A Vanvera (10)
di Massimo Biondi
Storia
Un quotidiano pubblica inserti storici sul terzo Reich. Comincia con Mein Kampf, la delirante sbrodolata dettata da Hitler a Rudolph Hess che è diventato il riferimento culturale (detto con generosità lessicale) del nazismo. Ma la polemica divampa: altri quotidiani, la comunità ebraica e lo stesso Matteo Renzi che deplora via social network.
Non sono d’accordo. A mio parere più la storia si conosce meglio è. Ed è innegabile che “quella” storia sia poco raccontata da noi, se non nelle sue tragiche conseguenze. A maggior ragione è bene conoscerla. Non è forse vero che esistono ambienti che minimizzano? E non è appena stata approvata in Italia una legge (che a me pare tecnicamente discutibile) contro il negazionismo? E da dove nascono le idee che hanno generato il disastro che conosciamo se non (anche) da Mein Kampf?
Meglio conoscerle e discuterle certe cose piuttosto che ripiegare sull’oscurantismo.
Demografia
Grandi allarmi e piagnistei perché per la prima volta da un secolo la popolazione residente in Italia diminuisce. Ma come? Da anni diciamo che le cose vanno male, che il Paese fa schifo, gestito malissimo da quei cialtroni di politici; che il lavoro non c’è, la crescita non parliamone, la popolazione invecchia, gli immigrati vade retro. E cosa ci aspettavamo di diverso?
Tutta l’Europa sta attraversando un ciclo negativo, dopo avere dominato il mondo per secoli. L’Italia fa parte del gruppo, con qualche maggior handicap dovuto alla sua arretratezza culturale, al rigido conservatorismo (non parlo di politica), a una legislazione e una burocrazia antiquati e opprimenti.
Ma non è tutto qui, per quanto ci riguarda. Ci sono anche aspetti culturali che si riflettono nello stile di vita assunto dalla parte benestante società italiana (e ammirato, imitato dai meno abbienti) a partire dagli anni ‘80. Edonismo come conquista sociale, chi ricorda? Arricchitevi! Divertitevi! E’ probabile che ciò abbia a che fare anche con la procreazione: nel quinquennio 1976/1980 le madri con meno di trent’anni in Italia erano il 66%. Alla fine del decennio il 15% (dati rilevati da Guido Crainz).
Stupisce lo stupore.
Studio
Diminuiscono anche gli iscritti all’Università. Un trend che sembra in controtendenza con le esigenze del mondo – e dell’Italia – ma in linea con la diminuzione della dimensione e del potere d’acquisto della classe media italiana.
Ciascuno fa i propri conti e trae conclusioni. Personalmente non trascurerei la mediocre reputazione della maggioranza delle Università italiane. Quelle che rappresentano eccellenze, anche se magari solo nazionali, non sembrano avere il problema della diminuzione delle matricole.
La ricerca della qualità formativa nel suo complesso è testimoniata anche dai non pochi che, potendoselo permettere, scelgono di studiare all’estero: altra cultura, si impara bene un’altra lingua, si sviluppano relazioni e una mentalità internazionale. Di solito inoltre vengono scelte scuole e facoltà qualificate – in particolare nelle materie economiche e scientifiche – che offrono agli studenti anche qualche carta in più da giocare in vista del lavoro. Che poi magari è a sua volta trovato all’estero.
Non ho al momento elementi per valutare la dimensione del fenomeno, che però esiste. La sua misura ci darebbe il segno di quanto – e quanto rapidamente – il nostro Paese diventa più povero, più vecchio e meno istruito, salvo che non sia capace di creare le condizioni per la messa a frutto nazionale della cultura internazionale così acquisita.
Lavoro
La Corte di Cassazione ha affermato che il licenziamento di un dipendente pubblico non è disciplinato dalla legge Fornero sul lavoro ma dall'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Per i ministri Giuliano Poletti (lavoro) e Marianna Madia (pubblica amministrazione) è giusto così. In altre parole i lavoratori che “fanno capo” a Poletti hanno un trattamento diverso da quelli che “fanno capo” alla collega Madia.
