René Magritte (1898-1967) - Les compagnons de la peur - 1942
Fragilità
di Gianni Di Quattro
La fragilità è una qualificazione che si accompagna spesso ad una cosa bella come un bicchiere, un mobile, un oggetto tecnologico persino. Ma si riferisce anche alle persone o perché molto piccole o perché con problemi di sviluppo intellettuale o ancora perché dotate di grande sensibilità. Quella strana forma di sentire emozioni e accadimenti in modo molto spinto e partecipativo, quasi immedesimandosi in una situazione complicata, di sofferenza o di gioia.
La fragilità è comunque sinonimo di delicatezza, un richiamo alla attenzione, si riferisce alla necessità di maneggiare con cura qualsiasi cosa. Se una persona viene indicata come fragile vuol dire che è destinata a soffrire e che quando soffre lo sente più di altri. Nella valutazione di persone che possono essere inserite in attività professionali soprattutto se sono di tipo operativo e richiedono relazioni con altri e decisioni rapide, sono tante le aziende o gli enti che indagano sul carattere del candidato per capire se può sopportare lo stress e il coinvolgimento che l’incarico comporta.
Ma la fragilità è dietro l’angolo per tutti anche per coloro che non lo sono mai stati e che non si considerano tali. Può essere un rovescio di fortuna, una delusione forte a fare scoprire a ciascuno la propria fragilità. Soprattutto può essere l’insorgere di una malattia o anche solo il sospetto di una malattia a far perdere sicurezze e altezzosità e spesso a far piombare nel vortice della paura e dell’incertezza che non di rado è ancora più subdola della stessa paura.
La gestione della fragilità è difficile, molto difficile soprattutto per coloro che la acquisiscono perché costringe a cambiare prospettiva, interessi, abitudini e valutazioni morali persino. Si può diventare più generosi o più cinici allo stesso modo, si possono abbandonare relazioni e iniziative, trascurare persino i pensieri che hanno fatto compagnia per tanti anni nella testa di ciascuno.
Gestire una fragilità significa reagire alla presa di coscienza di una propria imperfezione o di una malattia che limiterà la vita o nel tempo o comunque nel modo di viverla.
Allora la mente si affolla di pensieri che cercano disperatamente di trovare come stare, comportarsi, interagire con la vita stessa e le persone che di solito la hanno accompagnato e con le cose anche, perché tante perdono di valore e di importanza ed altre invece diventano fondamentali.
L’acquisizione di una fragilità vera o presunta cambia la vita, ne riprogetta il percorso quale che sia ancora da fare, ripropone altri valori ed altri interessi, introduce paure al posto di speranze e spesso rassegnazione al posto della volontà di lottare per avere una cosa, un sentimento, una bellezza.
Mantenere le proprie convinzioni, i propri principi quelli che sono maturati in tanti anni di vita come frutto delle letture, delle esperienze, delle riflessioni fatte e rifatte, già rappresenta un grande successo per le persone che piombano nella fragilità senza scivolare, ma d’improvviso e senza preparazione come può avvenire se la fragilità è invece arrivata per un cambio culturale o sentimentale e cioè scivolando lentamente in una dimensione diversa.
Spesso la consapevolezza della fragilità sconvolge la vita, le proprie convinzioni, cancella anni di maturazione intellettuale e di abitudine alla speranza. Certo il religioso, il devoto è favorito perché attribuisce alla Provvidenza tutto quello che avviene, ne prende atto e con la preghiera riesce ad equilibrare quello che sta cambiando la propria vita. Il problema è tutto per il laico che deve veramente riprogettare rapidamente gran parte di ciò in cui crede se la paura lo vince o confermare le proprie credenze se ha la forza morale di non rinnegare.
La fragilità è sempre dietro l’angolo per tutti e fa parte della vita di tutti, soprattutto della vecchiezza come direbbe Leopardi che non riusciva a capacitarsi perché l’uomo oltre la morte doveva anche diventare prigioniero della fragilità.