Aggiornato al 20/01/2025

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

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Del concetto di egemonia

di Maurizio Merlo

 

   L’espressione “Egemonia culturale”, così come ultimamente utilizzata negli ambienti governativi, appare discutibile se non addirittura inappropriata.

Non è chiaro se il riferimento sia da attribuirsi al pensiero politico-filosofico di Antonio Gramsci (1891-1937). Se di questo si trattasse, consiglierei caldamente di rileggere l’autore, magari con un po’ di attenzione.

   Gramsci, nei suoi “quaderni dal carcere”, enucleò il concetto di egemonia, e lo fece riferendosi alla costruzione nella società di valori, organizzazione, civismo che perseguissero avvento e consolidamento della classe operaia al potere. Strumenti di questo processo: la “direzione intellettuale e morale” e la “direzione politica” del “partito”, “moderno principe”; due viatici distinti che trovano sintesi dentro e intorno al “partito” nella costruzione dell’egemonia politica e culturale.

   Percorsi che si articolano all’interno di un processo storico nella società, la “conquista delle casematte”, secondo la dicitura gramsciana: nell’economia, nella cultura, nell’organizzazione e occupazione delle istituzioni pubbliche, e poi la conquista dei corpi intermedi, la costruzione della partecipazione e del consenso popolare.

   Classe operaia versus borghesia, una lotta sociale, politica e di potere di una classe contro l’altra che persegue come fine ultimo il dominio politico.

   Gli autorevoli esponenti del governo probabilmente obietterebbero che nell’usare il concetto di egemonia non intendevano riferirsi all’uso fatto da Antonio Gramsci, che è quello più noto e contemporaneo, bensì ad altro concetto, meramente culturale (diversamente e forse più appropriatamente lo si declina sul piano statuale o militare).

   E allora, qualunque sia questo concetto altro, l’egemonia come supremazia esercitata richiede il consolidamento di un processo autorevole di cambiamento profondo della società. In questo quadro, difficile separare cultura da politica, in particolare difficile pensare che una classe di governo faccia essenzialmente cultura senza fine ultimo il dominio politico.  E da che storia è storia l’egemonia, negli atti di governo, è sempre stata una categoria generale, dall’antica Atene all’antica Roma, dalla Rivoluzione francese di fine ‘700 al dominio USA in occidente nel secondo dopoguerra mondiale.

   E allora qual è il processo storico compiuto, o almeno avviato, dal governo Meloni? Difficile a dirsi, probabilmente due anni e mezzo di governo del paese son poca cosa per segnare una pretesa egemonia culturale, occorrerà impegnarsi a lasciare il segno nella società, a tracciare un percorso storico, perché pur comprendendo ogni forma di ambizione governativa, necessitano alcune condizioni: concretezza, cultura, classe politica dirigente, unitarietà del progetto, eventi significativi, svolte epocali, larghi consensi.

   Niente di tutto questo è oggi apprezzabile, nessuno dei grandi ostacoli alla crescita civile ed economica del paese sono stati sfiorati da vere riforme, dall’evasione fiscale al debito pubblico, dalla giustizia alla scuola, dal welfare all’integrazione pubblico-privato in economia e nei servizi; nessun piano industriale per lo sviluppo è all’orizzonte, né una politica per contrastare la denatalità, o per governare al meglio l’integrazione dell’immigrazione.

   Non c’è stato il tempo utile? Mancano due anni e mezzo alla fine della legislatura, si può tracciare il progetto e collocare ogni singolo provvedimento assunto o da assumere nella direzione coerente al progetto medesimo. D’altronde l’ambizione di marcare una nuova egemonia culturale non può che passare all’interno di una visione di trasformazione del paese e di atti inequivocabili in quella direzione.

   Auguro sinceramente al governo Meloni un futuro significativo, fondato sull’emersione di una visione e di un autentico valore dell’arte del governare, ma la personalità dinamica e disinvolta della Premier non è sufficiente, non bastano alcuni spot elettoralistici, e nemmeno una lettura di fantasia dei dati economici, tanto meno può assumere rilievo il ruolo di piccoli ministri della cultura che sarebbe interessante intervistare e ai quali chiedere a quale progetto egemonico culturale stanno lavorando.

   Ne riparleremo in futuro quando e se si potrà affermare: “Questo governo sta tracciando un segno indelebile nella storia della comunità nazionale. Cambiano profondamente i paradigmi e lo stile di governo. Si aggrediscono, finalmente dopo cinquant’anni, i nodi economico-strutturali che impediscono la crescita del paese. È nata una nuova cultura politica che segna con evidenza un’autentica egemonia politica e culturale sostenuta da un largo consenso di massa”.

   Buon lavoro!

 

Inserito il:14/01/2025 15:28:00
Ultimo aggiornamento:14/01/2025 17:02:45
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