La stessa Corte nel 2015 aveva deciso l’opposto, cioè che la legge Fornero era applicabile anche alla PA; non ricordo se anche in quell’occasione i ministri hanno trovato che la sentenza fosse giusta.
Amministrative
Ho l’impressione di avere colto alcuni aspetti del voto amministrativo, senza per questo capire gran che perché sono aspetti spesso contraddittori. Però un paio di elementi strutturali mi sembra siano abbastanza evidenti:
Il voto per “appartenenza” peserà si e no il 20%. Una volta si diceva che si votava il partito come la squadra di calcio, tifando sempre la stessa. Oggi la maggioranza, specialmente su base locale, cambia da un’elezione all’altra in funzione dei candidati, della loro eventuale conoscenza personale, della voglia di punire o, più raramente, premiare qualcuno, persona o partito.
La voglia di punire si manifesta in particolare al secondo turno, se il candidato preferito non è in ballottaggio. C’è chi si stupisce o addirittura si scandalizza, ma cadute le appartenenze ideologiche questa diventa probabilmente la spinta maggiore. Se non vinco io almeno ho la soddisfazione che perdi anche tu. Prevale il tifo contro. Anche in questo caso come nel calcio contemporaneo.
Ho infine il sospetto, ma non dati sufficienti per avallarlo come realtà, che siano sgraditi i politici di lungo corso. Forse c’è voglia di ricambio, anche a prescindere. Lo dico in base al modesto risultato di Fassino a Torino, che il ballottaggio potrebbe punire ulteriormente, ma anche alle poche preferenze raccolte a Milano da Albertini (ex sindaco) e da De Corato (ex vice sindaco). A Varese ha raccolto pochi voti perfino Maroni, presidente della Lombardia e enfant du pays. E ho citato solo casi di liste che hanno ottenuto buoni risultati. Da approfondire, ma il segnale sembra forte.
McKinsey
Risulterebbe al Financial Times che la McKinsey & Company, una delle più potenti società di consulenza strategica del mondo (oltre 9000 consulenti), possegga un fondo segreto di investimento che disporrebbe di oltre 5 miliardi di dollari. Il fondo sarebbe gestito in modo indipendente dalle attività di consulenza, dice McKinsey, che implicitamente conferma ma ovviamente non potrebbe dire nulla di diverso. Ciò tuttavia non riduce affatto l’odore di conflitto di interessi. O peggio, anche perché ci sono precedenti poco lusinghieri che hanno riguardato altri colossi della consulenza.
Uber
Mega investimento saudita in Uber: 3 miliardi e mezzo di dollari.
Ma prima dei sauditi già Toyota aveva definito con Uber l’accordo per un investimento strategico, mentre Walmart ha deciso di utilizzare il servizio per la consegna di frutta, verdura e altri prodotti freschi.
Apple invece ha investito nel concorrente cinese di Uber, che si chiama Didi; General Motors e Alibaba lo hanno fatto in Lift, concorrente di Uber basata a san Francisco; Volkswagen in Gett, società israeliana già attiva in una cinquantina di città, tra le quali New York, Londra e Mosca. Fanno tutte la stessa attività, che in molti chiamano peer-to-peer ridesharing (per dire: non si tratta di taxi in senso classico).
Anche stavolta ho l’impressione che in Italia guardiamo nel retrovisore, affiancati dai cugini francesi che hanno condannato Uber a 800 mila euro di multa e considerato illegale il servizio.
I taxisti votano, lo so, e in fondo hanno motivo di difendere quanto hanno investito nelle licenze. Perciò i sindaci galleggeranno senza inimicarseli. Deve muoversi il Governo. Anche questa è innovazione dopotutto.
Auto blu
Mentre i servizi di mobilità innovativi si sviluppano nel mondo avanzato, in quello arretrato, il nostro, primeggiano sempre le cosiddette auto blu. In questo caso non è il Governo che latita ma Regioni Province e Comuni, che dispongono di centinaia di mezzi e in gran parte non rispondono nemmeno al censimento che il Governo ha lanciato in previsione della drastica riduzione (spending review).
