Aggiornato al 24/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Pierre-Auguste Renoir (1841-1919) - Bal au Moulin de la Galette - 1876

 

Nel lungo periodo... siamo tutti giovani europei?

 

Discutere del 2015 e delle prospettive del 2016 non è facile; farlo con riferimento alle grandi tematiche sociali ed economiche - come una certa ambizione giovanile vorrebbe - lo è ancora meno. Per questa ragione, mi limiterò a riflettere su una questione che mi sta molto a cuore e di cui ho esperienza diretta: i miei coetanei (dove per coetanei intendo una coorte demografica la cui data di nascita appartiene a un intorno sufficientemente piccolo della mia).

I giovani sono stati al centro di molte discussioni nel 2015 e niente ci autorizza a pensare che non lo saranno nel 2016: d’altra parte ogni policymaker che si rispetti ha a cuore - almeno nominalmente - l’interesse delle giovani generazioni. Una delle più recenti manifestazioni d’interesse ha a che fare con i famosi 500 € che il Governo ha promesso di versare a tutti i neo 18enni: scopo dichiarato dell’iniziativa è far sì che con questi danari i giovani adulti vadano a visitare musei e ad accrescere la propria sensibilità culturale. Sarebbe proprio quest’ultima, nella dotta opinione del Governo, una forma di prevenzione da altri sanguinari attentati come quelli di Parigi e Bruxelles. Anche se il nesso causale tra elevazione culturale e indole terroristica ci sfugge, l’iniziativa è comunque lodevole: molto spesso ho osservato come i miei coetanei (non solo in Italia) siano per lo più ignoranti e comunque molto poco propensi ad apprezzare il Bello.

Cionondimeno, con questo provvedimento si elude il punto fondamentale della faccenda: atti terroristici simili verranno evitati solamente se tutti i giovani europei sentiranno allo stesso modo un tragedia in Italia, in Francia, in Germania etc… Quando dico “allo stesso modo” intendo che un tale avvenimento dovrebbe colpirci con la stessa profondità, indipendentemente dal luogo in cui accade. Purtroppo, questo non sembra essere il caso dell’Europa odierna, o meglio: questa comunanza di sentimento si realizza solamente in un gruppo piuttosto ristretto di persone. Esso è composto prevalentemente da studenti universitari che hanno avuto esperienze di studio all’estero, meglio ancora se negli anni delle superiori, con un background familiare culturalmente vivace ed una propria passione sociale. Prendendo l’insieme dei giovani tra i 17 e i 30 anni ed applicando le dovute restrizioni, otteniamo un piuttosto esiguo  numero di persone, per lo più concentrate nelle grandi sedi universitarie.

Quello che è preoccupante non è tanto la distribuzione geografica di questo gruppo, quanto piuttosto la sua caratterizzazione sociale: mutatis mutandis esso rappresenta la declinazione moderna di quella élite la cui distanza dal resto del popolo, le rivoluzioni dell’Ottocento e le conquiste sociali del Novecento hanno cercato di ridurre. Infatti, a parte sparute eccezioni, è difficile che queste stesse persone intrattengano relazioni sociali con giovani che non appartengono allo stesso gruppo: o per ragioni culturali o per ragioni geografiche questi ultimi sono troppo lontani. Questo fenomeno non è endemico dell’Italia, ma si ripresenta in forme più o meno simili in molti altri paesi europei. Proprio con i loro consimili stranieri questi giovani si rapportano, ed è per questa ragione che più di altri sentono come proprie le tragedie di paesi stranieri.

Se l’obiettivo del Legislatore è evitare che altre tragedie come quelle delle capitali francese e belga si ripetano in futuro, allora bisogna annullare la distinzione che esiste tra questi gruppi. Annullamento che deve avvenire portando tutti i giovani al livello dei più privilegiati. Come questo possa essere concretamente realizzato è materia estremamente complicata e ci limitiamo a fornire alcuni indirizzi, senza alcuna pretesa di esaustività.

In primo luogo, è necessario che anche a coloro che non possono permetterselo sia data la possibilità di viaggiare in Europa e di apprenderne le lingue: la Commissione Europea dovrebbe promuovere un programma di mobilità diverso e complementare ad Erasmus. Il programma dovrebbe focalizzarsi sugli studenti in età pre-universitaria: ad esempio, potrebbe incentivare i soggiorni di studio delle lingue durate l’estate, al momento appannaggio di “pochi” fortunati.

Il che non significa solamente incentivare lo studente italiano ad andare a studiare il tedesco o il francese perché questo gli gioverà nel corso della vita, ma anche incoraggiare giovani tedeschi e francesi a imparare l’italiano; è necessario, in altre parole, trascendere la questione dell’utilità della lingua nel contesto lavorativo e dare ad essa una propria dignità. Infatti, dal solo idioma è possibile imparare molto sulla cultura di una certa nazione e questo tipo di apprendimento - vivo e non confinato all’aula scolastica - è proprio quello necessario per formare individui consapevoli dei pregi e delle peculiarità di ogni popolo. Consapevolezza che, unita all’ovvia formazione di contatti transnazionali, rende possibile sentire come propri compatrioti gli altri europei. E’ soltanto con questo genere di esperienze che si riesce ad apprezzare, in modo più o meno razionalizzato, quanto tutti gli europei abbiano in realtà in comune e come questo quid ci distingua, per esempio, dai nostri “cugini” americani.

In secondo luogo, e qui mi riferisco in modo più stringente al caso italiano, le nostre istituzioni dovrebbero interrogarsi sul modo in cui presentano ai giovani l’Europa. Per dare corpo all’idea di cui sopra, bisognerebbe smetterla di significarla con le istituzioni che governano l’Unione: sono Europa anche il teatro di Molière e le poesie di Goethe; sono Europa le musiche di Brahms e di Bartók; sono, infine, Europa i castelli della Loira e i monasteri del monte Athos. Se ripenso agli anni passati al liceo, non una volta questi esempi sono stati menzionati. Quindi, quello che dovrebbe radicalmente cambiare è il modo in cui l’Europa viene veicolata: i programmi scolastici devono essere adeguati, lasciando da parte un ormai stantio nazionalismo e rendendo parte integrante degli studi dei giovani non solo Foscolo e Manzoni, ma anche Proust e Schiller. Questo consentirebbe ai giovani studenti di formarsi un’idea più completa di quella che è stata la cultura europea nel corso della storia e di capire come gli intellettuali di ogni paese si siano influenzati tra di loro: se vogliamo che non vi siano differenze tra come gli italiani percepiscono gli italiani, i francesi, i portoghesi etc. allora bisogna in primo luogo rendere chiaro che non vi sono tradizioni culturali separate - ed alcune “migliori” di altre come qualcuno vorrebbe far credere - ma soltanto un’immensa trama che collega tutti i centri d’Europa.

In una trama, quando il capo di uno dei fili viene sollecitato, tutti ne risentono; e così dovrebbe idealmente accadere con i giovani che, inseriti in questa ragnatela dalle proposte poco sopra, sono tutti posti in risonanza da un avvenimento che coinvolga anche il più lontano dei capi.

Queste proposte richiedono un orizzonte di lungo periodo che ovviamente non può limitarsi al 2016. Tuttavia, è necessario che questo processo di “riconoscimento” dell’Unione culturale venga avviato quanto prima ed è bello pensare che proprio gli Olandesi - cui spetta la presidenza del consiglio della UE e che per secoli sono stati crogiuolo di culture - potrebbero essere coloro che poseranno la prima pietra di questo edificio.

Inserito il:17/04/2016 09:54:23
Ultimo aggiornamento:17/04/2016 10:04:33
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