Michael Creese (Chicago, Illinois – Contemporaneo) - Soccer
Gooooooooooooooooooooooooooooooooooool!
di Graziano Saibene
Questo urlo prolungato per molti secondi, è il modo con cui viene comunicato da ogni radio(o tele)-cronista brasiliano che una delle due squadre in campo ha segnato una rete. E non importa che quasi sempre il cronista sia anche tifoso di una delle due squadre, l'urlo avviene comunque, indipendentemente dalla porta in cui è entrato il pallone.
Il gioco del calcio è arrivato in Brasile portato dagli Inglesi – come in quasi tutti i paesi del mondo -; è stato battezzato Futebol (qui a Rio si legge fucibòu); e ha impiegato pochissimo a diventare non solo assai popolare, come anche una fortissima passione a cui non sfugge proprio nessuno.
Dopo una prima breve fase in cui veniva praticato solo dai soci degli esclusivi Clubs frequentati da stranieri e brasiliani delle classi più abbienti (bianchi), hanno cominciato a formarsi in periferia e nelle favelas schiere di giovani di grande abilità tecnica, capaci di sviluppare tecniche di controllo, palleggio dribbling e tiro, anche a piedi scalzi e su terreni impossibili. Il colore quasi sempre decisamente troppo scuro della loro pelle ne ha ritardato per qualche anno l'inclusione nelle formazioni dei circoli di cui sopra, ma, come spesso in questo grande Paese, si è poi trovato il cosiddetto jeitinho, cioè il modo di aggirare le regole di ammissione, permettendo loro di essere assunti come lavoratori impiegati nel club, e di giocare nelle rispettive squadre, che cominciavano a disputare i vari campionati locali, o nazionali.
La maggioranza degli appassionati italiani di calcio ha conosciuto quello brasiliano nel 1958, in occasione dei campionati del mondo svolti in Svezia, e trasmessi quasi integralmente dalla televisione, ancora solo in bianco e nero. La allegra e travolgente galoppata vittoriosa della Seleção brasiliana ha certamente lasciato il segno in tutti quelli che avevano avuto la fortuna di assistere a quelle partite.
A parte le spettacolari giocate di Garrincha e Pelè, la classe di Didì e l'opportunismo sotto porta di Vavà, impressionava il modo assolutamente peculiare di tutti i componenti di quella squadra di muoversi armonicamente con la palla al piede, quasi fosse una danza che coinvolgeva tutto il corpo, con movenze che qui chiamano jinga e balanço, un po' come nel samba.
A mio parere, questa è stata la più forte nazionale di calcio di tutti i tempi, anche se il Brasile battuto drammaticamente nella finale dell'edizione 1950, in casa, dall'Uruguay di Ghiggia e Schiaffino, davanti a 200.000 spettatori increduli e disperati, era già una squadra assai forte e spettacolare, ma ancora troppo ingenua e presuntuosa, difetto che dimostrerà spesso anche in altre occasioni.
Per esempio quella che è stata eliminata dalla nazionale italiana nel 1982, in Spagna, e che contava su giocatori come Zico, Socrates, Cerezo, Edinho, Junior (tutti poi emigrati nel nostro campionato, aprendo la strada a un fiume di altri calciatori brasiliani non sempre all'altezza di questi).
Grandi calciatori, che avevo ammirato spesso dal vivo, assistendo al Maracânà alle varie partite di Flamengo, Fluminense, Botafogo, Vasco, Atletico Mineiro, São Paulo, Corintians, Gremio e Internacional.
Alcuni li avevo anche conosciuti personalmente in spiaggia, a Copacabana, dove venivano a giocare a fute-volley, (si gioca a coppie, sulla sabbia, usando campo e regole del beach volley, ma colpendo il pallone - da calcio, ben più pesante di quello usato nel volley!- con testa, petto e piedi scalzi): un gioco bellissimo e spettacolare, in cui sono convinto che i Brasiliani sono praticamente imbattibili.
In quegli anni avevo ripreso anch'io a giocare a calcio, parlo di quello a 11 su campi e erba: da oramai 20 anni, avevo dovuto rinunciare al mio più amato hobby sportivo, avendo rotto e perso definitivamente un legamento crociato. Parlandone con Junior e Edinho, mi avevano rivelato che loro non avevano mai avuto problemi alle ginocchia, appunto per la frequenza con cui avevano sempre giocato sulla sabbia; e mi avevano consigliato di provare a percorrere tutti i giorni di corsa sulla sabbia la spiaggia di Copacabana: i muscoli che proteggono lateralmente le ginocchia si sarebbero rinforzati.
È successo proprio così!
E alla non più tanto tenera età di quarant'anni, oltre che diventare discreto maratoneta, ho potuto integrarmi in quella diffusissima attività ludico-sportiva, democratica e assai socializzante che sono qui a Rio le partite di calcio o calcetto, chiamate peladas (letteralmente nude, cioè senza alcuna divisa, una squadra com camisa e l'altra sem camisa, cioè a torso nudo): non c'è limite di età né di abilità, e, da qualche anno, nemmeno di sesso. La città è disseminata di campi di calcio a libero accesso, e quindi frequentatissimi, spesso gruppi di amici si danno appuntamento, fanno la loro pelada, e poi tutti insieme al bar, per continuare a discutere e a prendersi in giro per quanto accaduto sul campo.
