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Dal fegato delle pecore ai polpi indovini: le previsioni, i segni e il fascino dell'incertezza
di Achille De Tommaso
Allan Lichtman – famoso per il suo sistema delle "13 chiavi" per predire l'esito delle elezioni presidenziali americane – era convinto che Trump non avrebbe messo piede di nuovo alla Casa Bianca. Peccato che la storia abbia dimostrato il contrario. La sua certezza granitica, basata su analisi politiche e storiche, è crollata tanto fragorosamente quanto le viscere di una pecora sacrificate in nome di un presagio sbagliato nell'antica Babilonia. E allora, mi sono chiesto: siamo davvero così diversi dai Babilonesi, dagli astrologi o persino dai polpi indovini?
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Immaginatevi nella Mesopotamia di 4.000 anni fa, il re d’Assiria che si interroga su una guerra imminente o sulla fedeltà di un governatore lontano. Cosa fare? Semplice: si sacrifica una pecora e si legge il fegato. Ogni piega, macchia o segno sulla superficie del povero organo era un indizio divino. I Babilonesi avevano elaborato un vero e proprio sistema di predizione, così scientifico per l’epoca che richiedeva squadre di indovini per verificare l’accuratezza della lettura. Certo, il fegato non poteva predire le elezioni (non c’erano), ma sicuramente avrebbe avuto qualcosa da dire su Trump e le sue mosse.
La cosa straordinaria? Queste predizioni non erano prese alla leggera. Persino la scelta di un erede al trono poteva dipendere dal responso delle viscere. Non si trattava di pura superstizione: era un tentativo, con i mezzi del tempo, di affrontare l’incertezza e prendere decisioni con maggiore sicurezza.
Avviciniamoci ai giorni nostri. Lichtman, con il suo sistema basato su indicatori storici, ha previsto correttamente l’esito delle elezioni americane per decenni. Ma quando le sue previsioni sbagliano, c’è il rischio di cominciare a dubitare di tutto: della scienza, dei sondaggi, persino delle stelle. Il problema? Proprio come il fegato della pecora, anche i modelli di Lichtman si basano su dati del passato e non possono anticipare l’imprevedibile. Cambiamenti improvvisi nell’opinione pubblica o eventi inaspettati rendono ogni predizione, per quanto elaborata, vulnerabile.
E poi, vi ricordate? C’è il polpo Paul. Nel 2010, questo cefalopode divenne una celebrità mondiale indovinando con successo gli esiti delle partite di calcio della Coppa del Mondo. Paul non aveva accesso a modelli statistici né al fegato di una pecora, ma la sua "tecnica" (scegliere tra due scatole con bandiere) si dimostrò sorprendentemente efficace. Almeno per un po'.
La storia del polpo, dei sondaggi sbagliati e dei fegati di pecora ci insegna una lezione: il nostro desiderio di certezze è eterno, così come la nostra propensione a fidarci di metodi che, se analizzati a fondo, non sono altro che giochi di probabilità. Ma perché lo facciamo? Perché temiamo l’incertezza. Guardiamo ai sondaggi, agli esperti, persino agli animali, nella speranza di prevedere il futuro, anche se sappiamo, nel profondo, che non esiste un metodo infallibile. Magari ci fidiamo se il futuro predetto è quello che vogliamo noi, e lo rigettiamo se ci contraddice.
Le previsioni politiche moderne, nonostante l’apparente scientificità, sono spesso una versione aggiornata della divinazione mesopotamica. Ci affidiamo ai numeri e ai dati, ma alla fine, il margine di errore è sempre lì. I sondaggi possono essere manipolati coscientemente, o mal interpretati, e i risultati spesso sorprendono anche gli esperti più preparati.
Proprio come i Babilonesi si accontentavano di un sì o un no dalle viscere, anche noi accettiamo risposte binarie da algoritmi e modelli, fingendo di dimenticare che ogni previsione è, nella migliore delle ipotesi, una stima. Forse, allora, non è così assurdo tornare alle viscere o al polpo Paul. Dopotutto, il fegato della pecora ha lo stesso tasso di successo casuale di molti esperti contemporanei.
Ma Lichtman non si arrende; ma si rialza dalle ceneri del suo modello predittivo, con la determinazione di un pugile suonato al decimo round! Questa volta, dice, il colpo imprevedibile glielo hanno dato le posizioni demagogiche di Trump e i soldi di Musk; un'alleanza per lui talmente improbabile che nemmeno la miglior soap opera avrebbe osato immaginare. E ora, l'illustre professore promette di "adattare le chiavi". Ma a questo punto, vien da chiedersi: quante chiavi servono per spiegare il caos politico contemporaneo? Cento? Mille? O un mazzo infinito, come quello di un portinaio galattico?
Immaginiamo il futuro modello aggiornato: una chiave per i sondaggi, una per i tweet virali, una per i post di X (ex Twitter) e, perché no, una per i meme che riescono a conquistare il cuore degli elettori. Potremmo finire con una chiave per ogni microtrend: "l'indice delle battute di Musk", "il tasso di acquisto di cappellini MAGA", "la frequenza di interruzioni di dibattiti". Alla fine, Lichtman non predirà più le elezioni; diventerà il creatore dell'oracolo di Delfi versione 2.0, con algoritmi che girano su un computer fatto di viscere di pecora e Wi-Fi alimentato dal sarcasmo del polpo Paul.
Forse, più che aggiungere chiavi, sarebbe il caso di rivalutare il tutto con una buona dose di filosofia babilonese: una semplice moneta lanciata in aria potrebbe rivelarsi altrettanto affidabile. E se sbaglia, possiamo sempre dire che il vento, quel giorno, era troppo imprevedibile.