Irina Kara (Chisinau, Moldova, ? - ) – Love and Hate
L’odio è più forte dell’amore?
di Gianni Di Quattro
Era d’inverno, la giornata era limpida anche se fredda e la luce intensa, cosa rara per Milano che abitualmente in Gennaio è invasa da pioggia, smog e neve. Certo non era la luce della sua Sicilia, quella luce che non puoi guardare tanto è intensa, che proviene da uno sfondo di azzurro che sembra non finire mai, ma insomma nella vita bisogna sapersi accontentare. E lui si era per la verità sempre accontentato.
Ogni tanto pensava che doveva fare qualcosa per ribellarsi a se stesso, pensava che forse in tanti occasioni della sua vita avrebbe potuto essere molto più deciso, più forte, avrebbe potuto pretendere di più. Ma non se l’era mai sentita, conosceva le sue lacune culturali, di carattere, fisiche provenienti dalle origini. E conosceva gli sforzi che aveva dovuto fare nella vita per apparire adeguato, per cercare di prendere quel che poteva e di fare il suo dovere verso la sua famiglia cui era profondamente legato e la sua compagna di vita, senza la quale forse oggi sarebbe sicuramente in condizioni molto più precarie.
Aveva deciso di fare un tratto di strada a piedi dopo avere fatto una colazione gradevole con un amico, un vecchio compagno di lavoro, uno di quelli con cui si sono condivisi gli inizi di una storia aziendale, quando si sommavano la paura di fallire, lo sforzo per abituarsi in ambienti che apparivano ostili e la solitudine.
E mentre camminava pensava che in fondo non doveva lamentarsi, non aveva mai inseguito il successo, non aveva mai combattuto per il denaro, aveva potuto permettersi nella sua vita cose che non avrebbe mai immaginato quando nella sua Palermo aveva voglia di vivere e nello stesso tempo aveva paura del futuro, una strana combinazione di emozioni contrastanti che lo tenevano in agitazione.
E camminava guardando le vetrine, la gente che, come sempre, a Milano corre anche se non sa dove andare e ha molto tempo davanti a se, cercava di percepire l’odore di Milano così come lo aveva sentito la prima volta che era arrivato alla stazione paragonandolo a quello di Palermo. Da allora faceva spesso questo giochetto, anche se i tanti anni passati non gli consentivano più di riconoscere quegli odori ed allora era solo un modo di ricordare un momento, una cosa che aveva fatto e che aveva segnato l’inizio di una sua nuova vita.
Spesso rifletteva che lui tutto sommato era un immigrato di un certo livello paragonato a quelli che ora si vedevano tentare di approdare in una terra che consentisse loro di vivere. Certo veniva dal niente, sapeva che doveva farcela perché indietro non poteva tornare, aveva paura come hanno tutti gli immigrati e che cercano di nasconderla. Pensava anche alla gente che non può capire cosa vuole dire abbandonare la propria terra, magari i propri affetti, le amicizie e la bellezza di un sogno per vivere, per cercare di guadagnare e vivere. Questa gente non può sapere e capire che uno lascia tutto non per il piacere, ma solo per vivere.
E intanto camminava, stava arrivando alla stazione della metropolitana che doveva prendere per tornare a casa, la linea verde. Giunto a Piazzale Cantore, svolta per Via Colombo, dove i semafori si incrociano in modo strano e non si capisce mai quando si può passare, senza rischi si capisce. Ed appena gira si ferma perché un gruppo di persone gridava violentemente, mentre attorno la gente rallentava per la curiosità facendo finta di niente perché impaurita dai toni e dalle parole che questi uomini si scambiavano.
Parlavano di politica, così aveva capito ma la violenza verbale era forte come se quegli uomini si stessero giocando la propria vita. Ed allora cominciò a pensare come era facile odiare, quanta gente odiava altra gente, come era forte il sentimento di odio che conteneva disprezzo e disumanità. Gli venne da pensare se in una città come Milano, nel mondo, era più la gente che odiava o più quella che amava e poi se si poteva amare qualcuno, si poteva essere prigioniero di un sentimento così dolce e così umano e nello stesso tempo essere capaci di sentimenti di forte odio anche se per altre persone. Evidentemente si può e questa considerazione lo gettò in uno stato di frustrazione profonda, il mondo, gli umani non potevano essere così falsi, così cinici, così violenti. Non capiva come poteva esistere odio in un cuore che amava. Certamente pensava nel mondo, a Milano, se c’è più gente che odia più di gente che ama, un pensiero che fa tremare, che fa ripensare come il percorso della civiltà sia ancora lungo, oppure stiamo tornando indietro avendo fatto un testa coda senza che ce ne siamo resi conto.
Perché la gente odia altra gente? Non solo per interesse o per sgarbi personali, ma la gente si costruisce sentimenti di odio per lo sport e soprattutto per la politica. Lo si capisce subito dal linguaggio, dai toni, dalla mancanza di rispetto per le idee altrui. La politica! Pensare che servirebbe per creare consenso, partecipazione, senso di appartenenza alla stessa comunità e invece non è così, la gente si divide e si odia. Infatti, la politica è diventata uno strumento per prendere il potere e il potere uno strumento per comandare, per vincere. In fondo il partito rappresenta la vecchia tribù che combatteva per un sacco di mais e per dieci noci di cocco.
E ragionando su questo, aveva abbandonato il gruppo degli uomini che litigavano ed era arrivato alla sua stazione della metropolitana. Prese il suo treno e si sedette guardando la gente del vagone, la maggior parte intenta a smanettare sul proprio smartphone con l’aria grigia e lo sguardo verso il niente. Era triste, una tristezza dura perché gli sembrò che il mondo non avesse speranza.
Sapeva che non aveva più l’età per emigrare ancora nella sua vita e poi ormai il mondo è sempre più globalizzato non solo finanziariamente, ma anche culturalmente e umanamente. Dovunque si trova se non la stessa violenza, certamente la stessa cattiveria e lo stesso cinismo, spesso lo stesso odio. Il sogno è che un giorno l’amore prevalga sull’odio!