Dopo la inaspettata e trionfale vittoria della nostra nazionale ai mondiali di Spagna del 1982, il Consolato Italiano di Rio ha sponsorizzato la formazione di una squadra di immigrati o discendenti di origine italiana, dotandola di divisa quasi autentica, e battezzandola ”Azzurra”. In qualità di amico del Console, sono stato convocato e abbiamo cominciato a sfidare le squadre delle altre comunità straniere.
Non essendo i primi risultati affatto positivi, il Console Generale Paolo Bruni, mio coetaneo, napoletano, ancora più appassionato di me, a cui non piaceva per niente perdere, ha cominciato a promuovere una progressiva campagna di inserimento di componenti sempre più scuri di pelle, oltre che assai più abili: di Italiani autentici siamo rimasti lui ed io, - dichiarati inamovibili - e così abbiamo cominciato a vincere sempre più spesso. E la cosa è continuata anche sotto il Console Generale successivo, Ignazio Di Pace, che in gioventù aveva persino giocato sul serio, e partecipato a campionati semi-professionistici nella Tevere Roma.
E qui apro un inciso: mentre scrivo mi è tornato alla mente che una delle critiche più ricorrenti, fatte dagli intenditori brasiliani all'indomani della sconfitta della loro nazionale in Spagna, è stata “Gioca un calcio meraviglioso, è piena di grandi campioni, ma è troppo bianca! Ricominceremo a vincere quando ritroveremo campioni di colore, come nel '58, '62 e 70.” Cosa che in effetti in seguito li ha portati a diventare gli unici penta-campioni del mondo.
Quanto al calcio brasiliano professionistico, non c'è stata una grande evoluzione, anche se ha continuato a sfornare ottimi calciatori, che sempre più presto venivano prelevati per attuare nelle grandi squadre europee. Dove hanno imparato a rispettare una certa disciplina tattica.
Anzi i maggiori club del vecchio continente hanno cominciato a investire in sponsorizzazioni di squadre locali, o addirittura in centri di addestramento di giovani promettenti, da inserire progressivamente in campionati brasiliani, per poi importarli in Europa.
Dove non sempre si sono integrati, ma quando lo hanno fatto, hanno lasciato il segno: basta citare Ronaldo Fenomeno, Kakà, Ronaldino Gaucho, o Neymar.
Recentemente il problema più serio affrontato dalle squadre brasiliane è certamente quello finanziario, aggravato dalla contaminazione della grande piaga della corruzione, che ha investito anche la Federazione Calcistica locale, con ovvi riflessi sui bilanci delle società. Nessuna delle quali è oramai in grado di trattenere i migliori giocatori, che se ne vanno subito dove li possono pagare meglio, cioè soprattutto in Europa e, da qualche anno, anche in Cina.
Ciò non ha impedito agli allenatori della Seleção di formare spesso delle ottime squadre, e di restare sempre ai vertici delle classifiche mondiali. Quanto alle ultime 10 edizioni dei campionati del mondo, Brasile, Argentina, Germania e Italia ne hanno vinte 2 a testa, Spagna e Francia 1.
E quest'anno?
Premesso che quando si tratta di calcio fare pronostici è sempre un azzardo, questa volta io non ho dubbi: vincerà il Brasile!
Le ragioni che sono alla base di questa mia granitica certezza sono molto simili a quelle che nel 1982 mi avevano fatto scommettere a colpo sicuro sul Brasile di Zico e tutti gli altri che, in parte, ho già citato: conoscevo quasi tutti i giocatori, avendoli spesso visti coi miei occhi, e l'allenatore, Telè Santana, un vincitore, ex calciatore di successo, e gran signore, col quale giocavo spesso a tennis (al Leme Ténis Clube di cui eravamo entrambi soci).
Poi è successo l'imprevedibile miracolo Italia di Paolo Rossi e Bearzot ........
Il mio ragionamento quest'anno si basa su due fatti incontestabili:
a) quasi tutti i convocati militano nelle più forti squadre europee, e, fra i titolari delle sedici arrivate agli ottavi di finale della Uefa Champions League – certamente il Top fra gli eventi calcistici del globo - c'erano più di 30 giocatori brasiliani (non c'era, ovviamente, nessuna squadra brasiliana, e, malgrado la presenza di ben 3 squadre spagnole, di iberici titolari ce ne erano molti di meno!)
b) l'allenatore è Tite, un vincitore assoluto, con tutte le squadre che ha allenato negli ultimi anni, in grado di ricostruire, sia dal punto di vista tecnico-tattico che psicologico, la squadra uscita dal traumatico epilogo dell'ultimo Mondiale, giocato in casa. Ma soprattutto un uomo dotato di sensibilità e buon senso, oltre che di grande capacità di lideranza.
Inoltre, quest'anno, non c'è l'Italia!
Questa volta, lo vedrete presto, ci azzecco!
Rio de Janeiro, 14 aprile 2018