L’Islam sotto casa - Realtà e imbrogli nostrani (3/3)
di Vincenzo Rampolla
Il fenomeno della crescita progressiva della presenza musulmana in Italia e nel continente europeo è stato accompagnato negli ultimi decenni da una reazione ambivalente, fatta di curiosità mista a paura e diffidenza. I sentimenti ostili covati verso tale gruppo sociale si sono inaspriti richiamando l’attenzione su una sorta di razzismo, in forma crescente, e sulle implicazioni nella vita quotidiana. Nasce il termine islamofobia, dagli studiosi definito ostilità infondata nei confronti dell’Islam. Nella rappresentazione mediatica si fa strada il pregiudizio di intrinseca negatività nei confronti di Islam e musulmani.
A più riprese osservatori e analisti, non solo italiani, hanno espresso perplessità per la prevalenza di un atteggiamento razzista e di marchiatura dei musulmani con preconcetti negativi, specie nel dibattito politico italiano. Un’indagine IPSOS del 2016 ha individuato nella popolazione italiana uno dei divari più alti al mondo tra la realtà e la sua percezione. In quell’anno e nei 4 anni successivi, le persone avrebbero sovrastimato al 20% e al 31% la presenza dei musulmani sul suolo nazionale, contro un valore effettivo reale compreso tra 3,7- 4,9%.
Non è mancato, infine, un lavoro del Pew Research Centre, studio americano di massimo livello e di profilo mondiale, che ha riscontrato che gli italiani sono i meno propensi ad accogliere in famiglia un musulmano o ad averlo come vicino di casa, con oltre metà della popolazione che ritiene l’Islam incompatibile con i propri valori, ma che al 75% ammette di ignorare i valori dell’Islam. Gli analisti non se lo sono certo sognato, anzitutto con il consenso elettorale del 2018 cresciuto sulla spinta di una retorica anti-immigrazione molto negativa a livello sociale e con il peso dei media che hanno legittimato con forza comportamenti aggressivi su migranti, richiedenti asilo, rifugiati e cittadini musulmani.
Gesto di poco conto la bomba molotov del 1994 che ha incendiato la piccola moschea di Albenga, o la bomba esplosa davanti a una moschea milanese nel 2007 o ancora l’incendio degli uffici della moschea di Bologna ad agosto 2010. Eventi classificati tutti come episodici, sporadici, fortuiti, occasionali, gesti di esaltati… E che dire della dimostrazione contro la costruzione di una moschea, sempre a Bologna, ottobre 2018, quando l’arcivescovo è stato tacciato di eretico per la sua apertura alla comunità musulmana? Macché islamofobia! Nulla di grave, succede…
È un dato di fatto che in piena campagna elettorale, il 29 gennaio 2018 un oratore ha dichiarato a Roma: al giorno d’oggi l’Islam è un pericolo e il futuro Governo ha in programma di mettere fine alla presenza dell’Islam in Italia. In realtà non si tratta di islamofobia. È qualcosa di più profondo e perverso, di attenta strategia mirata ad ignorare, non osteggiare, decisa ad arte per non riconoscere neppure la presenza fisica del musulmano sul suolo italico: evitare di permettere formalmente al musulmano di aprire o gestire un luogo di culto. Chi l’ha detto? Non esageriamo…
È all’alba della rinascita di una Nuova Italia, a ottobre 2023, chiuso il primo anno di attività del Governo in carica all’insegna di un Grazie Italia, sbandierato dalla Presidente a destra e a manca in telegiornali, riviste, corridoi e sottoscala, che emerge che le comunità islamiche, non hanno un riconoscimento come Enti di culto in base alla legge sui culti ammessi, ma operano sulla base del diritto comune come semplici Associazioni o Cooperative, godendo della garanzia di non discriminazione di cui all’art. 20 della Costituzione. Questa condizione però non consente loro di aprire o gestire pubblicamente un luogo di culto, anche di minime dimensioni, perché tale attività può essere legittimamente svolta solo da un soggetto riconosciuto come ente di culto. È il classico perfido e subdolo vicolo cieco che genera una sottile impasse normativa non superabile neppure dalla giurisprudenza recente. Parola di esperti: il quadro normativo esiste ma è talmente povero e zeppo di controversie che vedono contrapposti i politici, le comunità islamiche e le autorità locali che, ad esempio, sul tema dell’emissione di una concessione edilizia per la costruzione di una moschea, la soluzione viene scaricata regolarmente sui Tribunali Amministrativi Regionali.
La realtà è chiara: esiste la Legge della Regione Lombardia del 3 febbraio 2015, n. 2, che è stata oggetto d’esame di recente della Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni. Ci sono le nuove misure approvate il 5 aprile scorso dal Consiglio Regionale del Veneto, anche queste impugnate dal Governo innanzi alla Corte Costituzionale. E ancor più recente l’approvazione in Liguria (27 settembre) della legge recante modifiche alla legge regionale 24 gennaio 1985 numero 4 (Disciplina urbanistica dei servizi religiosi). Si tratta – conclude la sociologa Maria Bombardieri, esperta di Islam italiano – di un fenomeno che esiste da sempre, ma è gestito col passo del gambero, con iter estenuanti che incoraggiano la clandestinità e la sfiducia in un sistema amministrativo e politico che segue più il consenso elettorale che le comunità di minoranza.