A livello centrale le cose vanno meglio: il ministero degli esteri, per esempio, un migliaio tra dirigenti e diplomatici, ha 10 auto blu. Il Comune di Carate Brianza 20. La fonte è il settimanale Panorama, che cita anche i casi clamorosi di altre località più o meno note che dispongono di un parco auto esagerato. Il marcio insomma sta in gran parte negli enti locali, tanto i costi materiali vanno a carico del solito Pantalone e quelli politici del Governo.
Rivolgiamo un pensiero deferente a Giovanni Malagodi, che aveva già previsto tutto quando si batté contro l'istituzione delle Regioni come “sicura fonte di sprechi, corruzione, affossamento della finanza pubblica”. Ma il centrosinistra di allora e il PCI approvarono.
Vero, le Regioni sono nella Costituzione ma forse i Padri Costituenti erano troppo rigorosi e onesti per immaginare lo scempio che il degrado etico avrebbe incoraggiato.
Economia
Pare che il presidente della Commissione UE Jean-Claude Juncker abbia l’intenzione di partecipare al Forum economico internazionale di San Pietroburgo, dal 16 al 18 giugno, considerato la versione putiniana di Davos. Si oppongono gli USA e alcuni Paesi europei, quelli più favorevoli al mantenimento delle sanzioni decise dopo i fatti (controversi) dell’Ucraina. Lo trovo un atteggiamento desolante, oltre che stupido. Come dicono gli americani? Business is business. Ma forse vale solo per certi business.
Confindustria
In questo Paese nel quale c’è troppa stampa che vive di politica i titoli all’indomani dell’insediamento del neo-presidente Boccia vanno quasi tutti all’appoggio al referendum costituzionale. Così seguono tante interviste a politici, polemiche, eccetera. Ma il punto sembra secondario, dato il contesto, rispetto all’appello rivolto alle imprese e al sistema tutto: crescere.
Essere piccoli tutela le proprietà un po' chiuse in se stesse, gelose del loro esclusivo comando, ma è un handicap competitivo enorme nel mercato globale. Le imprese italiane hanno un problema dimensionale, ha detto Boccia. Devono cercare di superarlo e in questo occorrono una diversa visione dell’impresa e dei mercati ma anche la comprensione e la partecipazione del Governo e della finanza.
Ben detto. Aggiungo la mia, dopo avere visto nascere un po' di start-up: l’imprenditore USA magari parte nel leggendario garage – per dire senza apparenza e orpelli - ma dal primo giorno pensa al mercato mondiale, a far diventare la sua una grande impresa globale, ovviamente accedendo a fondi di terzi anche se implicano controllo (ma anche supporto) sulla gestione.
L’imprenditore italiano, più spesso (non tutti), pensa a mettere in piedi l’impresa per poi cederla ancora nana. Così evita investitori invadenti – comunque non così facili da trovare in Italia – e manager con i quali magari non gradisce relazionarsi. Pochi, benedetti e subito. Gli euro, dico.
Un’ottica diversa. La nostra da provinciali.
Cronache vintage (si parla di corruzione)
1977. “Se voi riuscite a moralizzare la vita pubblica gli imprenditori possono accettarvi al governo, altrimenti non c’è motivo” Guido Carli (presidente di Confindustria) a Luigi Longo (segretario PCI).
1992. “Un grande velo di ipocrisia (condivisa da tutti) ha coperto per lunghi anni i modi di vita dei partiti e i loro sistemi di finanziamento. C’è una cultura tutta italiana nel definire regole e leggi che si sa non potranno essere rispettate, muovendo dalla tacita intesa che insieme si definiranno solidarietà nel costruire le procedure e i comportamenti che violano queste regole”. Dalla lettera che Sergio Moroni scrisse poco prima di suicidarsi a Giorgio Napolitano, allora presidente della Camera.
Pensierino
La caduta di tensione ideale, l’assenza di una battaglia culturale e morale segnano la stagione che stiamo vivendo e le precludono le vere e grandi innovazioni. Stefano Rodotà