Aggiornato al 27/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Neo Stock Illustrations Vector&Clipart - Non profit organization business

 

Scambio tra “Profit” e “Non Profit”

di Gianni Celleghin

 

Postulando che le attività “Profit” perseguano il profitto e che invece quelle “Non Profit” non abbiano tale finalità, si potrebbe ipotizzarsi che le prime siano immanenti alle logiche del mercato, mentre le seconde sembrano essere più vicine a quelle della politica, ovvero perseguano in qualche modo l’obiettivo di redistribuzione della ricchezza.

Se così fosse, allora potremmo anche ipotizzare che in qualche modo le attività “Non Profit” suppliscano a carenze della politica, pescando nella naturale propensione del genere umano al progresso inteso in senso lato, ovvero al miglioramento perenne, ovvero ancora peschino nella propensione al dono, cioè al rendere disponibili risorse ignorando il principio del ritorno equivalente; è quindi ipotizzabile che il proliferare di attività “Non Profit” sottintendano una situazione di crisi della politica!

Le attività “Non Profit” si potrebbero anche descrivere come incentrate sul “Dare”, ovvero nel mettere a disposizione del prossimo risorse che andrebbero invece disperse qualora dovessero essere retribuite.

È preliminarmente da osservare come ogni attività consistente nel “Dare” non possa in alcun modo essere esercitata, se in precedenza non risultino disponibili le risorse da offrire a titolo gratuito; siano esse beni, servizi oppure anche semplicemente risorse temporali espressione del volontariato.

In buona sostanza, è altamente improbabile che un povero possa donare denaro, che un affamato possa donare cibo o che un malato possa donare ore di lavoro! Altamente improbabile perché l’oggetto del dono non è di fatto nella disponibilità del donante!

Ne consegue che, con ogni probabilità, l’attività “Non Profit” verrà esercitata da chi, per scelta o per necessità, si troverà a mettere a disposizione del prossimo risorse per lui esuberanti: mi riferisco alla donazione di denaro effettuata dal ricco, alla donazione di abiti dismessi, oppure anche alle prestazioni gratuite tipiche del volontariato (che generalmente non sono esercitabili da chi già svolge attività lavorative che occupano l’intera giornata, bensì da pensionati, da disoccupati, da sottooccupati o da nullafacenti).

La variabile da esaminare sembrerebbe a questo punto essere rappresentata dall’approccio culturale, che porterebbe il soggetto ad esercitare il dono di quello che ha in sovrappiù, in contrapposizione all’immagazzinamento e/o alla pigrizia, che in tal senso potrebbero essere interpretati come atteggiamenti sostanzialmente egoistici.

Lo scambio tra il settore “Profit” e quello “Non Profit” potrebbe a questo punto avvenire a doppio senso, laddove il primo mettesse di fatto a disposizione della collettività i margini di profitto ritenuti esuberanti; mentre il secondo permetterebbe all’intero sistema di avviarsi o di mantenersi attivo laddove invece il volano dello sviluppo si fermerebbe per incapacità di acquisire alcune risorse il cui costo non potesse essere sostenuto.

Il tutto, però, con il grande pericolo delle distorsioni che ne conseguirebbero, qualora l’immissione gratuita di risorse andasse a demolire il tessuto sociale/produttivo; penso a fenomeni tipo il “dumping”, ovvero correlati a situazioni in cui un soggetto ricco di una risorsa per lui superflua, la mette in circolazione gratuitamente, provocando di fatto l’impoverimento e la perdita di libertà di colui per il quale invece la produzione di tale risorsa rappresenta l’unica fonte di sostentamento.

 

Inserito il:14/12/2021 17:17:48
Ultimo aggiornamento:14/12/2021 17:23:34
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