Angiolo Tommasi (Livorno, 1858 – Torre del Lago Puccini, 1923) – Gli Emigranti (1895)
Una ferita che rimane aperta per sempre
di Gianni Di Quattro
Non è una ferita sanguinolenta, è una ferita umana, un trauma che costringe a interrompere la vita che si conduce, ad abbandonare gli affetti di cui si è circondati, la terra dove si è nati e che si ama, gli amici, tutto insomma, compresi i pensieri infantili, la scoperta delle emozioni e dei sentimenti del cuore su cui qualche sogno magari lo si è fatto. Si tratta del fenomeno che si chiama emigrazione. Lasciare quello che si ha per cercare quello che serve per vivere, per cercare quello che non si riesce a trovare nei luoghi propri. Lasciare per fare il proprio dovere verso se stessi, la famiglia, la società.
Dopo l’emigrazione e il trauma dei primi tempi, passa il tempo, ci si ricostruisce una vita, si prova ad amare il luogo o i luoghi che ci hanno ospitati, cosa che diventa facile quando si è aiutati da una compagna con cui si condividono le strade della vita, si arriva ad abituarsi al clima, al cibo, al calore umano della nuova patria. Tutto diventa normale, si trova l’equilibrio, si ha l’impressione di dimenticare. Gli anni apparentemente mettono una patina sui ricordi di tutto, ma non riescono a rimarginare la ferita che l’abbandono della propria terra ha provocato, rimane una grande cicatrice viva che sta nel proprio animo.
Quando gli anni passano ancora, quando l’età diventa avanzata, la cosa straordinaria è che i pensieri del proprio passato, i ricordi, diventano più vividi, più luminosi, si installano nella mente quasi in modo permanente. Forse perché l’abbandono del lavoro per limiti di età quando questa età è appunto avanzata, crea un certo disimpegno intellettuale, allenta la aggressività che per anni è riuscita a coprire nostalgie e rimpianti.
La verità è che difficilmente si possono dimenticare gli anni in cui si è imparato a vivere, si è scoperta la vita, il concetto di amicizia, il suo valore, la sua importanza. E soprattutto si è coltivata la conoscenza, si sono formati i gusti del sapere e della bellezza.
Non si può pretendere che chi non ha vissuto questo trauma, chi non ha per sua fortuna la ferita dell’emigrazione capisca davvero la tristezza dello stato d’animo, il turbamento che la ferita sempre aperta alimenta. Non ha importanza, il rispetto umano consente sempre di intuire anche quello che non si sente e l’umanità, se c’è e quando c’è, copre tutte le diversità per fortuna.