Minareto di Roma
Paolo Naso, coordinatore del Consiglio per le relazioni con l’Islam istituito presso il Ministero dell’Interno, nel fervore dell’incarico invoca subito l’assoluta esigenza di tracciabilità e trasparenza dei fondi e aggiunge: I locali di culto non sono soltanto i luoghi fisici della preghiera del venerdì. Per una comunità di minoranza in massima parte composta da immigrati, sono luoghi fondamentali di ricostruzione della propria identità, nei quali è possibile curare le ferite del percorso migratorio. Sono i luoghi del sapere, della conoscenza, dell’aggregazione, della socialità, del divertimento. Spazi in cui hai un riconoscimento sociale che la società ti nega. Luoghi essenziali e strategici dove gli imam, se adeguatamente formati, diventano vettori di percorsi di interazione e integrazione.
A differenza delle altre religioni, l’Islam non ha alcun accordo con lo Stato italiano. In questo senso un colossale e assurdo problema è l'assenza di una forma associativa chiaramente e formalmente rappresentativa della maggioranza dei musulmani in Italia.
Un primo tentativo per affrontare il problema è avvenuto 25 anni fa, nel 1998, con l’apertura a una possibile intesa con lo Stato, e successivamente 23 anni fa, quando la sezione italiana della Lega mondiale musulmana annuncia nel 2000 la creazione del Consiglio Islamico d'Italia, associazione guidata da 10 cittadini italiani, 5 nominati dall'UCOII (Unione Comunità Islamiche in Italia) e 5 provenienti dalle altre due organizzazioni, con l'obiettivo di una rappresentanza unitaria dell'Islam sunnita davanti allo Stato italiano per la stipula e l'esecuzione di un accordo. Di questa Associazione hanno fatto parte l'UCOII, la Lega Musulmana Mondiale e il Centro Culturale Islamico d'Italia, nonostante l'opposizione della sua componente marocchina. L’Associazione ha avuto vita breve, vivendo solo sulla carta a causa dei disaccordi tra la componente filo-saudita e quella vicina ai Fratelli Musulmani.
Progetto 1976 alle porte di Milano in attesa di diventare Minareto
Dopo letarghi e risvegli quinquennali, nel 2005 il Ministro dell'Interno Giuseppe Pisanu ha nominato un Consiglio per l'Islam italiano (il cosiddetto Consiglio islamico), composto da 16 membri, metà dei quali cittadini italiani, con esponenti della cultura e delle associazioni musulmane laiche, come leader di associazioni religiose. Fanno parte dell'Islam sunnita UCOII, della Lega mondiale musulmana, del COREIS (Comunita Religiosa Islamica – moschea di Milano) e dell'UIO (Unione Islamica in Occidente – World Islamic Call); per l'Islam sciita il Presidente della comunità ismailita italiana. L’accordo permane inattivo per le forti divergenze tra le componenti che ne hanno rallentato i lavori.
La consultazione è stata riformata una prima volta nel 2010 (Comitato Islam Italiano) e ancora 10 anni dopo, nel 2015, istituendo il nuovo Consiglio per le relazioni con l’Islam italiano, come organismo a carattere collegiale con funzioni consultive, composto da esperti e studiosi della cultura islamica, al fine di favorire e promuovere il confronto con il mondo musulmano, approfondendo la conoscenza dell’Islam presente in Italia. Parallelamente è stato istituito anche un Tavolo di confronto con i rappresentanti delle comunità e associazioni islamiche, quale sede per un dialogo diretto con le componenti musulmane maggiormente rappresentative presenti in Italia.
Nel 2017 è stato sottoscritto il Patto nazionale per un Islam italiano a cui hanno aderito tutte le principali realtà musulmane italiane e il Consiglio per le relazioni con l’Islam italiano, venti anni dopo, è stato quindi ricostituito nel 2020 come organismo con funzioni consultive, presieduto dal Ministro dell'Interno o da un Sottosegretario delegato, per l’approfondimento dei temi legati all’integrazione e all’esercizio dei diritti civili di quanti professano la fede islamica in Italia.
Magicamente, 18 anni dopo, Venerdì 14 Luglio 2023, presieduta dal sottosegretario Wanda Ferro, si è tenuta al Viminale la prima riunione nell’anno del Consiglio per le relazioni con l’Islam italiano. Primo atto della Nuova Italia: vagito, finta, mossa, beffa, prova, scena, inganno?
Il sottosegretario ha rappresentato gli aggiornamenti principali sulle attività in corso. In particolare, è stato fatto un punto di situazione sullo stato dei procedimenti in atto per il riconoscimento della personalità giuridica degli enti di culto islamici, che ha avuto una rilevante accelerazione nel corso degli ultimi mesi. Sono stati poi presentati i report tematici - realizzati dalle Università partner del Ministero dell’Interno, nell’ambito della attività finanziate con la programmazione FAMI (Fondo Asilo Migrazione e Integrazione) appena conclusa - relativi ad alcune confessioni religiose minoritarie, ma di crescente importanza nel Paese. In proposito, è stata condivisa l’intenzione di una presentazione pubblica del lavoro di ricerca in ambito universitario [Destinata a chi? Per riverire quanti e quali Rettori?...]. Infine, sono state delineate le direttrici fondamentali delle iniziative da approfondire nei prossimi mesi, anche da sostenere con le risorse della nuova programmazione FAMI. Il sottosegretario Ferro ha ribadito il massimo impegno del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e del Governo Meloni in favore delle confessioni religiose.
Sulla data del prossimo incontro, non ci sono indicazioni certe, probabilmente tra 18-23 anni…