ho conosciute alcune che posso citare giusto per cercare di ingaggiare voi, miei lettori!
Una in particolare mi piace ed è Edgar Morin che ci lancia un messaggio: la priorità è la “riforma del pensiero” e poi quelle, numerose, che sono la riforma dell’educazione e le riforme della vita, sì della vita: da quella dell’adolescenza, alla famiglia, alla condizione femminile, alla vecchiaia e invecchiamento. Altre due persone interessanti sono Serge Latouche che affronta la tanto discussa e contestata “decrescita felice”; e poi J.P Fitoussi, economista che affronta il tema delle diseguaglianze e della riforma della struttura del PIL (inventato dopo la seconda guerra mondiale).
Non entro nei contenuti che potete approfondire direttamente dalle fonti (cito al fondo qualche loro libro).
Conclusioni? Tante e qualcuna, ero tentato di scrivere “nessuna”. L’esito è incerto ma penso che abbiamo speranze che possiamo sostenere.
Prima mia conclusione: procediamo con lentezza nelle decisioni strategiche che sono prioritarie; ad esempio decidiamo di aumentare l’istruzione per diffonderla a popolazioni sempre più ampie.
Seconda conclusione: cambiamo l’organizzazione delle istituzioni portandole verso modelli di progettazione partecipata con le comunità ed i cittadini; usiamo e pratichiamo la partecipazione come evoluzione dell’organizzazione per deleghe. Un gruppo ragiona e produce meglio del singolo purchè venga educato all’ascolto ed al lavoro di squadra.
Terza conclusione: usiamo consapevolmente la tecnologia per “aumentare” i nostri poteri personali “buoni”, indirizzandoli al bene comune.
Con queste conclusioni non voglio sfuggire alla domanda che tutti ci facciamo: che cosa dovremmo fare per contrastare ed eliminare il terrorismo?
La mia prima risposta è quella di recidere tutti i canali perversi che lo alimentano: la fornitura di armi, l’acquisto di contrabbando del petrolio, i finanziamenti nascosti. E poi possiamo agire sulla prevenzione rendendo più efficaci i servizi di “intelligence”. Impegnativo? Sì, ma la sfida deve essere affrontata dai governi. Non sarà facile convincere e convincerci che la guerra non è la soluzione, ma dobbiamo impegnarci, tutti.
Utopia? E’ una strada possibile, l’esito è incerto, ma è l’avventura umana che mi entusiasma. E voi? Qual sarà il vostro prossimo passo?
Un abbraccio.
Bibliografia:
Edgar Morin , La via, Cortina Editori, 2012
Serge Latouche, Breve trattato sulla decrescita serena, Boringhieri,2008
Foto presa in Internet e relativa alla mancata marcia per il clima.